mercoledì 30 luglio 2014

La scuola incapace di premiare il merito

Grande è la confusione sotto i cieli dell’istruzione italiana, il che, contrariamente al pensiero del presidente cinese Mao Tse Tung, non è affatto una buona cosa. Ci riferiamo soprattutto alla questione della valutazione e del merito dove la schizofrenia è tale da raggiungere paradossalmente esiti coerenti. Le cronache annunciano che le promozioni all’esame di maturità sfiorano la totalità, cui però non corrisponde una crescita di qualità: al contrario, prevale la tendenza verso la mediocrità generalizzata. Si leva pronto il coro di chi coglie l’occasione per proporre l’abolizione dell’esame di stato, e anzi di ogni esame, visto che agli esami di terza media le percentuali sono analoghe. Nulla di strano poiché da decenni c’è chi persegue una scuola senza voti ed esami, appiattita su quella che fu sfortunatamente definita la “media minima”. Un persona di buon senso potrebbe chiedersi quale coerenza vi sia nel parlare da mane a sera di valorizzazione del merito e poi cancellare ogni selezione. Una coerenza c’è, se s’identifica il merito con la promozione del “successo formativo garantito”. È la coerenza perversa dell’appiattimento che si avvale di tanti strumenti, come l’identificare ogni cattivo rendimento scolastico come “difficoltà di apprendimento”. La persona di buon senso potrebbe chiedersi che cosa resti in mano all’insegnante se lo si priva del potere di premiare i migliori e penalizzare chi non s’impegna. Ma anche qui dipende da come si pensa la funzione dell’insegnante: un “maestro” nel senso pieno del termine ha bisogno di quel potere, un “facilitatore”, un “animatore”, deve rinunciarvi. A lui spetta il mero compito di promuovere il successo formativo garantito, di applicare fedelmente le innumerevoli prescrizioni ministeriali, di riempire centinaia di moduli, di somministrare e correggere i test, di assolvere la funzione di badante del processo di autoapprendimento. Sbaglierebbe quindi la persona di buon senso a stupirsi che, mentre si cancella la promozione del merito per gli studenti, il tema centrale sia la valutazione dell’insegnante: difatti, l’intenzione è di trasformarlo in un badante. Così non è da stupirsi che l’unica forma seria di valutazione, quella basata su procedimenti ispettivi interni alla categoria, sia trascurata, non solo perché costosa, ma perché corrisponde all’unico modo di concepire la valutazione come un processo di crescita culturale. Prevalgono idee di valutazione basate su tecniche numerico-statistiche e la tentazione di ricorrere agli esiti dei test Invalsi. Anche qui il buon senso suggerisce che valutare un insegnante dagli esiti della sua didattica è assurdo: si rischia di punire chi opera in un contesto difficile e premiare chi opera in un contesto facile. Ma questo non interessa chi non bada alla sostanza ma solo alla forma; tantomeno costui si preoccupa del fatto che i procedimenti statistici che sono alla base dei test Invalsi siano autoreferenziali, in quanto standardizzano a tal punto le visioni delle materie che le abilità valutate dai test Invalsi sono quelle di risolvere i test Invalsi stessi, e nient’altro.
Il peggio è che l’ideologia che sta dietro queste tendenze è manifesta ma avanza in modo caotico, a pezzi e a bocconi, infilandosi tra una sperimentazione e l’altra, col risultato che la scuola italiana è un vestito di Arlecchino. Come se non bastasse, gli “sperimentatori” si accaniscono sempre più, ora mirando alla soppressione degli esami, ora riesumando progetti di ristrutturazione dei cicli pensati quasi vent’anni fa, ora progettando la riduzione dei licei a quattro anni, mentre nell’ultimo anno un corso dovrebbe essere tenuto in altra lingua, non importa se con una drammatica caduta di livello per l’assenza di competenze linguistiche sufficienti; o addirittura pensando di trasformare le scuole in centri sociali.
A ben vedere, la situazione all’università non è diversa. Anche qui si è radicata l’idea del “successo formativo garantito”, per cui un docente che boccia troppo finisce sui giornali. Del resto, cosa direbbe la persona di buon senso leggendo sull’avviso di un corso universitario che «la percentuale prevista di studio dello studente sul totale dell’impegno richiesto è del 65%»? Direbbe che è ridicolo pensare che quella percentuale sia indipendente dalle capacità dello studente. Eppure, i docenti universitari sono talmente assuefatti a un siffatto demenziale linguaggio burocratico da non farci più caso. Si era promesso che l’ultima riforma si sarebbe ispirata al principio della valutazione ex post: fate le scelte che ritenete più opportune e sarete valutati per gli esiti. È accaduto esattamente il contrario, per cui l’università è ridotta a un sistema che agisce in esecuzione delle minuziose direttive dell’onnipotente agenzia di valutazione (Anvur), ispirate da escogitazioni statistiche impermeabili a qualsiasi critica di merito. La situazione ha raggiunto livelli tali da suscitare proteste e l’ammonimento di chi ha avvertito che, di questo passo, sarà la morte della valutazione. Ma non è così: sarà piuttosto la morte dell’università come sistema di didattica e ricerca basato sul fondamentale principio dell’autonomia e in cui resti tempo per pensare alla conoscenza, alla cultura, e non solo alle procedure. L’ultimo disastro attiene al tema della trasmissione generazionale. Tutti sapevano che le gigantesche immissioni ope legis di qualche decennio fa avrebbero prodotto un’imponente ondata di pensionamenti e un pericoloso salto generazionale. La trasmissione delle conoscenze e delle esperienze è un fattore fondamentale in un sistema dell’istruzione, secondo quel delicato equilibrio descritto da Hannah Arendt quando insisteva sulla necessità di preservare una base di “conservatorismo” per fornire ai giovani gli strumenti per il rinnovamento. Ma ora si affaccia un nuovo provvedimento che “rottama” altri docenti approfondendo la rottura generazionale e culturale. Chi si riempie la bocca dei modelli esteri non dice che nelle università statunitensi si può restare fino a novant’anni o essere licenziati a cinquanta. Non si fanno le guerre generazionali nell’ambito della cultura e dell’istruzione.
Vi sarebbe poi da dire qualcosa circa l’ostinazione a non voler ripensare l’accesso alle facoltà di medicina guardando ai modelli esteri, la ripetitiva sceneggiata dei test in cui chi non copia o “collabora” è un fesso. Così, il vero dramma nazionale è sempre l’incapacità di concepire l’autentica promozione del merito. Sarebbe interessante approfondire le radici storiche di tale incapacità, legate a una tradizione dirigista inesauribile che si ripropone ora sotto vesti progressiste ora sotto vesti tecnocratiche. Ma forse anche questo è un tema troppo culturale in tempi in cui è lecito parlare soltanto per cifre e statistiche.


(Il Messaggero e Il Mattino, 30 luglio 2014)

7 commenti:

Unknown ha detto...

Articolo perfetto: grazie di cuore a giorgio Irsael ! Mi permetto di aggiungere: se non portiamo l' istruzione dei giovani ad un livello medio minimamente accettabile (soglia , oggi, lontanissima) il "sistema Italia" precipiterà in una crisi irreversibile. Questo penso sulla base della mia esperienza, essendo docente di italiano e latino da venti anni. E gli ultimi nove in un Liceo Classico. Beatrice Novelli

pupipupi ha detto...

Qualche criticità:
assenza di conoscenze geografiche,
difficoltà a interpretare testi meno che banali (un ministro voleva eliminare la letteratura dalla scuola ...),
problemi a contare gli anni prima e dopo Cristo,
problemi a definire categorie astratte (cos'è un caso grammaticale, cos'è un verbo),
tutto questo in ragazzi che scelgono facoltà umanistiche e hanno alle spalle elementari, medie e superiori.
Non so come sia all'estero, ma per lunga esperienza vedo molto preparati gli studenti che vengono dalla ex-Jugoslavia.

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Ma ci dobbiamo svendere al punto di fare corsi in un'altra lingua?
Come l'Ecuador che ha adottato il dollaro? Sono soluzioni da stato coloniale!

Pat Z ha detto...

Grazie davvero per queste giustissime considerazioni e per il fatto che continui a battersi con coraggio levando la sua autorevole voce in difesa di una scuola che sia veramente seria e non un patetico scimmiottamento in mala fede di modelli già obsoleti e fallimentari sperimentati altrove. Sono d'accordo su tutto ciò che ha detto, però mi piacerebbe che in un prossimo articolo ci spiegasse meglio come vedrebbe concretamente realizzabile la valutazione degli insegnanti in base a procedimenti ispettivi interni. Io non avrei proprio nessun problema a farmi valutare da ispettori competenti e che sapessero il fatto loro, ma ho dei serissimi dubbi che siffatti individui esistano nella realtà. Nella mia ormai abbastanza lunga carriera di docente ho avuto occasione di conoscerne qualcuno e le dico che se mi dovesse capitare di essere valutata da simili soggetti mi farei il segno della croce e mi preparerei al peggio, o fuggirei preventivamente a fare l'insegnante in una capanna nella Guinea Bissau piuttosto che finire sotto le grinfie di certa gente. Magari esistessero ancora quegli ispettori un po' "risorgimentali" di una volta, ex professori di grande competenza nella loro disciplina, ex presidi di grande serietà, perfettamente consapevoli di quali dovessero essere le caratteristiche di un bravo docente e di come valutare un buon programma o dei buoni metodi d'insegnamento. Rara avis è un ispettore del genere, ricordo di averne conosciuto uno nel lontano 1984, quando ero una studentessa, e di non aver mai più visto niente di paragonabile (segue)

Pat Z ha detto...

(segue)
Infatti il livello generale è per lo più deprimente, e, anche prescindendo da quei casi proprio eclatanti di disadattati o sociopatici che pur si incontrano nei ruoli ispettivi, messi lì non si sa da chi e non si sa per quali vie a fare cosiddetti "corsi" ai docenti, la massa è comunque costituita da gente indottrinata, autoritaria, senza quasi esperienza di insegnamento o comunque del tutto immemore di aver un tempo insegnato, tutta tesa a propinare formulette ideologiche e "tecniche" inefficaci e stupide, senza considerazione per i professori, che non considerano per ciò che sono (o dovrebbero essere, se li si fossero assunti in modo serio), cioè degli intellettuali in possesso di una formazione d'alto livello, ma una mandria di ovini irregimentati e ignoranti da dirigere a piacimento senza neanche preoccuparsi di esprimere un minimo di decenza o di dignità culturale nell'indottrinamento. Mi è capitato di assistere a "lezioni" in cui noi professori ci guardavamo increduli di fronte al tizio che avevamo di fronte, senza riuscire a capacitarci di come un soggetto di tale ignoranza potesse avere la presunzione di venirci a insegnare qualcosa, e di come qualcuno potesse avercelo messo. Mi è capitato di assistere a memorabili scontri tra gente delusa e stanca che difendeva la propria dignità culturale da persone così incolte e stupide da non capire nemmeno la portata radicale delle critiche cui venivano sottoposte. Oppure a sonnacchiose e acquiescenti riunioni (la maggior parte) fatte con l'ispettore di turno, in cui tutti erano perfettamente consapevoli dell'inutilità e impraticabilità di ciò che veniva detto e non si filavano minimamente il relatore, ma tuttavia fingevano di filarselo per quieto vivere, per educazione, per non avere rogne, per ottemperare a degli obblighi d'orario e d'aggiornamento formali, ben sapendo che tutto ciò era una colossale farsa e uscendo da questi appuntamenti con un misto di delusione e disgusto. E per lo meno una volta c'era ancora qualche docente sicuro del fatto suo: purtroppo adesso sembra che la massa dei colleghi più giovani che entrano nei ruoli nemmeno si renda conto di cosa sta succedendo, e sia disposta a farsi indottrinare supinamente senza esercitare un minimo di ripensamento critico. Detto questo, mi viene da chiedermi chi controllerà i controllori, "quis custodiet ipsos custodes?", se sarà a questi soggetti che verrà affidata la valutazione del merito, e probabilmente in base a quegli stessi parametri fasulli, tipo il "successo formativo garantito", che lei giustissimamente stigmatizzava nell'articolo. Purtroppo l'istituzione stessa, con le sue gerarchie, è arrivata ormai a un tale livello di degrado che non credo possa essere più messo in piedi un sistema del genere, anche ammesso che un sistema del genere - realizzato idealmente nella sua forma migliore - non incontri una valanga di resistenze sindacali e corporative. Io a farmi valutare con metodi ispettivi ci starei pure, ma ho dei serissimi dubbi sulla credibilità scientifica di chi possa essere chiamato a valutarmi attualmente...

pupipupi ha detto...

Si figuri l'università, dove l'anvuriano di turno tira fuori un bastone (giuro che è successo) e tira colpi sulla lavagna luminosa per farci vedere dove sbagliamo ...

pupipupi ha detto...

Invio questo interessante link
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/lunica-utopia-possibile-villaggio-tradizione-1043558.html