sabato 16 febbraio 2008

Dialoghi incrociati e una conferma impressionante

La polemica sulla preghiera "Oremus et pro iudaeis" ha avuto sviluppi sul sito di Informazione Corretta. Alcuni lettori di quel sito, cui collaboro, hanno espresso il loro accordo con le tesi esposte negli articoli qui riportati (e riportati anche su Informazione Corretta). Altri hanno espresso il loro dissenso. Ho inviato a Informazione Corretta una risposta, rivolta in particolare a una lettrice. La riporto qui per l'eventuale beneficio dei lettori di questo blog.

Ma subito dopo riporto un documento che costituisce una conferma puntuale di quanto vengo scrivendo da tempo.
I tradizionalisti cattolici hanno colto perfettamente che la posizione di Martini è quella realmente antigiudaica, mentre i nostri incauti protestatari se la prendono con l'Oremus in nome delle stesse formule che Martini ha riportato in auge con il plauso dei tradizionalisti.
Difatti, la sua è la vera posizione coerente con quella preconciliare: amare gli ebrei ed essere loro vicini per spiegare loro il tragico errore da cui debbono emendarsi.


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Danielle Sussmann dice che spera "finalmente" di conoscere la mia opinione. Non so cosa debbo fare. Ho scritto un articolo sul Corriere della Sera, un altro sul Foglio ("Mettere la chiesa nell'asse del male antisemita è una follìa"), riportati entrambi da Informazione Corretta, e il secondo preceduto da un commento rivolto espressamente ai lettori di Informazione Corretta... Che debbo dire?
Senza intasare troppo Informazione Corretta posso rinviare al mio blog (http://gisrael.blogspot.com/) dove, in coda all'articolo sul Foglio ho inserito una sintesi - ripresa dalla rete - delle posizioni del rabbino David Berger. Mi si consentirà, è una sintesi chiara, netta e approfondita dal punto di vista teologico. Spiega perché l'approccio di Ratzinger è il più confacente e coerente per un produttivo dialogo ebraico-cristiano. Questa litania della Nostra Aetate che sarebbe stata gettata al cestino dall'attuale Papa, è una baggianata. Nella Nostra Aetate il superamento della teologia della sostituzione era molto meno netto di quanto non sia stato nelle dichiarazioni successive di Giovanni Paolo II (in cui ha avuto parte decisiva il cardinale Ratzinger, che è stato il "teorico" del precedente pontificato) e soprattutto nel fondamentale testo ratzingeriano "Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana". Poi c'è stato il discorso di Colonia e soprattutto il recente libro Gesù di Nazaret, con il dialogo col rabbino Neusner. Con tutti questi testi e contributi la teologia della sostituzione e l'insegnamento del disprezzo sono stati definitivamente messi al bando, in una linea di sviluppo dal primo (insufficiente) passo costituito dalla Nostra Aetate.
So bene che esistono ambienti cattolici - come quel gruppo il cui documento è stato pubblicato su Informazione Corretta - che sostengono che il vero punto più alto è stato la Nostra Aetate. Ma sbagliano e di grosso: la Nostra Aetate è stata il punto di partenza. Il fatto è che la Chiesa è divisa e ci sono correnti antiratzingeriane che qualsiasi cosa dica il Papa lo attaccano. Questo non dovrebbe riguardare gli ebrei, che se ne dovrebbero tener fuori e ragionare oggettivamente. E soprattutto non dovrebbero farsi strumentalizzare dalle correnti cattoliche ostili all'attuale Papa nelle loro campagne d'inverno. E invece accade il contrario. Ho messo in luce (su Shalom, vedi anche il mio blog) le tesi aspramente antigiudaiche contenute in un recente libro del cardinale Martini, sfidando a reagire e a mostrare che non esisteva un atteggiamento di "due pesi e due misure". Sfida vinta, purtroppo. Quelle affermazioni non hanno destato una sola protesta, malgrado in privato mi sia stata data ragione... Nel pieno della polemica sull'Oremus Martini ha invocato l'amore per gli ebrei indicando però precise misure di indottrinamento volte a facilitare l'"evangelizzazione dei non cristiani". Qualcuno ha protestato, ha detto una sola parola? Niente. Anche se, ancora una volta, in privato mi è stata data ragione. In pubblico, invece, il rabbino Laras, con retorica penosamente acquiescente, ha indicato Martini come il modello di dialogo ebraico-cristiano... Sconcertante.
Abbiamo capito che qualsiasi cosa dica Ratzinger per taluni è un "fascista", un "pastore tedesco", un "antisemita" ecc. ecc. Ma queste sono faccende politiche che non dovrebbero coinvolgere una valutazione oggettiva.
Aggiungo che trovo sconcertante il modo con cui è stato preso in faccia il micidiale schiaffo dell'annullamento della visita dell'imam della Grande Moschea alla Sinagoga, proclamando anzi: "le porte della Sinagoga restano aperte al dialogo fra islam e ebraismo". Nel frattempo venivano brutalmente chiuse a quello tra ebraismo e cristianesimo. Doppiamente sconcertante.
Sussmann dice che le porte le ha chiuse il Papa e che io commetto un "errore" perché vi è stato un ritorno all'"antigiudaismo rituale" della Chiesa. Non basta asserire, bisogna dimostrare e far fronte agli argomenti. Insisto fino alla noia che, una volta rimossa la teologia della sostituzione e le espressioni di disprezzo, l'antigiudaismo è tolto. Nella versione della messa in latino di Giovanni XXIII - su cui nessuno ha fiatato, forse perchè quello era un papa "buono" e di sinistra... - si parlava ancora di "accecamento", un termine tipico dell'antigiudaismo, guarda caso ripreso nel recente libro del cardinale Martini. Nella versione attuale quel termine è stato tolto ed è rimasta soltanto l'invocazione a che Israele si riunisca "tutto" nel riconoscimento di Cristo (in termini escatologici). Il senso di questa preghiera residua è stato spiegato da monsignor Ravasi (vedi qui) e pertanto non insisto.
Resta una domanda che non evito: non si poteva eliminare tutto? Le ragioni della scelta di mantenere una versione depurata dell'Oremus sono ancora evidenti dal testo di Ravasi e attengono alla volontà di sottolineare la fede in Cristo come qualcosa di centrale per il cattolicesimo e non un'opzione di cui quasi vergognarsi. Si veda ancora, al riguardo, quanto dice il rabbino Berger, nonché un'interessante pagina-intervista al rabbino Neusner su l'Osservatore Romano. È una scelta che riflette l'intenzione di trovare un delicato punto di equilibrio tra il rispetto per l'ebraismo e la riaffermazione della fede in Cristo. Perché continuare a porre al centro gli ebrei? Perché l'ebraismo ha un rapporto assolutamente speciale con il cristianesimo. D'altra parte, l'ebraismo rappresenta la punta di diamante della negazione teologica della divinità di Cristo. Perciò, quella preghiera residua, depurata di ogni accento di disprezzo antigiudaico, esprime un punto di equilibrio tra due esigenze: il legame assolutamente speciale con l'ebraismo e il desiderio escatologico del ricongiungimento delle due fedi in quella che (legittimamente) si ritiene vera, ovvero quella cristiana.
Ancora due osservazioni.
Si dice che questa insistenza - messa in latino, Oremus et pro iudaeis, riaffermazione della centralità della divinità di Cristo - testimoniano un pericoloso ritorno a una visione integralista, un "indurimento" dottrinario. Mettiamo pure che sia vero. Ma ci vuole un bel coraggio a dirlo, da parte del rabbinato italiano. Chi è che sta producendo un indurimento dottrinario senza precedenti che ha ribaltato il modello ortodosso ma aperto alla Toaff a favore di un modello rigidissimo, in particolare sulla questione dell'accettazione dei figli di madre non ebrea? È noto che tale scelta ha prodotto fratture profonde, persino la nascita di una comunità ebraica riformata a Milano, di primi nuclei in altre città e di una crisi a Torino. Come si fa a parlare di "indurimento dottrinario" altrui senza vedere la trave nel proprio occhio?
Infine, bisogna stare attenti a chiedere la soppressione delle preghiere altrui, quando affermano la superiorità della propria fede e lo fanno in modo non offensivo. Non sarò io a stendere una lista delle preghiere ebraiche che affermano la superiorità della fede ebraica, l'unicità del patto e che discreditano le fedi altrui. Non lo farò perché in questi giorni la rete (e anche la stampa) pullula di citazioni in tal senso, accompagnate da espressioni di fastidio e irritazione nei confronti di questi ebrei che non si accontentano mai e che non lasciano che altri facciano quel che sarebbe consentito soltanto a loro. Sono spesso espressioni che lasciano riemergere sentimenti antigiudaici. Sappiamo tutti che nel mondo cristiano questi sentimenti sono ancora molto diffusi: come potrebbe essere altrimenti dopo secoli di "insegnamento del disprezzo"? Mi chiedo però se si doveva scegliere la via maestra per andarli a riattizzare, invece di riannodare pazientemente il dialogo con coloro che sono disposti a tessere una trama di comprensione e di tolleranza. Mi chiedo se non si poteva aprire un dialogo, magari critico, sull'Oremus senza lanciare proclami e rotture addirittura decretando la sospensione di ogni attività o incontro riconducibile a qualsiasi forma di dialogo con i cattolici. Sottolineo con forza che una linea più riflessiva e costruttiva è stata indicata da consistenti parti del rabbinato non italiano. All'estero vi sono state proteste e critiche, ma nessuna ha raggiunto il livello acutissimo di quelle italiane. Qui si è scelta la linea dello scontro frontale, infischiandosene dei rigurgiti antiebraici che essa può provocare, e che sta provocando. Mi auguro che prevalga presto una linea più meditata, riflessiva e costruttiva. Se così fosse, mi scuso per la presunzione, ma avrò avuto in questo un piccolo merito.

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Dal blog di Sandro Magister


Inaudito: i supertradizionalisti applaudono il cardinale Martini

Sull’ultimo numero di “Sì sì no no”, il periodico dei tradizionalisti estremi, compare un sorprendente osanna a una loro bestia nera, il cardinale Carlo Maria Martini.

L’occasione è un libro, “Le tenebre e la luce”, edito da Piemme, nel quale l’arcivescovo emerito di Milano pubblica un corso di esercizi spirituali da lui predicato a Gerusalemme nel giugno del 2007 sui capitoli della Passione nel Vangelo di Giovanni.

A proposito del sinedrio e della sua condanna di Gesù, Martini a un certo punto scrive:

“Ci troviamo davvero di fronte al crollo di una istituzione, una istituzione – notiamo – che avrebbe avuto il compito primario di riconoscere il Messia verificandone le prove. Sarebbe stato questo l’atto giuridico più alto di tutta la sua storia. Invece fallisce proprio lo scopo fondamentale […] in vista del quale era sorta”.

E prosegue:

“Si pone qui un problema gravissimo, quello della possibilità che un’istituzione religiosa decada: si leggono ancora i testi sacri, però non sono più compresi, non hanno più forza, accecano invece di illuminare. […] Le loro menti si sono accecate. Infatti lo spesso velo sino ad oggi rimane non rimosso quando leggono l’Antico Testamento, perché in Cristo soltanto esso si annulla. Anzi, fino ad oggi, quando si legge ad essi Mosé, un velo giace sopra il loro cuore”.

Veramente, prima che se ne fossero accorti quelli di “Sì sì no no”, queste tesi del cardinale Martini avevano fatto sobbalzare un osservatore ebreo, il professor Giorgio Israel. Su “Shalom”, la rivista della comunità israelitica di Roma, nel numero dello scorso novembre, Israel aveva scritto che Martini aveva compiuto “un salto logico sconcertante” decretando “la fine storica dell’ebraismo”, sostenendo che “il dono di Dio a Israele è stato revocato”, riproponendo “la teologia della sostituzione” e insomma “facendo fare un passo indietro persino rispetto alla Nostra Aetate”.

All’opposto, “Sì sì no no” scorge ora nel cardinale Martini un apprezzabile principio di ravvedimento rispetto alle sue precedenti posizioni “filogiudaizzanti”. Ed applaude a questo “inatteso sprazzo di luce”.

Ma di curioso c’è dell’altro. Sulle “menti accecate” e sul “velo sopra il cuore” hanno fatto leva le vibrate proteste di alcuni ebrei contro le formule in uso nella preghiera del Venerdì Santo secondo il rito antico liberalizzato da Benedetto XVI, preghiera in procinto di essere modificata. Ma proprio su tali concetti poggia l’argomentazione del cardinale…

1 commento:

Giorgio ha detto...

“(NON) FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME”

(Il presente intervento, che è costituito di tre brevi brani ispirati a fatti realmente accaduti, con relativo commento, non vuole avere un carattere meramente apologetico-apodittico, ma contribuire, nel suo piccolo, ad un dialogo costruttivo sia con credenti non cattolici che con non credenti.)

Gerusalemme, anno 33 (o qualche anno prima, secondo alcuni storici).
“Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?”
“È reo di morte!”
Un uomo è sotto processo. L’accusa fondamentale è quella di essersi proclamato ‘il Figlio del Dio vivente’, Dio egli stesso.
Spirerà inchiodato ad una croce, dopo una lenta agonia.

Bolsena (nei pressi di Viterbo), anno 1263.
Un prete boemo, Pietro da Praga, che dubita della Transustanziazione, sta celebrando l’Eucaristia.
D’un tratto, dopo la Consacrazione, l’ostia che tiene tra le mani comincia a sanguinare.
L’assemblea che partecipa alla celebrazione mormora allibita: si parla di un miracolo.
(L’episodio sarà tramandato nei secoli come il miracolo eucaristico di Bolsena. L’anno successivo al miracolo il papa Urbano IV ha esteso a tutta la Chiesa la festa del Corpus Domini, prima celebrata solo nella diocesi di Liegi.)

(Presumibilmente:) Odessa (Ucraina), secondo decennio del XX secolo.
Un ragazzo, durante la celebrazione dell’Eucaristia, si mette in fila per la Comunione ma, tornato al suo posto, si toglie di nascosto l’ostia di bocca e se la mette in tasca. Rientrato a casa, la esamina al microscopio: non osserva alcun particolare straordinario. “Lo dicevo io che è tutto un imbroglio” pensa tra sé.
(Il ragazzo si chiamava George Gamow, diventerà un celebre fisico nucleare e astrofisico [è sua la teoria del ‘Big Bang’ sulla nascita dell’Universo, così denominata, ironicamente, dall’astronomo Fred Hoyle, che era invece un fautore dell’opposta teoria dello ‘stato stazionario’].
A tanti anni di distanza, Gamow ha commentato così il suo ‘esperimento’: “Credo che sia stato quell’esperimento a fare di me uno scienziato”.)

In tutti e tre gli avvenimenti Cristo è morto.
Nel primo, per risorgere qualche giorno dopo.
Nel secondo, per far rinascere la fede in un sacerdote dubbioso.
Nel terzo, per far nascere un validissimo scienziato.

“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” [Giovanni, cap. 12: Gesù, la domenica ‘delle palme’, rivolgendosi a Giudei e Greci preannunzia la sua morte e resurrezione.]


Giorgio Della Rocca

Alcuni pensatori (mi riferisco soprattutto a certi teologi protestanti del secondo dopoguerra, i cosiddetti ‘teologi della morte di Dio’, con epigoni anche molto recenti), mettendo l’accento sul fatto che i Vangeli non sono coevi agli avvenimenti narrati e sono spesso pervasi da un fine apologetico-didattico, hanno voluto evidenziare una presunta discrasia tra il Gesù storico e il Cristo della fede.
Tale ‘distinzione’, a mio parere, è surrettizia. La consapevolezza della divinità di Gesù, nonostante i miracoli e i fatti straordinari che avevano caratterizzato la sua vita terrena, non era mai stata perfettamente chiara agli apostoli e ai discepoli (che pure erano vissuti a stretto contatto con lui), nemmeno dopo la sua resurrezione, riguardo alla quale, infatti, gli stessi apostoli erano inizialmente increduli; tale consapevolezza è venuta maturandosi pian piano, quando quell’avvenimento così straordinario e ‘incredibile’ quale fu la resurrezione di Gesù ha gettato luce, retroattivamente, su tanti altri avvenimenti della sua vita terrena e su tanti discorsi che egli aveva pronunciato, considerati inizialmente deliri di un visionario o di un uomo posseduto da uno spirito maligno.
Tant’è che, dopo duemila anni, siamo ancora qui a discuterne.