martedì 1 maggio 2012

LA MISERIA DI ERASMUS



“Europa, forza gentile” è il titolo di un libro di Tommaso Padoa-Schioppa pubblicato una decina di anni fa in concomitanza con il debutto dell’euro. Sulla copertina era rappresentata la ninfa che, secondo il mito, domava la violenza del toro; a simboleggiare il ruolo dell’Europa che, limitando i poteri degli stati opponeva ai miti nazionalisti la parte migliore della sua civiltà: la forza “gentile” del diritto e della cultura. Secondo Padoa-Schioppa molto restava da fare, ma con l’ingresso in scena dell’euro buona parte della costruzione era già realizzata.
Oggi, la formula della “forza gentile” potrebbe suscitare ilarità – se non fosse da stolti ridere – pensando alla commissaria europea per la pesca Maria Damanaki che ha scritto ad Andrea Camilleri intimandogli di «non permettere» al commissario Montalbano di indulgere all’abitudine «inaccettabile nel Mediterraneo» di «mangiare novellame», i pescetti neonati. Se siamo a questo punto è da attendersi che la proposta di epurare la Divina Commedia venga accolta. Altro che Dante: bisognerà fare i conti con le intollerabili scorrettezze dei personaggi di Boccaccio, Ariosto e persino Manzoni. E questo per restare entro i confini italiani: su Shakespeare, Goethe o Rabelais stendiamo un velo pietoso.
Dunque, la “forza gentile”, la parte migliore della civiltà europea, ha preso le forme di un “politicamente corretto” simile a quello in voga negli ambienti statunitensi dominati dal più scatenato sinistrismo “liberal”.
Certo, nell’anno in cui uscì il libro di Padoa-Schioppa si potevano ancora nutrire illusioni. Quel periodo mi ricorda un pranzo in un ristorante parigino con un amico, noto fisico e filosofo della scienza francese. Erano i primi giorni in cui circolava l’euro. Il mio amico dispose sul tavolo una moneta da un euro coniata in Italia e una coniata in Francia: sulla prima, l’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, l’uomo “misura di tutte le cose”; sulla seconda, l’albero della vita racchiuso nell’esagono, simbolo dei confini della Francia. Egli sottolineò la differenza di stile tra la moneta “italiana”, impregnata di spirito umanistico e quella “francese” intrisa di nazionalismo, e francamente brutta. Una situazione analoga era proposta dal confronto tra la moneta da 2 euro di conio italiano, con il volto di Dante, poeta universale, e quella di conio tedesco che proponeva la solita aquila. La chiacchierata conviviale non stimolava solo considerazioni ovvie – la persistente vitalità del senso artistico italiano, una propensione umanistica favorita da un nazionalismo debole a fronte di quello forte francese e tedesco – ma anche riflessioni circa gli ostacoli da superare per costruire una vera unificazione, di cui la moneta unica poteva essere soltanto un “gancio”, ma che doveva poggiare su un’unificazione culturale, senza la quale l’unificazione politica era impensabile.
Non si trattava in fondo di inventare nulla. Gli scambi culturali sono stati sempre una caratteristica della civiltà europea, nonostante gli interminabili conflitti e anche nei periodi di massimo oscurantismo. Quando esplose la rivoluzione scientifica l’Europa era dominata dal fondamentalismo religioso e dall’intolleranza, eppure le opere di Galileo, Cartesio, Newton, Leibniz circolavano come un patrimonio di tutto il continente. E così fu nei secoli successivi. Indubbiamente, questa comunanza culturale, al di sopra di nazioni e lingue, era un fenomeno di élites, mentre oggi la sfida di un’unificazione che investa i popoli è ben più complessa e difficile. La posta in gioco era stata compresa ben prima dell’ingresso in scena dell’euro, già nel 1987, quando si mise in piedi il “programma Erasmus” volto a favorire la circolazione di migliaia di studenti da un paese all’altro, per avvicinarli alle altre culture nazionali, apprendere loro ad amarle come la propria, anzi a considerarle come “la propria” cultura, anche imparando alcune delle lingue principali del continente.
Il mio amico francese enunciava un principio generale: non ha senso identificare una sola lingua (l’inglese) come mezzo di comunicazione, perché questo servirebbe solo a garantire gli scambi minimi e non risolverebbe il problema della progressiva acquisizione reciproca delle culture nazionali, che si sono consolidate attraverso tradizioni letterarie secolari e lingue raffinatissime. Occorre essere realisti. Una sola lingua può bastare per il turismo o per le comunicazioni tecniche. D’altra parte, il livello di comunicazione sofisticato delle élites dei secoli passati non può essere esteso a strati più ampi. Ma è pensabile educare nuove generazioni di laureati europei (milioni di persone, molto di più di una élite) che conoscano bene un paio di lingue oltre la propria, e abbiano la capacità di intenderne passivamente almeno un’altra. Ma perché questo funzioni occorre accettare un principio “politicamente scorretto”: prendere realisticamente atto del fatto che non tutte le culture europee sono parimenti importanti (per quanto tutte, compresi i dialetti, siano rispettabili e degne di essere preservate). Non tutte le lingue hanno lo stesso grado di importanza. È inevitabile accettare che quel paio di lingue da conoscere bene, ed anche le altre da conoscere discretamente siano le lingue delle culture europee “portanti”. Nei fatti, la tendenza è stata ed è questa: la stragrande maggioranza degli studenti Erasmus si è concentrata in Spagna, Francia, Italia, Germania e Regno Unito e nelle scuole si studiano soltanto alcune lingue “fondamentali”.
Ma il realismo non è stato, e sempre meno è, l’anima della costruzione europea che ha scelto come ideologia il “politicamente corretto”, il quale si situa agli antipodi del realismo. In fondo, nella chiacchierata conviviale con l’amico francese sarebbe bastato poco per capire cosa ci attendeva. Sarebbe bastato mettere sul tavolo accanto alle monete metalliche i biglietti della carta moneta europea. In essi era condensata l’immagine dell’equivoco di fondo, della detestabile ipocrisia di cui oggi vediamo la manifestazione quando, come i famosi polli di Renzo dei Promessi Sposi, i paesi europei si beccano secondo inveterati tic nazionalisti – l’Italia che incolpa la Spagna di essere una fonte d’infezione e la Spagna che rimprovera all’Italia una cattiva riforma del lavoro – ma con le zampe legate dalle regole comunitarie.
Basta guardarli quei biglietti: non una sola immagine dei grandi monumenti di un continente che raccoglie gran parte dei beni artistici del mondo, non una sola effigie dei grandi letterati, scienziati o musicisti europei. Il perché è chiaro. L’Italia avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta nel proporre monumenti o effigie di pittori: ma ciascuno di essi doveva essere controbilanciato da un pari numero di maltesi o finlandesi. La Germania avrebbe potuto proporre stuoli di musicisti: da controbilanciare con musicisti ciprioti o bulgari. Fin dall’inizio non è stato accolto il principio che mettere il volto di Cervantes, di Newton o di Cartesio su un biglietto da 10 euro significava rendere omaggio non a uno spagnolo, a un inglese o a un francese, ma a un grand’uomo “europeo”. L’inizio del superamento delle divisioni nazionalistiche doveva manifestarsi nell’accettazione piena che le culture nazionali erano da considerare come un patrimonio comune e che, senza offesa, qualcuna ha da offrire di più. Ma non è andata così. I biglietti di carta che ci scorrono tra le dita da più di un decennio – con l’assenza di figure concrete sostituite da assurde immagini di elementi architettonici astratti – sono l’immagine della miseria morale e culturale su cui si è costruita l’unificazione e del mancato superamento delle contrapposizioni e degli egoismi nazionali. Altro che “forza gentile”…
Sono ben noti gli effetti grotteschi di tale egualitarismo: per esempio, le esorbitanti spese di traduzione nelle istituzioni comunitarie. Chiunque può esercitarsi nel calcolo delle combinazioni a due a due tra più di venti lingue e dell’esercito di traduttori che richiedono. Ma non è di questi effetti kafkiani che vogliamo parlare quanto delle loro cause che sono date dalla sintesi tra il politicamente corretto e il suo inevitabile compagno: la tecnocrazia e la sua pretesa di ridurre i problemi culturali a problemi tecnici. L’eurocrazia ha coltivato l’illusione che si possa creare una cultura come sintesi di una scelta “educata” e paritaria di parti selezionate delle culture nazionali o addirittura definendo a tavolino i principi di una nuova cultura europea. Nel migliore dei casi, si è consentita quella limitata scelta che evocano le immagini delle monete metalliche; nel peggiore dei casi si è inventato un ectoplasma di cultura europea ben rappresentato dal vuoto squallido della carta moneta, metafora del metodologismo puro. Inoltre, la tecnocrazia giustifica il suo vuoto con la pretesa di procedere “scientificamente”. Perciò essa deve affermare la pretesa che le regole che essa impone producano effetti verificabili, quantitativamente misurabili. Quindi, nella valutazione di un progetto culturale quel che conta non sono i contenuti, ma i parametri quantitativi che lo caratterizzano.
Prendiamo il caso del programma Erasmus, che era nato con un intento di creare un effettiva conoscenza reciproca delle culture nazionali. Non è esagerato dire che i suoi aspetti positivi sono stati progressivamente erosi e vanificati dall’imporsi della dittatura dei parametri e del politicamente corretto. Se il successo del programma si misura con i numeri, ogni paese si affannerà a salire nelle classifiche di chi accoglie più studenti, senza preoccuparsi di quel che fanno, di cosa apprendono e se imparano la lingua. Ricordo bene gli studenti Erasmus di parecchi anni fa, che seguivano con scrupolo i corsi e facevano ogni sforzo per apprendere l’italiano. Ricordo bene l’intemerata che feci ai miei studenti quando risultò che la prova scritta meglio redatta in italiano era quella di uno studente olandese. Gli studenti Erasmus di ora chiedono di fare l’esame nella loro lingua, non hanno tempo e voglia di studiare l’italiano, si irritano se non ottengono un buon voto anche se non sanno nulla. «Lei mi mette in difficoltà con la mia università», protestava uno studente francese bocciato perché aveva ritenuto fosse sufficiente per superare un esame di storia della matematica leggere l’articolo relativo su Wikipedia… Del resto, per capire a cosa è ridotto l’Erasmus basta navigare in rete. Un sito che fornisce consigli in materia indica la Spagna come meta ideale «soprattutto per la bellezza del paese e la voglia di divertirsi della gente». «Amante dello sci? Granada. Soffri il caldo? Evita la meravigliosa ma afosa Siviglia. Ti piace il surf? Cadice è perfetta». Uno studente italiano, alla mia proposta di seguire un corso a Parigi replicava: «A Parigi sono già stato. Mi trovi qualcosa a Barcellona o a Berlino».
Inutile dire che i giovani europei non sono sciocchi e corrotti, ma percepiscono al volo che cosa si chiede loro, e cioè un insieme di procedure che rivestono il nulla. L’Erasmus è soltanto un esempio e tanti altri se ne potrebbero fare. Senza affannarsi troppo a sviluppare analisi, v’è qualcosa che rappresenta in modo perfetto il fallimento del progetto di unificazione culturale del continente: le famose otto “competenze chiave di Lisbona” raccomandate dal Parlamento europeo nel 2006.
Lo abbiamo detto: la via maestra per promuovere l’unificazione culturale del continente era di assumere come base le sue culture nazionali nella loro pienezza, ricchezza e integrità, e formare nuove generazioni che le vivessero come elemento della propria identità. Sarebbe stata un’impresa titanica e certamente molto lunga che avrebbe richiesto la valorizzazione piena delle istituzioni educative e culturali di tutti i paesi, ma che era l’unica via realistica e concreta. L’alternativa era il corto circuito tecnocratico dettato dalle esigenze economiche: infischiarsene della cultura e stabilire le condizioni minime per realizzare la mobilità del “capitale umano” e la sua “integrazione nel mercato del lavoro”. Questa è stata la soluzione falsamente concreta, di fatto irrealistica e distruttiva, scelta dall’eurocrazia. Le condizioni minime di cui sopra sono le otto competenze chiave di Lisbona, quella «combinazione di conoscenze, abilità e attitudini» necessarie alle “persone-risorse” del continente per la «cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione». Inoltre, siccome occorre essere “scientifici”, queste competenze debbono essere “misurabili”, in conformità con i “parametri di riferimento” stabiliti dal Consiglio d’Europa.
Ricordiamone rapidamente l’elenco: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale.
Chiunque può leggere i documenti ufficiali e rendersi conto come dietro queste sigle non ci sia nulla: parole vuote di qualsiasi contenuto, vuote come la carta-moneta dell’euro. Per esempio, la competenza matematica è l’abilità di applicare il pensiero matematico per risolvere problemi quotidiani, nella sfera domestica e sul lavoro. Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento. Le competenze sociali e civiche debbono servire a partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita civile e a risolvere i conflitti. L’ottava competenza – l’unica in cui si cercherebbe una parvenza di contenuti culturali – si riduce alla «consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni» e alla «consapevolezza del retaggio culturale locale, nazionale ed europeo»: basta esserne consapevoli, quanto a conoscerlo è faccenda che non interessa. Non c’è un riferimento a una tradizione culturale, scientifica o artistica, a qualcosa di specifico che sia indicato come fondante dell’identità europea. Nulla di nulla.
Come accade sempre, il vuoto concettuale mobilita chi non ha nulla da pensare e sguazza nella metodologia. È proliferato così un esercito di specialisti del niente, che si sono adoperati e si adoperano con determinazione implacabile ad applicare vuote formule, a costruire le reti burocratiche e amministrative necessarie tale applicazione e a costruire la “scienza” della misurazione delle competenze. Questo esercito eurocratico, con la solita parola d’ordine «l’Europa lo vuole», è riuscito a mobilitare divisioni nazionali di soldati delle competenze che si applicano indefessamente a sostituire le conoscenze con la metodologia, il sapere con il “saper fare”, i contenuti con le regole, mediante un diluvio di prescrizioni e di formulari degni dei più soffocanti regimi dirigisti.
Si è così prodotto un fenomeno straordinario e paradossale. L’intento dell’unificazione culturale si è trasformato in un progetto immenso e metodico di distruzione della cultura europea per quel che è stata realmente, il quale, passo dopo passo, divora persino il ricordo dei letterati, degli scienziati, dei musicisti, degli artisti che hanno disseminato il continente di opere artistiche e architettoniche.
Questa è la “forza gentile” che come un esercito di termiti tecnocratiche sta sgretolando pezzo a pezzo le culture nazionali che dovevano essere i mattoni costitutivi dell’identità culturale del continente. Siamo certi che anche un europeista, ma colto e intellettualmente onesto quale era Tommaso Padoa-Schioppa, resterebbe inorridito di fronte a questa mutazione della “forza gentile” in un Moloch buro-tecnocratico che divora la “parte migliore” della civiltà europea.
(Il Foglio, 25 aprile 2012)

28 commenti:

Pietro Pagliardini ha detto...

Professore, lei dice di Padoa Schioppa che a quel momento era forse lecito sperare, ma io non credo che sia proprio vero. Nel momento stesso in cui nasce una moneta unica senza uno Stato alle spalle, deprivando ogni paese della propria moneta nazionale, che non è vile denaro ma il primo segno tangibile dell'unità di una nazione, è chiaro che si parla di un'architettura istituzionale, e quindi di un'anima, astratta e separata dalla realtà. Nel momento stesso in cui le monete hanno architetture astratte, pur con tutto l'immenso patrimonio architettonico presente in ogni parte d'Europa, io vedo un disegno ab origine universalista e necessariamente burocratico, senz'anima e teso ad annullare le singole identità culturali nazionali. Non posso non vedere dietro un progetto preciso portato avanti con caparbietà e determinazione. D'altra parte l'euro è entrato sotto il segno di politici-banchieri o economisti, non certo da uomini di cultura umanista.
Se, come lei dice, quelle monete sono frutto di un compromesso per non stare a litigare, per non stabilire inevitabili graduatorie di merito, vuol dire che l'Europa non era ancora pronta e quindi partire dalla coda, cioè dalla moneta, è stato un errore mortale e imperdonabile. Non nego la validità di un sogno europeista, che però era figlio della guerra e del desiderio di tenere a freno la Germania, ma i sogni possono trasformarsi rapidamente in incubi, e adesso siamo arrivati a quelli.
L'Europa non potrà essere che quella dei popoli, ognuno con la propria cultura, con la propria diversità e non la marmellata ideologico-burocratico che ci ritroviamo adesso. Questa è una unificazione (mancata) forzata, il cui unico collante è stato, fin dall'inizio, l'economia e la finanza. Ma anche qui vale lo stesso discorso della cultura. Ogni popolo ha le sue peculiarità, la sua struttura economica più congeniale alla propria storia e al proprio carattere e non si può distruggere il tessuto produttivo fatto di piccole e medie industrie italiane imponendo le regole proprie della grande industria tedesca. Questa è l'Europa del "grande è bello", l'Italia è il paese del "piccolo è bello". Infatti hanno ormai distrutto le professioni liberali, campo di eccellenza di questo paese, prima con le lauree triennali, poi con il mantra delle liberalizzazioni. Se è vero che le professioni sono diventate nel tempo una casta e hanno mostrato, nella loro organizzazione e strutturazione corporativa, la necessità di una nuova regolamentazione più libera, aperta al mercato e rispettosa del cliente, è altrettanto vero che le azioni compiute sono servite solo ad annientarne la loro forza economica e culturale, mettendole sullo stesso piano dell'idraulico, con tutto il rispetto dovuto all'artigiano, anch'esso massacrato dalle "regole".
Temo fortemente che finirà del peggiore dei modi e ci ritroveremo non solo un'economia impoverita ma avremo anche perso l'unica vera materia prima che possediamo: la nostra cultura, la nostra creatività, la nostra capacità di risolvere problemi complessi con un'alzata di ingegno. Insomma, il famoso "stellone", che non è fortuna, è capacità, estemporanea nella forma in cui si manifesta, ma che è in realtà figlia di un patrimonio culturale tramandato dalla scuola, dagli esempi che vengono studiati, dalle tradizioni familiari. Dalla tradizione, in una sola parola. Quella tradizione che non è presente nemmeno nelle banconote. Tutto questo non potrà più essere, schiacciato sotto il peso di inutile "procedure", carte, moduli, linguaggio kafkiano, certificazioni: insomma, la vittoria del metodo sopra ogni cosa, il merito completamente assente. Nella scuola ma anche nel mondo del lavoro.
Cordiali saluti
Pietro Pagliardini

Giorgio Israel ha detto...

Che dire? Sottoscrivo tutto, parola per parola. È proprio quel che ho voluto dire. E quanto a Padoa Schioppa, ho voluto essere soltanto educato e non troppo aggressivo.

Gianfranco Massi ha detto...

Penso che non a caso sia stato scelto il nome Easmus per un progetto che, in fondo, finisce per produrre una gioiosa comunanza turistica tra giovani. Erasmo da Rotterdam non avrebbe turbato la coscienza di nessuno. Il secolo del candidato non poteva essere che il 500, che però inizia con il giovane Copernico e termina con il povero Giordano Bruno , entrambi troppo estremisti. Erasmo è l’umanista perfetto

Luigi Sammartino ha detto...

Padoa Schioppa parla di Forza Gentile perché all'Europa c'hanno creduto solo gli italiani.

Integrare l'Europa dal punto di vista culturale é invece difficilissimo. Le differenze linguistiche sono la prima barriera, ma ve ne sono altre. La piú iportante é l'impopolaritá del progetto europeo stesso. I tedeschi l’Europa non l’hanno mai voluta, é risaputo. E i francesi hanno bocciato con il referendum la costituzione europea.

La scuola avrebbe dovuto fare uno soforzo massacrante per unire popoli che si sono sempre detestati, e questo avrebbe richiesto investimenti enormi, con risultati incerti. Soprattutto le televisioni ci avrebbero dovuto bombardare di programmi culturali in modo da accendere una specie di “patriottismo europeo”.

In realtá, come sempre, il progetto europeo é una costruzione fittizia nata da una esigenza economico-commerciale. Difatti é una una derivazione della vecchia Comunitá Economica Europea. Ma se l'economia non regge, ecco che il fragile fondamento di questa Unione comincia a traballare. E dato che l'economia ha andamenti ciclici troppo rapidi, si fa presto a concludere.

Secondo me, uscire dall'euro non serve a niente. Il problema non é l'euro. Il problema é che l'Europa si é impoverita perché una buona fetta della produzione industriale se n'é andata in Cina e nei paesi dell’est dove I salari sono da fame. Salari bassi significano bassi introiti fiscali, e quindi I governi si devono indebitare.
La Merckel se la prende con l’Italia ma nasconde la sua falsa coscienza. In Italia la botta é arrivata prima, ma ora sta per arrivare anche il turno dei tedeschi. Nel paese dove non c’é il salario minimo per legge la maggioranza guadagna 6-700 euro al mese. Pochi giorni fa c’é stato uno sciopero generale dei trapsorti per via dei salari troppo bassi, ed é di oggi la notizia che Lufthansa sta per fare la stessa fine di Alitalia.

Luigi Sammartino ha detto...

Mi scuso. Ho scritto "Padoa-Schioppa parla..." usando il verbo presente per errore. Essendo Padoa-Schioppa non piú in questa vita sento il dovere di scusarmi per il mio errore.

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Caro Professore, e cari utenti, vi spero tutti in buona salute, per iniziare. Interessante questo pezzo: raccontando un poco di me, ricordo quand'ero studente e si cominciava a parlare di "Programma Erasmus", nutrivo non pochi dubbi (va aggiunto che, sendo io svizzero, ho sempre guardato con una discreta diffidenza al progetto Europeo così com'era concepito e che sfortunatamente s'è rivelato). Ricordo alcuni compagni che decisero di provarlo: molto raramente venivano scelte mete universitarie in base al prestigio dell'Università e degli interessi scientifici veri e proprî, ma in base al tasso di divertimento che la città prescelta offriva. E pure (ho studiato all'ETH, Zurigo) si guardava al fatto che in altre università alcuni esami erano onestamente più semplici da superare che non da noi. Insomma, anche osservando intorno a me, salvo rari esempî, ho sempre visto il programma Erasmus come una buona idea che è stata "naturalmente" pervertita in tutt'altro, ovvero in un anno o più di bagordi lontani da casa e da controlli. Non sarà sempre così, sia chiaro. Instilla amarezza constatare come la società moderna occidentale in quasi tutti i suoi ambiti riesca a rovinare, "ammuffire", ogni buona idea: talvolta, scusatemi, mi sembra proprio di vivere nell'Impero Romano d'Oriente prima della sua caduta, in una società "molle", che dimentica o vuole dimenticare tutte le sue radici, tutto il sapere, in una specie di (scusate l'anglismo) "bliss" (un stordimento, non saprei vederlo meglio). Malgrado la società islamica mi sembri aberrante dal mio punto di vista, la percepisco più "vitale" e capisco come possa vedere noi occidentali e non me ne stupisco. (Lungi dall'accettare questo, sia chiaro!). Siamo un po' come i romani che gozzovigliano, e non si accorgono che i barbari sono già alle porte. Non so, pecco di pessimismo?
Cari saluti e grazie per le riflessioni stimolanti a tutti,

c.

Giorgio Israel ha detto...

È un commento che condivido al cento per cento.Grazie per i saluti. La salute non è ideale ma pazienza.

Nautilus ha detto...

Caro Rossi, grazie per i gentili auguri di buona salute estesi a noi utenti, però sì, a mio ultramodesto avviso lei pecca di pessimismo, almeno nei confronti della società islamica percepita come i vigorosi e vitali e aggressivi barbari che si preparano a spiantare la nostra decadente civiltà europea. A me pare che sempre quando una nuova potenza estromette la vecchia vuol dire che dispone di una superiorità militare, economica o almeno scientifico-culturale. Di queste cose nel mondo arabo, con tutto il rispetto, non se ne vede traccia, quella che lei considera vitalità a me pare l'ennesima crisi che travaglia quelle sfortunate popolazioni dalla fine dell'impero ottomano.
Dico "sfortunate" perchè prima dominate dall'Occidente, poi dalle vari satrapie militari o teocratiche.
Gli eventuali futuri dominatori del mondo ed eversori del nostro stile di vita per me stanno altrove: Cina e Russia per esempio, che hanno ben altre risorse soprattutto economiche per farci forse diventare periferia, in un tempo comunque non troppo prossimo.
Se poi lei si riferisce a una penetrazione culturale e ideologica dell'Islam in Europa ancora peggio: abituati come siamo ormai nella stragrande maggioranza alle conquiste dell'Illuminismo, spero non crederà di essere il solo a giudicare aberrante una società in cui la legge divina diventa legge civile

Raffaella ha detto...

Nemmeno io credo si ritornerà indietro rispetto alle conquiste dell’Illuminismo. Per quanto grave sia la crisi che in Europa stiamo vivendo, mi sembra impossibile possano davvero attecchire concezioni tanto aberranti come quella che ha, tanto per fare un esempio, il mondo islamico nei riguardi delle donne.
Ciò non toglie però che davvero i barbari siano già alle porte, se intendiamo per “barbari” i nuovi poteri economici (provengano essi dalla Cina o dalle banche occidentali) che, approfittando dell’impoverimento dell’Europa (la cui produzione industriale si è già in larga misura trasferita altrove), e di quello stato di “stordimento” in cui ci troviamo, determineranno forse molto presto grandissimi mutamenti (in peggio) delle condizioni di vita.
E’ già un dato di fatto che si debba oggi lavorare molto di più guadagnando di meno. Già ci stiamo rendendo conto che i servizi essenziali da soli prosciugano le tasche, regalando a noi europei la poco piacevole sensazione di essere in trappola: se cerchiamo di evitare il “consumismo”, ci accorgiamo che proprio i consumi che non si possono evitare (sanità, trasporti, metano…) diventano sempre più costosi. Lo spettro che si aggira per l’Europa è quello della povertà, che si accompagna al peggioramento del livello di istruzione.
Basti pensare alla scuola di oggi. Alle imprese che delocalizzano all’estero. Ai posti di lavoro che non ci sono più.
Resto ottimista pensando che, qualunque cosa succeda in Europa, le sue idee migliori germoglieranno nuovamente, così come quando cadde l’impero romano: la romanità, come idea, non cessò affatto di esistere, ma divenne un modello che condizionò tutto il millennio medioevale. La società romana crollò, ma, di fronte all’elevatissimo livello di evoluzione che aveva raggiunto, il primitivo mondo germanico non tardò a manifestare un’inevitabile soggezione.
Nella grande depressione in cui cadde l’Europa dopo le invasioni barbariche, l’idea della società romana fu quella che permise la nascita di un nuovo modello di società civile.
Resto ottimista nel pensare che in Europa la metamorfosi avverrà senza recedere dalle conquiste che ergono la civiltà occidentale a modello nei constumi, nell’economia, nelle tecnologie.
Ma di quali siano i sacrifici che nel frattempo la maggior parte di noi, e dei nostri figli, dovrà affrontare, io personalmente me ne sto già rendendo conto.
Ricambio gli auguri di buona salute che Carlo Antonio Rossi ha rivolto a tutti noi, rafforzandoli simbolicamente con un calice di meraviglioso vino bianco del mio Friuli (che gli amici cinesi non sono ancora riusciti a copiare).

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Carissimo Professore e Carissimi tutti e tutte, vi spero in buona salute. Non nego di essere animato da un discreto pessimismo, pero' con tutta l'onesta' possibile, io non riesco a guardare al mondo islamico come l'ennesima crisi di cui e' preda un popolo sfortunato. A costo di essere politicamente scorretto, io non riesco proprio a vedere buona volonta' e buone intenzioni nel variegato mondo dell'Islam e nel modo in cui si pone di fronte al mondo occidentale. Mi si permetta di dubitare un po' di una fede religiosa fondata da un guerriero: qui non stiamo parlando di un sacerdote egizio (cito Freud) o di un rabbino ortodosso spinto da impulsi innovatori, qui stiamo parlando di un capo guerriero. Non pretendo di giudicare avvenimenti di 1300 e passa anni or sono con le mie categorie mentali, ma questo fatto e' patente. E si riflette, con poche lodevoli eccezioni come i sufi (che peraltro appunto vengono bistrattate, e qui uso un eufemismo), nel modo in cui questa religione si e' diffusa. Mi limito a capovolgere il punto di vista: se io fossi un mussulmano credente e vedessi come il mondo occidentale rinnega se stesso, penso che non avrei nei suoi confronti il minimo dubbio su come comportarmi. Non si puo' pretendere rispetto delle nostre conquiste da parte di "alieni" (in senso psicologico e sociale), quando la societa' occidentale stessa non ha rispetto dei suoi traguardi e delle sue radici. E' diventato comune guardare alla civilta' europea come a qualcosa di negativo: certamente, nel corso dei secoli la storia non mostra sempre un'Europa aperta, pacifica, tollerante. Ne abbiamo avuto la dimostrazione settanta anni fa. Ma non mi sento per questo di liquidare le radici della nostra civilta' in un esperimento di "igiene sociale" che non fa altro che farci apparire sempre piu' miserrimi. Sia chiaro, e' una mia opinione. Cari saluti e grazie per lo spazio.

Grazia Dei ha detto...

Personalmente mi sento più vicina al pessimismo realistico di Carlo Antonio Rossi.
E' vero che i popoli islamici nordafricani e mediorientali non sembrano avere molto da offrire, ma sono giovani e spesso radicali nelle loro convinzioni religiose e ideologiche, arrabbiati con l'Europa e l'America per varie seppur opinabili ragioni. Ciò li rende sul piano della forza vitale più forti di noi.
Anche all'epoca di Maometto, del resto, gli Arabi erano divisi in tribù spesso in guerra fra loro ed erano allevatori nomadi o, al massimo, mercanti, ma questo non ha impedito loro di creare un'impero che si è fermato, per grazia di Dio, solo alle porte della Francia. Oggi l'Iran è a passo (o ce l'ha già?) dalla bomba atomica e se gli iraniani non riusciranno a disarcionare il loro folle regime...
Non credo li fermeremo con i nostri illuminati costumi decadenti e con la nostra pseudo-tolleranza.
Certo l'ottimismo è una buona cosa, ma non vorrei che fosse come quello di Candido. Il solo pensiero che in futuro "qualunque cosa succeda in Europa, le sue idee migliori germoglieranno nuovamente" mi mette i brividi ed è una magrissima consolazione a causa di quel "qualunque cosa" che sembra aspettarci.
Peraltro, va bene non essere credenti, ma come si fa a parlare di Medioevo e di civiltà europea facendo risalire tutti i suoi meriti alla romanità pregressa e trascurando del tutto il ruolo che in essa hanno avuto il cristianesimo, la Chiesa, i monaci benedettini ecc.?
E qualcuno parla di manuali di storia europea condivisa!
Tuttavia neanche io sono pessimista perché so che Dio c'è.

Nautilus ha detto...

Cara Grazia, eh no che non li fermeremo "con i nostri illuminati costumi decadenti e con la nostra pseudo-tolleranza"! :)
Li fermeremo, come li fermiamo da tre secoli, con la nostra schiacciante superiorità tecnica e militare. Se ne dubiti basta che guardi Israele: son 4 gatti, per di più circondati da ogni lato da paesi e popoli che dire nemici è poco, fanatici e numerosissimi e armatissimi e pronti a buttarli a mare, una situazione strategica che credo non abbia precedenti storici per quanto è sfavorevole.
Bene, li han sempre disfatti con relativa facilità. E la ragione è chiara: Israele è un paese di estrazione occidentale, con le risorse tecniche e militari di una potenza occidentale: e da tre secoli in qua, grazie alla tecnica, al confronto con gli occidentali gli eserciti orientali non possono reggere, non più di quanto l'esercito irakeno abbia retto agli americani, o i pellerossa alle armi a ripetizione.
L'unica arma efficace in mano ai mussulmani è il terrorismo, ma il terrorismo da solo non può vincere, è un dato di fatto.
Nel momento in cui ti scrivo ci sono eserciti occidentali che occupano paesi mussulmani, non viceversa.
Al tempo delle scimitarre cui fai riferimento probabilmente Israele non sopravviverebbe magari saremmo in pericolo anche noi, al tempo dei carri Merkava e degli F15, non c'è proprio gara.
L'atomica iraniana? Stesso discorso, gli ayatollah e compagni sanno benissimo che alla prima mossa in quel senso l'Iran si ridurrebbe a una distesa vetrificata per la reazione israeliana e americana.
Per quanto riguarda la penetrazione culturale, Khomeini disse in una intervista (non ricordo se alla Fallaci):"L'Islam conquisterà l'Europa, è chiaro come il cristallo"
Son passati quarant'anni da questa previsione e non mi pare proprio che si siano avvicinati alla meta, a meno che non si consideri l'ormai lontana e propagandisticamente gonfiata preghiera collettiva in piazza Duomo il primo scalino della conquista.
Cara Grazia, ricorderò sempre quando agli esami di stato l’esaminatore voleva convincermi che gli inglesi avevano resistito a Hitler perchè ispirati dal sacro fuoco della libertà, con io che sostenevo che senza la marina e soprattutto la RAF che aveva aerei migliori dei tedeschi avrebbero fatto la fine di tutti gli altri, afflato libertario o no.
Non ho cambiato idea, se non sbaglio era Stalin che chiedeva quante divisioni avesse il Papa, ora mi chiederei quante ne ha l’Islam prima di preoccuparmi.
Come dice Carlo Antonio è solo una mia opinione, ovviamente.

vanni ha detto...

Ma Nautilus 5/09/2012 06:14:00 PM egregissimo! dopo tutti i suoi discorsi pieni di tranquilla sicurezza sulle risorse militari mi deve proprio uscire con Stalin e le divisioni del Papa!

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Caro Professore e cari tutti e tutte, vi spero in buona salute (perdonate questo "incipit"). In effetti, l'intervento di Nautilus mi sembra un po' estremo. Voglio riconoscere che pure io, nelle mie riflessioni pessimistiche sul futura del mondo occidentale come l'Impero Romano d'Oriente nella sua decadenza, mi sono fermato a pensare che non è una casualità che sia stato un profeta guerriero a unificare un mondo arabo che altrimenti sarebbe rimasto uguale a se stesso nei secoli dei secoli. Con tutto il rispetto, questo fatto solo dovrebbe far riflettere chi si ostina a vedere la religione islamica tutta come una religione di pace. Sia chiaro: sono sorte correnti al tuo interno illuminate, ma è innegabile che siano state messe in minoranza. E personalmente non credo che il colonialismo sia l'unico fattore scatenante. Può aver contribuito ad una radicalizzazione, ma certi caratteri di fondo già c'erano. Posso diffidare di chi cerca di vendermi il Ji'had come ad uno sforzo intellettuale di diffondere l'Islam? Che significa "sottomissione", mica libero anelito, mi sembra. Viene da pensare, e mi vergogno perché sembra quasi razzismo, che i popoli arabi abbiano bisogno di figure di profeti guerrieri: la storia ne è piena, inutile negarlo, credo.
A me piacerebbe pensare che tutto questo sia una sorta di "doglia" (non scrivo "messianica" perché avrebbe poco senso, vero Professore?) che preluda a qualcosa di buono, ma non ci riesco. Miei limiti, sicuramente.
Cari saluti.

Nautilus ha detto...

Ma, caro Vanni, ho rammentato quell’ironica battuta staliniana per ribadire che le questioni morali nei conflitti contemporanei hanno molto meno importanza di una volta, quando Napoleone poteva sostenere che in guerra queste contano per ¾, oggi puoi essere feroce e motivato e numeroso quanto vuoi ma se non hai armi adeguate o non le sai usare sei destinato a soccombere.
La lessi nelle memorie di Churchill riferita all’influenza morale che il papa poteva esercitare, che Stalin, in mancanza di una forza militare a sostenerla, evidentemente sprezzava. Quella che si chiamerebbe realpolitik.
Quanto alla mia tranquillità è relativa, son sicuro (e se ne vedono già i segni in Francia e Grecia) che se si accentuasse la pressione islamica in Europa, come reazione crescerebbero molto movimenti e partiti xenofobi e razzisti, se non addirittura nazisti, con nefaste conseguenze per i mussulmani europei e per noi.
Io credo che i mussulmani lo sappiano benissimo, altro che Khomeini.

vanni ha detto...

Egregio Nautilus 5/10/2012 12:39:00 PM , senza impegolarsi in questioni morali, si può riconoscere che l'idea di fondo dell'ironia di Stalin si è rivelata di corto respiro.
In Occidente negli ultimi tempi, in generale e in particolare quando si riflette - ahimè - di faccende militari, si sta restituendo grande attenzione alla “motivazione”, lasciata per un certo periodo in secondo piano nella considerazione, rispetto alla tecnica e alla forza.
Del resto, senza scomodarsi a guardare indietro nella storia, qualche volta càpitano cose sorprendenti anche nel calcio.

Raffaella ha detto...

Gentile Grazia Dei, è vero, non ho citato il Cristianesimo, la Chiesa, i monaci benedettini, ma ciò non significa affatto non riconoscerne il ruolo; desideravo soltanto sottolineare come certe fondamentali conquiste di civiltà possano sopravvivere ed avere la meglio anche sul più barbaro dei popoli, risultando determinanti per la nascita di nuovi evoluti modelli di società civile.
Quando in un discorso si vuole sottolineare un concetto, può succedere che non si mettano in evidenza altri elementi altrettanto o maggiormente importanti, semplicemente perché li si danno per scontati, a maggior ragione nello spazio ristretto di un blog. Se questo non si è colto, evidentemente mi sono espressa in modo equivoco e incompleto, anche se il Suo commento “va bene non essere credenti, ma come si fa a …” fa piuttosto pensare ad una conclusione affrettata sotto l’influenza del pregiudizio.
Non credo che le conquiste di civiltà verranno annullate sotto la spinta della crescita demografica delle popolazioni islamiche, la cui religione si basa molto sulla paura: di Allah, della morte, dell’inferno; paura con cui si viene a contatto in tenera età, quando si rischia di essere ammazzati di botte se non si imparano a memoria i versetti del corano; gli islamici sono costretti a praticare obbedendo ai precetti senza mai porsi la minima domanda, perché il dubbio è l'inizio della miscredenza e gli imam non cessano mai di ripeterlo. E’ vietato riflettere, guai a mettere in discussione la volontà d' Allah, che rischia di contrariarsi e infliggere terribili punizioni, in vita e poi dopo la morte.

Vivere in Europa aiuterà gli islamici a rendersi conto di quanto la loro religione sia soffocante e liberticida: il controllo da parte della famiglia e del gruppo sarà meno opprimente, sarà molto più facile entrare in contatto con la critica libera, i libri, i siti internet; forse ci vorrà molto tempo perché questo si realizzi, ma nel web ci sono già molte tracce di musulmani che abbandonano la loro religione, pur consapevoli che l’apostata è sanzionabile con la pena capitale. Ecco che la “motivazione” a cui fa accenno Vanni può essere davvero una forte spinta….verso l’abbandono della religione del terrore.

Grazia Dei ha detto...

Sì è vero, nella mio intervento c'era del pregiudizio e me ne scuso. Certo non si può riassumere tutta la storia in un post. Il fatto è che ognuno di noi ha i suoi tic, è sensibile a degli argomenti più che ad altri. A me sta a cuore il destino dell'uomo in chiave cristiana ed è inutile negare che i cristiani siano ormai, malgrado le accuse di cui sono fatti oggetto, sempre più isolati e attaccati. Non mi meraviglia perché ci è stato predetto (scusate ma non ho sottomano il vangelo per citarlo esattamente) ma mi fa soffrire.
Il suo discorso, Raffaella, era chiarissimo ed era coerente con la sua già espressa posizione agnostica(?) o scettica(?): i due poli fondamentali della civiltà europea sono, da un lato, l'eredità romana riemersa dopo le invasioni barbariche. Dall'altro la diffusione delle idee dell'illuminismo, che le ha dato nuovo impulso. L'apporto del cristianesimo è stato trascurato solo per mancanza di spazio? Forse, ma a me sembra una scelta voluta o un "atto mancato". Secondo la vulgata corrente, l'illuminismo é venuto a illuminare e liberare le menti obnubilate dalla superstizione e dalla credulità, in particolare dopo l'orrenda pagina della controriforma e dell'inquisizione.

Caro Nautilus, certo che contano le armi e che vince chi ne ha di più. Certo che l'Iran verrebbe spazzato via dall'America e da Israele. Ma chi dice che la Russia, il Pakistan, l'India o la Cina starebbero a guardare o starebbero con Israele e con l'America? Anche il terrorismo non è poi una cosa da niente. Chi ha voglia di vedere ancora un 11 settembre?
Ma non era proprio ciò che intendevo dire. Volevo dire che mentre noi europei ci gingilliamo con il pensiero debole e finiamo di scardinare i fondamenti della nostra civiltà con un processo di autofagocitazione (si può dire?) e siamo sempre più vecchi e pigri, i popoli islamici sono perlopiù giovanissimi, affamati, pieni di vita e privi di complessi per quanto riguarda le loro fondamenta spirituali.

Giorgio Israel ha detto...

L'Iran verrebbe spazzato via da America e Israele?... Scusate, non voglio essere aggressivo, ma mi chiedo dove vivete? Israele non è riuscito neppure a sconfiggere Hamas e le ha prese da Hezbollah e dovrebbe spazzare via l'Iran? E l'America che non fa che prendere botte da ogni parte da non so quanto tempo. Ma seguite cosa succede in Afghanistan? Tra poco la coalizione si ritirerà nell'insuccesso più totale e i talebani sono praticamente dentro Kabul. L'occidente non è neppure in grado di imporsi con la Siria e in Libia ha fatto una figura penosa (a un certo punto mancava persino il carburante per i bombardamenti). Se Israele si risolverà a fare un attacco ai siti iraniani, a costo di subire bombardamenti devastanti - ormai mezzo paese è pronto a scendere sottoterra e non c'è persona che non abbia una maschera antigas - è perché altrimenti l'unica vantaggio che possiede, il deterrente nucleare, verrebbe annullato. Credo che non vi rendiate conto dello sfascio dell'occidente. La seconda parte del commento di Grazia Dei mi trova d'accordo, ma, per favore, non ripetiamo la litania della strapotenza dell'America e di Israele. Non esiste.

Nautilus ha detto...

Cara Grazia, sulla questione della debolezza europea penso esattamente le stesse cose tue. Quello che non credo è che questa debolezza ci renderà facili prede degli affamati popoli islamici. E' tanto che sono affamati, ma per i rapporti di forza di cui abbiamo già discusso, noi non siamo trippa per gatti.
Mai sostenuto che il terrorismo sia una cosa da niente, dico solo che non può vincere. E poi via, negli ultimi dieci anni i terroristi islamici in Italia se non ricordo male hanno fatto due morti: se stessi.

Professore, se questa "strapotenza" non esistesse e Israele fosse davvero più debole di Hezbollah e di Hamas dubito esisterebbe ancora. Naturalmente è una forza enorme se usata in chiave difensiva e in conflitti convenzionali con i vicini, ben diverso è l'occupazione di territorio altrui che espone alla ritorsione della guerriglia, di cui conosciamo l'efficacia quando si mischia alla popolazione come in Palestina o fra le montagne afghane dove han fallito tutti.
Il fatto che Israele possegga solo il deterrente nucleare non mi trova d'accordo, sbaglio o quello israeliano è uno dei maggiori eserciti (in tempo di pace) del mondo? Ma nemmeno questo conta, conta che gli arabi ci han provato per 4 volte e han sempre subito sconfitte disastrose, deterrente migliore di questo...ce n'è da levare la voglia di menare le mani per il prossimo secolo.
Certo l'arma nucleare è un'assicurazione in più.
Come sbrigarsela con l'Iran non lo sa credo nessuno, il pericolo esiste ma una cosa è certa: dovessero anche solo fare una mossa in direzione di un attacco nucleare verrebbero sommersi di missili, e non credo proprio Russia e Cina scatenerebbero la III guerra mondiale per difendere un regime tanto pazzo da usare l'atomica.
In sostanza anche per l'Iran l'arma nucleare alla fine sarebbe un deterrente, non un arma di offesa. Come del resto per tutti gli altri: la Corea del Nord ha l'atomica e quella del Sud no, ma il mondo va avanti lo stesso.
Naturalmente è comprensibile che Israele non voglia questa spada di Damocle sulla testa, il problema sta lì.

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Caro Professore e cari tutti e tutte, vi spero in buona salute. Senza tema di captatio benevolentiae, concordo con il Professore quasi in toto. Ma su una cosa non la penso proprio come lui. Ovvero, l'America ed Israele non perdono le guerre che combattono per incapacità, cattivo addestramento, mancanza di mezzi adeguati. Quel che sto per scrivere, confesso, lo trovo pure io, occidentale quindi cresciuto in un ambiente culturale democratico e illuminista, aberrante: però non riesco davvero con tutta onestà a scorgere altri problemi. Ho l'impressione che l'Occidente in generale non voglia o non sappia più combattere una guerra. Mi spiego meglio: combattere una guerra, parafrasando un po' Mao, non è un pranzo di gala. Guerreggiare significa prendersi la responsabilità completa di sconfiggere il nemico: una volta (con questo non intendo rimpiangere un certo tipo di passato) il nemico andava, perdonatemi, distrutto, annichilito. Con ogni mezzo possibile: questo purtroppo contemplava la tristissima convinzione che anche la popolazione e anche non combattenti potessero venire feriti e anche uccisi nei combattimenti. Non si discute mai abbastanza dell'inutilità dei bombardamenti di Dresda o dell'atomica su Hiroshima e Nagasaki: ma credo che, al di là dell'atto di vendetta per Coventry o che altro, il significato di questa brutalità era quello di indicare chiaramente che l'America era in grado di annichilire completamente il nemico. Specifico a chiare lettere che questo non mi vede d'accordo: ma non posso fingere che questo non fosse il senso di quella barbarie.
Era l'idea che ci si assumesse fino in fondo la responsabilità di una guerra, con tutte le sue orribili conseguenze, ma anche con l'idea che la vittoria trascende considerazioni sacrosante, soprattutto se di fronte ad un nemico che desidera distruggerci con un fervore quasi mistico.
Osserviamo come si combattono oggigiorno le guerre: le telecamere sono puntate su ogni azione Israeliana o Americana. I generali e i presidenti si premurano di specificare che la guerra sarà condotta con il minimo di inconvenienti per la popolazione, cercando di colpire solo gli obbiettivi sensibili. Ogni qualvolta dei civili vengono feriti in un bombardamento, leggiamo sul giornale nomi, cognomi, financo il gruppo sanguigno delle vittime. Conferenze stampa di scuse, risarcimenti, etc.
E a questo punto, mi metto nei panni di terroristi: di fronte ad un nemico che gioca (o tenta di giocare) pulito, per quale motivo non dovrei approfittare di questa debolezza? E allora ecco che obbiettivi militari vengono riempiti a forza di civili, nella speranza di creare il caso politico. Bandiere arcobaleno, manifestazioni, sit-in: per carità (non fossero a senso unico), cose nobili. Ma posso dire che a me sembra proprio che la debolezza maggiore dell'Occidente sia la sua presunta superiorità morale? Che ci mette nelle condizioni di un pugile che sale sul ring con le mani legate dietro alla schiena contro u avversario a mani libere. Questo si riflette anche nel modo in cui scegliamo di fare guerra: non potremo mai vincere così.
Non voglio fare l'apologia di distruzioni generalizzate, né di altre atrocità gratuite. Ma ritengo che si debba essere pronti a demandare a certe pulsioni dell'opinione pubblica quando ci si imbarca in determinate situazioni. Altrimenti, che ci si risparmi la pena di iniziare.
Scusate se sono parso eccessivamente cinico.
Cari saluti.

Giorgio Israel ha detto...

Ma io ho solo detto che Israele e USA perdono da un po' tutte le guerre, non ho detto perché. E se dovessi fare un'analisi del perché punterei sulla crisi dell'occidente. Insomma, non farei un discorso molto diverso da quello di Rossi, e non lo dico neppure io per captatio benevolentiae. Al quale chiedo cortesemente di non ripetere ogni volta che ci spera in buona salute. Siccome in buona salute non sono, dagli e dagli sembra una presa in giro... Sia detto con simpatia :)

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Caro Professore e cari tutti e tutte, chiedo venia: in effetti, comincio sempre anche con amici, colleghi sempre sperando appunto nella buona salute. Abist iniuria verbis, davvero.
Allora mi permetto di augurarLe di potersi rimettere presto, sperando che non si tratti di problemi gravi.

Tornando sulla questione principale, ammetto che mi fa piacere che non sono l'unico a vedere le cose in questo modo. Il problema è che non discuto quasi mai con nessuno nel mio ambiente: perché le pochissime volte che l'ho fatto, sono stato trattato come un terribile fascista reazionario. Anche con amici e conoscenti è spesso la stessa cosa: eppure non ho mai professato apologie guerrafondaie, mi sembra.

A volte poi, mi sento rispondere che prendo queste cose troppo a cuore, e che per vivere bene bisognerebbe applicare il motto "vivi e lascia vivere". Ma a me sembra un po' distogliere gli occhi dalla realtà. Mi sbaglio? Oppure siamo noi davvero dei reazionari della peggior specie?

Cari saluti e auguri!

Grazia Dei ha detto...

Caro prof. Israel, spero anch'io che la sua salute migliori e che non si tratti di nulla di grave, anche se temo non ci informerebbe di un raffreddore.
Quanto all'affermazione che gli USA spazzerebbero via l'Iran, personalmente mi riferivo solo alla funesta ipotesi dell'apertura di un conflitto nucleare. Mi pare che se l'Iran dovesse malauguratamente premere il grilletto contro Israele, potrebbe trovarsi ad avere solo pochi minuti di vita. Ma chi può dirlo, magari Obama (da lui me lo aspetterei) calcolerebbe che dopotutto Iraele era una gran seccatura e dunque perché "morire per Danzica", meglio "festeggiare" la nuova Shoah. (Scusate il disincanto). Per quanto rigurda gli attuali conflitti sono desolatamente d'accordo con lei e con Carlo Antonio Rossi.
Ancora auguri affettuosi di una veloce e definitiva guarigione.

Nautilus ha detto...

Caro Rossi, bisogna che glielo dica francamente, io non la trovo fascista e reazionario, ma parecchio fuori strada nell'analisi del fenomeno che tratta sì.Innanzitutto le dirò che personalmente non ritengo affatto inutile e nemmeno immorale l'uso dell'atomica sul Giappone, ma un atto di guerra (o meglio di terrorismo in grande stile) necessario. Questo per chiarire subito che non parto da posizioni pacifiste o umanitarie a oltranza, convinto mio malgrado esattamente come lei che in certi casi il nemico vada reso innocuo con ogni mezzo.
Ma faccia attenzione:"in certi casi"!
A me pare che lei invece parta dall'assunto che ogni conflitto vada risolto "annichilendo" l'oppositore, qualunque sia l'entità della posta in gioco: la vittoria come unico fine, senza badare ai mezzi nè agli scopi. Questo è possibile dove non esiste la democrazia, ma dove i governi devono rendere conto all'opinione pubblica,no e secondo me giustamente.
Prendiamo il caso più noto di guerra combattuta "con una mano legata" e per questo perduta: la sconfitta USA in Vietnam. Con le mani legate per modo di dire: seicentomila soldati, tre volte le bombe sganciate sulla Germania, defoglianti ma han perso lo stesso perchè l'unico modo di vincerla sarebbe stato fare "terra bruciata": invadere o radere al suolo il Vietnam del Nord e metà del sud o magari usare atomiche tattiche sul confine fra nord e sud.
Ma c'è un ma:l'America formalmente era in Vietnam per proteggere gli abitanti del sud dal comunismo. se li avesse sterminati che giustificazione avrebbero avuto? E poi il rischio sarebbe stato una guerra mondiale. Valeva la pena per, come dice lei, vincere ad ogni costo? Ovviamente no. E l'opinione pubblica americana la pensava così.
Nel'900 diverse grandi democrazie han dovuto rinunciare ad usare tutta la loro forza, conducendo guerre limitate e a volte perdendole.
Che so, la Francia per tenersi l'Algeria doveva spianare la Casbah d'Algeri? O l'Inghilterra sterminare qualche milione d'indiani?
Ci sono regimi che han seguito la sua linea caro Rossi: Saddam non ha avuto alcuna rèmora a usare i gas contro i curdi ribelli e li ha tenuti buoni. Dobbiamo far come lui?
O s'immagina Gandhi alle prese con Hitler o i giapponesi? Lo avrebbero mangiato vivo, ha vinto solo perchè avevo a che fare con una democrazia occidentale, costretta a seguire, dall'opinione pubblica, quelle limitazioni che a lei vanno strette.
Ma è una gran fortuna che ci siano, altrimenti basta che il regime di turno decida che un popolo o una minoranza siano un pericolo da estirpare e si apre la strada agli olocausti.
Ma quello che (per me) è l'errore più grave è questa sua rappresentazione della realtà come se l'Occidente fosse sull'orlo della catastrofe perchè si rifiuta di usare la sua forza. Stia tranquillo, intanto con le spalle al muro siamo capacissimi di smettere di "giocare pulito" vedi Hiroshima o di recente Falluja e altri noti casi.
Ma il punto è che questa catastrofe incombente non c'è: siamo noi che occupiamo paesi mussulmani non viceversa, non mi stanco di scriverlo, nella guerra del Golfo sono morti 150.000 irakeni e 30 americani (per fuoco amico), a Falluja non si è esitato a ricorrere ad armi chimiche eliminando a quanto pare moltissimi civili, in Afghanistan si ammazzano dieci civili ogni talebano. Siccome questa gente, fanatizzata e ansiosa di conquistarci quanto vuole, contro di noi ricorre all'unica arma che gli è rimasta, sacrificare la propria vita o quella del proprio popolo che dobbiamo fare: sterminarli tutti come topi? Non sarebbe difficile, ne convengo.
Israele e gli USA fortunatamente non sono la Germania nazista ma le sue teorie comportano che la imitino, se ne rende conto?
E perchè queste misure estreme? Perchè, con una buona dose d'isteria, qualcuno vede già la bandiera con la mezzaluna sventolare sui nostri campanili?
Un po' di calma e di senso delle proporzioni no?

Carlo Antonio Rossi ha detto...

Carissimo Nautilus, La ringrazio della risposta e dell'attenzione, come ringrazio il Professore dello spazio concessimi.
Infatti, ho scritto che io stesso sono conscio del fatto che la conseguenza logica di quanto ho espresso sia di comportarci come la Germania nella Seconda Guerra Mondiale con rappresaglie inumane.
Non nego che forse la mia visione sia eccessivamente pessimista, questo no.
Però ad un certo punto, non credo sia possibile per l'America o per Israele vincere contro un nemico che piega ai proprî fini quegli stessi principî democratici che rendono, mi si perdoni questa espressione, l'Occidente moralmente superiore al fanatismo Islamico.
A meno che appunto non si abbassino allo stesso livello di barbarie: questo è il punto cruciale, mi sembra. Io personalmente forse esagero, ma io non dormo sonni tranquilli quando penso a come svendiamo ogni nostro valore culturale, mostrando tutta la nostra debolezza, e poi ci attacchiamo tenacemente a quei valori che sembriamo disprezzare in ogni campo proprio laddove forse, in certi casi, come scrive Lei, sarebbe opportuno demandarvi.
Io vedo l'Occidente come perso: non riesco a vedere di meglio, chiedo venia.
Cari saluti a tutti e tutte e augurî di pronta guarigione al nostro ospite (ed anche a chi altri ne abbia bisogno, naturalmente), e di una buona salute a tutti gli altri.

Nautilus ha detto...

Caro Carlo Antonio, lei tocca un punto sul quale ho un'idea personale, non so quanto condivisa. Lei scrive."Io vedo l'Occidente come perso.." perchè indebolito da quegli stessi principi democratici che vogliamo difendere.
La risposta "politically correct" è che anzi questi principi sono la forza delle democrazie e non bisogna mai deviarne, prova ne sia il fatto che le democrazie prima o poi han trionfato sui nemici totalitari, nazismo, fascismo e comunismo. Naturalmente io, a differenza pare di lei, penso che ci sia del vero. Però penso anche che non sia una verità assoluta e immutabile.
Prendiamo ad esempio l'attacco alle torri gemelle: successivamente negli USA è nata una polemica pubblica che prima di quello sarebbe stata impensabile: la possibilità di rendere LEGALE la tortura verso i terroristi per sventarne i complotti. La più grande e antica democrazia moderna! A due secoli dal Beccaria! Eppure è stata un' opzione ventilata. Poi, non avendo più subìto attentati la faccenda si è sopita, ma non è un segreto che gli americani facciano torturare i loro prigionieri in paesi alleati dove si è molto meno rigidi sulla questione.
Cosa voglio sostenere? Che in stato di gravi necessità i nostri sacri principi diventerebbero ben più elastici, e con l'accordo della popolazione.
I sacri principi in definitiva sono una forza ma anche un lusso che ci possiamo permettere perchè siamo così forti, qualora fossimo con le spalle al muro e dovessimo lottare per l'esistenza vi passeremmo allegramente sopra.
La rappresaglia "10 italiani per 1 tedesco", simbolo per noi della barbarie nazista, veniva tranquillamente minacciata anche dagli eserciti alleati quando occuparono la Germania, per dire.
Insomma caro Carlo Antonio, per me al momento buono, ne andasse dei nostri beni o della nostra vita anche noi "democratici" tireremmo fuori le unghie come gli altri, se le abbiamo (e noi occidentali ne abbiamo di micidiali) per me il timore d'esser troppo buoni e corretti non ha ragione di essere, l'uomo essendo lo stesso dappertutto.
Cordiali saluti.

Nautilus ha detto...

Acci, nel calore della discussione mi sono scordato: anche i miei migliori auguri per la sua salute, caro Professore.