venerdì 27 aprile 2012

Per il nuovo antisemitismo l'antidoto del presente


Siamo in tempi di dittatura delle statistiche in cui si crede a tutto purché sia espresso in numeri. Quando si legge che il 44% degli italiani sarebbe ostile agli ebrei ci si chiede che cosa s’intenda per “ostilità” e quali domande siano state fatte per arrivare a questa cifra esplosiva. Il numero degli atti di antisemitismo verificatisi in Francia nel 2011 è impressionante, ma occorrerebbe analizzare la natura di questi atti e verificare se non si siano aggregate vicende di importanza diversa. È tuttavia indiscutibile – se solo si pensa alle vicende francesi, al caso Günther Grass, ai segnali provenienti dall’Ungheria – che stia montando in Europa un antisemitismo di proporzioni mai viste da mezzo secolo. Ma il modo con cui si sta affrontando il fenomeno è insoddisfacente.
Tanto per cominciare, sarebbe opportuna una moratoria sulle statistiche per affrontare invece il compito di analizzare i processi sociali e politici che determinano il diffondersi di una rinnovata ostilità contro gli ebrei. Può sembrare una proposta ovvia, ma è un compito che viene per lo più eluso. Come osservò André Neher, la lezione della storia è che gli antisemiti «dispongono di un guardaroba inesauribile: vi trovano la maschera appropriata all’hic et nunc del loro folle ruolo». Ma è proprio l’hic et nunc – il contesto politico e sociale presente – che viene quasi sempre evitato per rifugiarsi dietro la deprecazione del passato. Se era paradossale che negli anni trenta la piccola minoranza ebraica fosse imputata di tutte le disgrazie dell’Europa, ora che questa minoranza è evanescente il paradosso è esplosivo: è l’odio per chi non c’è. La storia passata insegna a ricercare nell’hic et nunc le modalità con cui si ripropone il tentativo di scaricare su una minoranza le colpe di tutti i mali di cui soffre la società. In analogia con quel che accadde negli anni trenta, sta tornando di moda additare gli ebrei come i burattinai della finanza speculativa che provoca la crisi economica e il suo corteo di sofferenze. Ma c’è qualcosa di molto più serio: si tratta della crisi di orientamento delle leadership europee di fronte al declino dell’influenza mondiale del continente e alla sfida che viene dall’altro lato del Mediterraneo, in particolare con il fenomeno dell’immigrazione. L’attentato di Tolosa è il tragico simbolo di questa sfida, la quale invia un segnale preciso: rompete con Israele, abbandonate gli ebrei al loro destino, contrattate le basi di una società multiculturale che contempli zone franche per la legislazione islamica, e avrete la pace. La scelta dell’obbiettivo ebraico punta con perversa lucidità a riaprire la ferita ancora purulenta dell’antisemitismo. Se le classi dirigenti e i ceti culturali influenti in Europa non capiranno che respingere il ricatto equivale a respingere il tentativo di distruggere i fondamenti della democrazia liberale, non saranno soltanto gli ebrei a soffrirne ma l’Europa subirà il secondo colpo distruttivo, dopo quello di mezzo secolo fa.
Questa tematica è in cima all’agenda, ma di grande importanza sono i compiti che spettano a chi vuole combattere il nuovo antisemitismo, e in particolare all’ebraismo europeo. Avanziamo un appello: basta con l’overdose di “memoria”; dimagriamo radicalmente la Giornata della Memoria; nelle scuole si parli dello sterminio degli ebrei durante le ore di storia e si limitino al massimo gli “eventi” (che qualcuno ha chiamato con lapsus freudiano “feste della Shoah”). Si moltiplichino piuttosto le iniziative volte a conoscere la cultura ebraica e a valorizzare tutto ciò che lega profondamente per il passato e per il futuro il mondo ebraico alla civiltà europea. Viceversa, non c’è nulla di tanto insopportabile quanto una presenza che si presenti esclusivamente sotto la veste di vittima il cui ruolo è di suscitare sensi di colpa anche a chi colpe non ha. Non potrò mai dimenticare un “evento” della Giornata della Memoria cui partecipai assieme ad alcuni politici e intellettuali che gareggiarono non per spiegare a duecento adolescenti la vicenda del razzismo nella sua complessità storica, ma per gridare che l’Italia è stato un paese di assassini e di cinici, peggiori dei nazisti, e che questo passato spiega perché l’Italia di oggi sia un paese orrendo. Vedendo i volti turbati dei ragazzi mi chiesi quanti antisemiti erano stati generati da quei comizi. E decisi che, quantomeno per il mio modesto ruolo, d’ora in poi avrei combattuto l’antisemitismo come italiano tra gli italiani, come un italiano ebreo di oggi, e non come testimone di una colpa. La gravità della situazione non consente di insistere su questo devastante errore: poniamovi fine una volta per tutte.
(Avvenire 27 aprile 2012)

3 commenti:

GiuseppeR ha detto...

E' impressionante come il pregiudizio antiebraico sia diffuso.

Qualche tempo fa, un conoscente voleva dimostrarmi che anche il conduttore televisivo Santoro é dalla parte dei "poteri forti", sostenendo che era finanziato dalle "banche israeliane"!

Il mio parroco, persona veramente di grande cuore, parlando della sua esperienza nei luoghi santi, si rammaricava per l'esistenza dei check point e del muro di divisione e si domandava perché la "geopolitica" ha imposto la creazione di quello stato.

Oppure quei colleghi, bravissime persone, che, quando un giorno la discussione del caffé é finita su questo argomento, in coro hanno risposto si, però, se ce l'hanno con loro un motivo ci deve pur essere.

Sembrano frasi "strane", in alcuni casi al limite del ridicolo, ma hanno un comune denominatore, gli ebrei non sono come gli altri esseri umani, sono "diversi" e, in quanto tali sono additabili nei
modi più svariati.

La cosa che mi ha sempre inquietato é che questo pregiudizio non é tipico dei mostri fanatici, ma si insinua in modo subdolo nel cuore delle persone più diverse e, in determinati momenti storici, é capace di uscire dalle singole realtà individuali per sommarsi in una forma potente di energia negativa, malefica.

Ci sono pagine bellissime che cercano di descrivere le cause e lo sviluppo di questi fenomeni (Vasilij Grossman in "Vita e Destino" per esempio) ma anche le più esaustive argomentazioni non possono non far riferimento, almeno implicito, a un fattore irrazionale e inspiegabile.

L'odio antiebraico é così, per me, la dimostrazione tangibile di come il maligno lavori bene e di quali notevoli successi sia capace. Di conseguenza, anche se mi trovo concorde con le considerazioni del professore sullì"overdose" di giornate della memoria e dell'eccessiva esposizione dello stereotipo dell'ebreo vittima da compatire (quello morto, ovviamente, non quello contemporaneo), per contrastare con qualche speranza di successo l'antisemitismo, credo ci sia bisogno di una riflessione più profonda sulla natura umana.

Gianfranco Massi ha detto...

Il razzismo è e resta soltanto “incapacità di pensare”, che poi subito genera il male in assoluta “banalità”(il pensiero corre automaticamente alla illuminante intuizione di Hannah Arendt ). Sì, poniamo fine ai ritualismi della memoria, che trasferiscono la crudeltà dell’accaduto dalla storia ad una specie di fede.

vanni ha detto...

È vero, egregio Professore: star svegli e attaccati all'oggi. La storia non va certamente dimenticata: ma la sua meditazione e la sua tutela non si paralizzino nella sclerosi degli officianti delle ricorrenze, così gravida di ottundimento. Che la storia ci dia - come può - istruzione e bussola, visione sulla congruenza delle prospettive e sulla proprietà degli obiettivi. Per scampare a confusioni e ottenebramenti, si proceda guardando con l'occhio di Giano, sullo spartiacque del presente e acuto in ambedue i sensi.
Continuiamo a evidenziare come il mondo ebraico sia legato alla cultura e alla civiltà non giusto d'Italia, ma d'Europa e d'Occidente - da esserne da sempre quota parte costitutiva e vivo fattore di ascesa - e indichiamolo tanto più quanto più valletti commessi e stregoni della politica che prosperano giulivi a Strasburgo a Bruxelles ed in altri siti magici (talvolta tracimano e te li trovi sotto casa), si affannano per nasconderlo.
Che occasioni sta perdendo questa Europa, che sembra irriflessiva e apatica dirimpetto al suo declino e al suo destino. Immaginare di aver un ruolo di qualche conto (o un ruolo tout court?) o aspirare a qualche riuscita senza cimenti, rischi, sacrifici, confronti mi sembra un po' da idioti.