giovedì 26 gennaio 2012

A PROPOSITO DI "SFIGATI"


Il viceministro Michel Martone ha lanciato quel che egli stesso ha definito un “nuovo messaggio culturale”: «Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello, perché vuol dire che almeno hai fatto qualcosa».
Nella vasta levata di scudi che è seguita colpisce che in alcune dichiarazioni Martone sia stato «bocciato in marketing e comunicazione». Pare che non abbia alcuna importanza se quel che Martone ha detto è giusto o sbagliato. Conta il fatto che abbia comunicato e venduto male. È il simbolo di una brutta moda corrente: i contenuti non contano, conta solo l’apparenza. Piuttosto, lo scivolone comunicativo era la parola “sfigato”; e non tanto per ragioni di bon ton, quanto perché ha assonanze con la mala sorte e la jella, e quindi con una propensione nazionale a una tematica da cui sarebbe meglio tenersi alla larga.
Nel merito, come non convenire che il parcheggio fuori corso all’università oltre i 28 anni (fatti salvi i casi di studenti che lavorano e altre situazioni particolari) sia negativo? È un vecchio fenomeno alimentato dalla tendenza di molte famiglie a costringere i figli, anche se non ne hanno né voglia né capacità, a restare inchiodati nell’università pur di conquistare l’agognato “pezzo di carta”. Ma qui occorre intendersi. Finora, per contrastare questo processo, si sono fatte solo scelte sbagliate, come l’introduzione della laurea 3+2, ovvero l’incongrua somma di una laurea triennale quasi inutile e dequalificata e di una laurea magistrale biennale che costringe a restare all’università un anno in più per raggiungere un risultato inferiore a quello che si otteneva con le lauree quadriennali. Apprendiamo che la Fondazione Agnelli promuove il 3+2. Su che basi? Su quelle dei numeri: aumentano i laureati, diminuisce di poco il tempo di permanenza all’università. Il che per un verso era prevedibile (visto che la prima laurea è più corta), e per altro verso può essere negativo: c’è proprio bisogno di tanti laureati in più? Della qualità di queste lauree, del livello di preparazione di coloro che ne escono non si cura nessuno: è di nuovo il disinteresse per i contenuti. Su queste basi si avanza una nuova sconcertante proposta: separare del tutto la laurea triennale da quella magistrale, riservata soltanto alle migliori università. Il che prospetta la creazione di un sistema che sforna un gran numero di persone a bassa qualificazione e che, non potendo trovare lavoro in gran parte delle professioni (un laureato triennale in ingegneria, giurisprudenza, chimica, fisica, matematica o architettura è quasi senza prospettive) finiranno col fare lavori per cui basterebbe la preparazione di un buon istituto tecnico-professionale. Avrebbe quindi ragione il viceministro Martone quando dice: «Se decidi di fare un istituto professionale sei bravo». Avrebbe ragione a due condizioni. La prima è che tale affermazione non nasconda un disprezzo per chi fa i licei, perché ci manca solo che si passi dalla svalutazione per la formazione tecnica alla svalutazione per la formazione umanistica e scientifica di base (e i sintomi di una tale tendenza sono evidenti). In secondo luogo, va ricordato che il nostro paese aveva un’eccellente tradizione nella formazione tecnico-professionale che è stata compromessa da una serie di cattive riforme. In che direzione vogliamo procedere? Verso un’ulteriore riforma nel senso di una “descolarizzazione” che si impernierebbe sull’introduzione di un’unica materiona detta “scienze integrate” che dovrebbe introdurre concretezza e praticità e invece riflette soltanto astratte teorie pedagogiche?
Più in generale, per avere il diritto di parlare di “sfigati”, come si parlò di “bamboccioni”, ci vorrebbe un minimo di coerenza e sensatezza nella gestione delle istituzioni educative e soprattutto una seria offerta di prospettive ai giovani. Un esempio: sono passati più di tre anni da quando una commissione da me presieduta elaborò un regolamento per la formazione dei giovani insegnanti. Sebbene approvato non è ancora operativo, né si vede quando e se mai lo sarà. Così da più di tre anni – caso forse unico al mondo – l’accesso dei neolaureati italiani all’insegnamento è sbarrato. Pare che non si perda un’occasione per fabbricare sfigati e bamboccioni.
Il viceministro Martone ha poi intessuto una lode del “secchione”. «Secchione» - secondo il Dizionario Treccani – è «propriamente un grosso secchio» e «con uso figurato spregiativo o scherzoso, alunno che, anche senza avere capacità eccezionali, raggiunge tuttavia risultati discreti o addirittura buoni applicandosi allo studio con ostinata diligenza». Vogliamo rivalutare questa figura? Convengo in toto. Ma allora occorre guardare in faccia la realtà e trarre le dovute conseguenze. Che esista la tendenza da parte degli studenti a disprezzare il “secchione” è cosa vecchia come il mondo. Che questa tendenza alligni nell’istituzione è invece cosa più recente e grave. Un insegnante cui chiedevo perché mai si dessero così pochi compiti a casa mi ha risposto: «Dice bene lei, ma sa quante sollecitazioni ci vengono dall’alto a non “caricarli”, a farli studiare poco?». Ed è proprio così. «Giocare di più, videogiocare, leggere di meno», l’ho sentito dire, e più volte, da persone con il potere di decidere.
Montaigne disse giustamente che è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena: un sacrosanto slogan contro il nozionismo. Alcune influenti correnti pedagogiche l’hanno trasformato nella formula: meglio una testa vuota ma ben fatta (da loro, s’intende) che una testa piena. Dimenticando che esistono sì teste piene e mal fatte, ma non esistono teste ben fatte che non siano ben piene. Da noi si propone insistentemente la scuola della metodologia pura, in cui contano solo le procedure, in cui l’organizzazione supplisce ai contenuti, in cui introdurre tecnologie dovrebbe risolvere ogni problema. Tutto questo nel quadro di una visione ampiamente teorizzata dagli “esperti”: la scuola open space, delle esperienze didattiche personalizzate, dell’apprendimento giocoso a gruppi, scegliendo gli argomenti più graditi in libertà, navigando in rete, con l’eventuale aiuto dell’insegnante-facilitatore.
Vogliamo rivalutare i secchioni? Benissimo. Ma allora ricordiamo che il secchione è uno che studia, e tanto. Non è il geniaccio che va avanti a base di intuizioni e che svolazza suggendo fior da fiore secondo quel che gli aggrada.  Il secchione fa i compiti a casa ed è contento di farli. Il suo molto studiare, se è coadiuvato dalla guida di un buon insegnante (molto più importante di un tablet), può permettergli di fabbricarsi una bella testa. Il “secchione” è quello descritto da Albert Einstein quando disse che il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% per cento sudore. Avremo il coraggio di invitare coloro che gestiscono il sistema dell’istruzione a lanciare il messaggio culturale della rivalutazione del sudore? Chissà che per tale via non diminuisca il numero degli “sfigati”.
(Il Messaggero, 25 gennaio 2012)

8 commenti:

Daniela ha detto...

Credo che la citazione sia di T.A. Edison. Quello che non si riesce a capire e', stante che i ragazzini sanno gia' videogiocare benissimo, e stante che i "contenuti" non soltanto vengono guardati di storto ma sono sempre piu' miseri, perche' si debba continuare a donare sangue a questo carrozzone. Perche' allora non facciamo la scuola delle "competenze concrete" per davvero, dove si vada per poche ore alla settimana e per pochissimi anni, facciamola gratuita e aperta a chiunque voglia entrare, e che insegni l'alfabeto, insegni a dire "Scusi, dov'e' il bagno? Grazie!" (frase importantissima, chi ha viaggiato lo sa) in italiano e in altre lingue, insegni che in Europa ci sono state guerre devastanti per secoli e due guerre mondiali nel secolo scorso che le persone anziane ricordano, e cosi' via. C'e' bisogno di passare una grossa parte del proprio tempo e della propria vita, dai 6 anni fino alla maggiore eta' e oltre, per imparare queste quattro cose? C'e' bisogno di personale qualificato e pagato come tale, per insegnare queste quattro cose? C'e' bisogno di parecchie centinaia di ore ogni anno, anno dopo anno per 11 anni obbligatoriamente, e di fatto, per una ventina? Dopodiche' certo la scuola non potra' funzionare come ascensore sociale - ma ha smesso di farlo da tempo. No, non si puo', sarebbe improponibile. Il che a mio avviso evidenzia che il ruolo della scuola e' ormai prevalentemente, se non esclusivamente, di costruzione dell'identita' e di decostruzione di eventuali identita' non gradite, qualsiasi esse siano.

Bruno Stucchi ha detto...

La citazione la conoscevo riferita a Poincaré. Ma forse è attribuibile a molti.

Giorgio Israel ha detto...

Di certo Einstein l'ha detto, ma può darsi che non sia sua. Comunque aggiungiamoci questa di Franklin: "IL GENIO SENZA ISTRUZIONE E' COME L'ARGENTO NELLA MINIERA". Buona come risposta a Edgar Morin e a quelli della testa ben fatta...

Massimiliano ha detto...

Non so quando si sia diffusa un'opinione contraria, ma da sempre (che per me significa dagli anni 80) si dice che se a 28 anni, ed anche prima, non si è laureati è il caso di riflettere profondamente sulla vocazione verso gli studi scelti, ma non ho capito, e dalle reazioni pare non lo abbiano capito in molti, perché Martone si sia lasciato ad un'affermazione così sguaiata nella forma, pur banalmente vera di base, e con le dovute distinzioni (studenti lavoratori, per menzionare la più comune). Tanto più che una persona che a 26 anni è ricercatore, a 27 associato e 29 ordinario (non so se solo l'idoneità o la chiamata in ruolo) o ha prodotto contributi epocali al suo campo (e per quanto capisco di giurisprudenza non mi sembra il caso) o dovrebbe astenersi da considerazioni del genere.

Myosotis ha detto...

Penso che l'affermazione del viceministro sia forse accettabile all'osteria tra una briscola e un tressette, ma se il prof.Martone pensava veramente di lanciare un nuovo messaggio culturale, sarebbe da bocciare non in marketing e comunicazione, sarebbe da bocciare e basta.

Gianfranco Massi ha detto...

Quindi, indipendentemente dall’autore della citazione, si può dire che il genio si manifesta tra chi suda sui libri. Una volta venivano scherniti come “sgobboni”.

vela ha detto...

Avrei da ridire sul termine "sfigati", infatti il bamboccione ultraventottenne che ancora frequenta l'università raramente ha avuto un colpo di sfortuna o "sfiga" come volgarmente si dice. Diciamo invece che molto dipende dalla pigrizia. Ma anche credo dall'idea che ormai è passata tra i giovani sul titolo di studio spendibile. Nessuno crede più al merito tutti credono alla raccomandazione, e allora perchè pestare tanto la testa sui libri?
Insieme a questo messaggio il vice ministro doveva anche promettere provvedimenti contro questo mal costume italiano che sta demolendo anche i giovani più motivati. Per il resto il professore ha ragione su tutto. Questa riforma dell'università non ha fatto altro che aggiungere ulteriore demotivazione.

GiovaneDiLungoCorso ha detto...

Condivido quanto afferma Vela. Se a 28 anni puoi permetterti di frequentare ancora l'università vuol dire che vivi di rendita. Sfigato è chi, come il sottoscritto a 23 anni si è laureato, a 27 era negli USA... ed ora a 55 anni è piazzato peggio di un bidello...
Il discorso sul "secchione" è molto complicato. A scuola io avevo l'8 fisso con qualcosa in più in matematica e storia.Sulle altre materie ero tra il 6 e il 7. 50/60 alla maturità. Invece c'erano dei compagni usciti con il 60, ed altri più bravi di me. I "secchioni" si dividono in due categorie: superlativi assoluti (cioè che amano lo studio, si impengano e sono intelligenti) ed i superlativi relativi, cioè quelli che vogliono essere più bravi degli altri e vedono lo studio come una competizione. Inutile dire, che i primi sono da considerare, i secondi sono un pericolo pubblico, perchè poco disposti a collaborare.