Un
tempo c’era la vecchia cara dislessia. Poi, a tenerle compagnia nel mondo delle
“dis,” sono giunte la disortografia, la disgrafia e la discalculìa. Il
quartetto (fiancheggiato dall’Adhd, la sindrome del bambino agitato) è stato
oggetto di una legge sui Dsa (disturbi specifici di apprendimento) che prevede
percorsi didattici speciali e garantiti per coloro che sono stati diagnosticati
Dsa dal Servizio Sanitario Nazionale (o dai convenzionati). Come si era
previsto, il numero dei bambini “disturbati”, che era stato prudentemente
indicato in un 3-5% (più un altro 3-5% di Adhd), sta crescendo di giorno in
giorno e in alcune realtà locali ha raggiunto punte del 15%. Logopedisti un po’
straniti sono impegnati ad aiutare a fare i compiti di bambini che non sanno
incolonnare bene le cifre (perché questa sarebbe discalculìa). Ma ora questa
prateria estesa sì, ma confinata ai piccoli, potrebbe diventare poca cosa se
assorbiremo - magari anche legislativamente e come variabile indipendente dalla
spending review – la novità che viene d’oltre oceano: la distextia.
È
un disturbo che si manifesta quando uno scrive un sms confuso e sconclusionato,
pieno di errori e scambi di lettere. Qualche buontempone l’ha ricondotto alla
condizione di una persona tanto pigra da usare a tal punto il chatspeak da
diventare incomprensibile. Ma alcuni serissimi dottori statunitensi hanno
ammonito che c’è poco da scherzare: la distextia è una cosa serissima. Potrebbe
segnalare disturbi neurologici complessi e persino il sopraggiungere di un
ictus. La teoria è corroborata dal caso di una signora bostoniana che, in
visita ginecologica, inviava deliranti sms al marito, e poco dopo fu colpita da
ictus. Una deduzione tipicamente “scientifica”, basata sull’intercambiabilità
tra causa ed effetto.
Ma
quel che più interessa sono le prospettive che si aprono con il moltiplicarsi
delle “dis” e, in particolare con la distextia. Altro che quei quattro gatti di
bambini delle materne e delle elementari! Qui sono in ballo milioni di utenti
della telefonia cellulare. Né si vede perché la tematica della distextia non
possa essere estesa agli utenti della rete, di Facebook, di Twitter, a tutti
coloro che chattano o inviano post ai blog: qui di testi sconnessi,
sconclusionati e pieni di errori di battitura ce n’è a iosa. E state attenti,
cari utenti, perché, se passa una legge per la distextia, al primo sms o post
sconnesso il corrispondente premuroso potrebbe spedirvi un’equipe
medico-psicologica a casa (e il conto della cura finirà pure nel redditometro).
A
questo punto, perché non cogliere l’occasione e andar oltre? Le vecchie “dis”
non sono attraenti, bisogna puntare sui neologismi, tipo distextia. Per
esempio, la dislalia è generica. Ma volete mettere se considerassimo la
distelefonia (fissa e mobile), ovvero il parlare sconnesso e caotico al
telefono? Invece della desueta distopia si potrebbe introdurre il distopismo,
la tendenza a farsi immagini cupe del futuro. Così sarebbe possibile
medicalizzare l’esercito dei pessimisti. Trascuro suggerimenti eccessivi, come
il patologizzare la distrazione e la dissimulazione né darò retta a qualche
maleducato che ha parlato di dis-senteria. Ma basta guardarsi intorno per
sentire quanta gente starnutisce in modo compulsivo, disordinato e rumoroso: è
la distarnutìa, un disturbo che può colpire chiunque. Le praterie del West
appariranno ridicole di fronte a quelle che i “dis” possono aprire agli
“esperti”.
(Il Foglio, 25 gennaio 2013)
1 commento:
Ma non è distextia, bisogna dirlo agli esperti e ai logopedisti! E' solo passato il verme disicio del racconto di Srefano Benni!
"Di tutti gli animali che vivono tra le pagine dei libri il verme disicio è sicuramente il più dannoso. Nessuno dei suoi colleghi lo eguaglia. Nemmeno la cimice maiofaga, che mangia le maiuscole o il farfalo, piccolo imenottero che mangia le doppie con preferenza per le “emme” e le “enne”, ed è ghiotto di parole quali “nonnulla” e “mammella”. Piuttosto fastidiosa è la termite della punteggiatura, o termite di Dublino, che rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torrenziale, croce e delizia del proto e del critico. Molto raro è il ragno univerbo, così detto perché si ciba del solo verbo “elìcere". Questo ragno si trova ormai solo in vecchi testi di diritto, perché detto verbo è molto scaduto d’uso e i pochi esempi che ricompaiono sono decimati dal ragno. Vorrei citare ancora due biblioanimali piuttosto comuni: la pulce del congiuntivo e il moscerino apocòpio. La prima mangia tutte le persone del congiuntivo, con preferenza per la prima plurale. Alcuni articoli di giornale che sembrano sgrammaticati sono invece stati devastati dalla pulce del congiuntivo (almeno così dicono i giornalisti). L’apocòpio; succhia la “e” finale dei verbi (amar, nuotar, passeggiar). Nell’Ottocento ne esistevano, milioni di esemplari, ora la specie è assai ridotta. Ma come dicevamo all’inizio, di tutti i biblioanimali il verme disicio o verme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo più verso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto di un’altra, e mette quest’ultima al posto della appena. Sono spostamenti minimi, a volte gli basta spostare prima tre o verme parole, ma il risultato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solo dopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo com’era prima dell’augurio del verme disicio. Così il verme agisca perché, se per istinto della sua accurata natura o in odio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un intervento: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quattro disicio."
Stefano Benni, Il bar sotto il mare
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