sabato 1 novembre 2014

Recalcati, la scuola e la passione per la conoscenza


In un periodo in cui si predica ossessivamente che l’insegnante non deve più insegnare ma trasformarsi in “facilitatore” e in cui è sotto accusa la lezione come emblema di una didattica trasmissiva e autoritaria, ci vuole molto coraggio per denunciare l’illusione dell’insegnante psicologo che trascura le discipline per una didattica intesa come terapeutica e per dichiarare che la salvezza della scuola sta nel rimettere al centro l’ora di lezione come unico momento in cui un buon insegnante «può cambiare la vita» trasformando gli oggetti del sapere in oggetti di passione. Questo è stato il coraggio di Massimo Recalcati col suo libro dal titolo scandaloso per il conformismo dominante: L’ora di lezione, Per un’erotica dell’insegnamento (Torino, Einaudi, 2014, pp. 160, € 14,00).
Egli ha denunciato questo conformismo come «figlio di una collusione terribile, anche se involontaria, tra la spinta rivoluzionaria-libertaria sorta dalle istanze critiche più che legittime del ’68 e quella del neoliberismo forsennato, del capitalismo finanziario protagonista dell’attuale crisi». Sarei meno generoso nei confronti della prima e meno violento nei confronti del secondo, ma è difficile non convenire sulla sostanza. Basta osservare il percorso intellettuale di personaggi che hanno avuto un grande influsso sull’istruzione, che fino a poco tempo fa esaltavano il modello gramsciano (preminenza del latino, abituare lo studente a soffrire inchiodato sulla sedia) e si scagliavano contro l’idea di subordinare l’educazione al mercato del lavoro e che ora sono stretti alleati di un mondo confindustriale che manifesta un interesse spasmodico per l’istruzione in nome della formula vecchissima della scuola come luogo di addestramento della forza-lavoro anziché come luogo di formazione delle persone attraverso la cultura e la conoscenza. È un approccio vecchissimo che riporta al Medioevo e il cui superamento ha caratterizzato la modernità. Luigi Cremona, ingegnere, umanista e uno dei fondatori dei politecnici di ingegneria dell’Italia unita, nel 1860, denunciava in una celebre prolusione come “apostoli delle tenebre” coloro che svilivano le conoscenze teoriche con il criterio dell’“a che serve”.
Contro la deriva della scuola, martoriata da chi «non crede più nell’importanza della cultura e della formazione che essa deve difendere e trasmettere», Recalcati ha scritto un libro appassionato sull’ora di lezione come unico luogo in cui si supera l’antitesi falsa tra conoscenze e “competenze” e può scoccare quella scintilla magica tra maestro e allievo capace di fare delle conoscenze lo stimolo alla passione per il sapere, intesa come una visione aperta, di continue domande e di questioni irrisolte e non di risposte preconfezionate. Egli ricorda un’osservazione di Giovanni Gentile – e ci vuole coraggio a citare colui che viene assurdamente additato come la fonte di tutti i mali – che diceva che «solo quando usciva dall’aula con la sensazione di aver appreso qualcosa che a lui stesso sfuggiva prima di cominciare, poteva considerare che quella era stata davvero un’ora di lezione». Chi ricordi nella propria attività di insegnante momenti come questi può legittimamente dichiararsi tale: accade quando dallo sguardo degli studenti, pur senza domande esplicite, ci si rende conto di una falla del ragionamento, di una questione che si apre, di una risposta inattesa a una questione che sembrava falsamente risolta. Scrive Recalcati: «Dove gli scolari annoiati come me hanno potuto conoscere la potenza generativa della Scuola, al di là dei suoi effetti di assoggettamento e di uniformazione? La risposta è una sola: a lezione, durante l’ora di lezione».
Il lettore si addentrerà nelle analisi psico-analitiche del libro. Qui basti sottolinearne il merito, in un’epoca di visioni miseramente tecnocratiche dell’istruzione, di aver detto che la missione della scuola è generare «un trasporto erotico verso il sapere» che nulla come la tanto denigrata ora di lezione può realizzare.

(Il Messaggero, 13 ottobre 2014)

2 commenti:

pupipupi ha detto...

E' davvero il momento giusto per condurre a fondo questa battaglia di civiltà e per smascherare una generazione di imbonitori ignoranti, in letale abbraccio tra sinistra eternamente à la page e industrialismo che propone modelli addirittura trapassati. Grazie.

Raffaella ha detto...

A proposito dell’”insegnante psicologo”. Mia figlia ha iniziato la quinta primaria con l’ennesimo cambio di docenti (siamo a 15 in 5 anni). Quest’anno è arrivata, appunto, l’”insegnante psicologa”. Svolge lezioni (di italiano) prevalentemente orali perché ritiene che “scrivere serve ad esercitare la mano e non il cervello” e che prima di arrivare ad un riassunto, ad un racconto ben fatto, i bambini devono sviluppare determinate competenze perché “non si può sfornare la torta senza sapere come amalgamare gli ingredienti”. Dice che i bambini devono avere una buona motivazione per scrivere, ad esempio per il giornalino della scuola o nell’ambito di qualche altra attività stimolante, e che non glielo si può imporre come compito.
Io invece sono d’accordo con chi sostiene che proprio attraverso la scrittura i bambini imparano ad esercitare il cervello, poiché si devono armonizzare tra loro molteplici funzioni: motricità grafica; traduzione delle idee in parole e frasi, tenendo conto che la comunicazione scritta è molto più formale ed impegnativa di quella orale; accesso rapido e preciso alle memorie per ricordare prontamente e contemporaneamente regole di ortografia, grammatica, punteggiatura, uso delle maiuscole, terminologia (mia figlia prende sempre voti alti nelle verifiche mirate di grammatica/ortografia, mai nei rari componimenti che le vengono richiesti si scorda spesso diverse regole); produzione di pensieri originali e interpretazioni personali. Scrivere richiede inoltre una concentrazione intensa e costante, bisogna resistere alle tentazioni e non lasciarsi prendere dall’insaziabilità, uno dei più grossi problemi che hanno oggi i bambini. Scrivere costringe ad esprimere quello che si pensa in maniera che gli altri possano capirlo. Rinforza quindi il linguaggio, la memoria, l’attenzione ai dettagli.
Credo che gli scolari cui gli insegnanti “facilitatori” richiedono poco e saltuario lavoro scritto, rischino poi di essere meno allenati a produrre, come spesso si nota alla scuola media.
Mi scuso con il Professore se sono andata un po’ fuori tema, ma l’”insegnante psicologo” citato nell’incipit del suo intervento mi mancava. Senza nulla togliere alla preparazione, esperienza ecc della nuova arrivata, preferivo di gran lunga le lezioni “trasmissive e un po’ autoritarie” del giovane maestro dell’anno scorso, che almeno non trascurava l’insegnamento della grammatica.