giovedì 4 settembre 2008

IL COMPAGNO YIMOU

Una delle più grandi soddisfazioni personali che ho avuto in questo periodo è stata di ricordare che, quando andai a vedere il film “Lanterne rosse” del regista cinese Zhang Yimou, lo trovai insopportabilmente mediocre e noioso. Un paio di ore peggiori le ho passate soltanto con “Il palloncino bianco” del regista iraniano Kiarostami. Insomma, uscii dal cinema imprecando alla Fantozzi-Villaggio: «Lanterne rosse è una cagata bestiale». Perciò ho trovato sommamente confortante (sul piano personale, s’intende) constatare che il regista Zhang Yimou è un emerito imbecille, un omuncolo di regime, un arnese del totalitarismo più becero. Cosa di buono può uscire da una mente asservita e conformista, sul piano artistico, dove soltanto la libertà può farla da padrone?
Zhang Yimou ha dichiarato che l’handicap dell’Occidente è il rispetto dei diritti umani che lo rende inefficiente e non gli consente di raggiungere gli standard elevati dei cinesi. Per il nostro genio il modello supremo sono – pensate un po’ – i nordcoreani le cui manifestazioni politico-culturali sono ispirate a un tipo di «uniformità» che «produce bellezza» di cui, per fortuna, «anche noi cinesi siamo capaci». Zhang Yimou cita la cerimonia iniziale delle Olimpiadi così perfettamente armonica e ordinata perché «gli esecutori obbedivano agli ordini ed erano in grado di farlo come un computer, perché questo è lo spirito cinese». Egli lamenta di aver avuto difficoltà a lavorare in Occidente perché «gli interpreti occidentali lavorano solo quattro giorni e mezzo a settimana, fanno due pause al giorno per il caffè, ma poi non sono nemmeno in grado di stare bene allineati» e oltretutto «hanno a disposizione organizzazioni di ogni tipo e i sindacati». Il risultato è che «i cinesi riescono a realizzare in una settimana quello che gli europei fanno in un mese».
Si potrebbe rispondere che gli italiani, malgrado siano venti volte meno numerosi dei cinesi hanno ottenuto ben più di un ventesimo delle loro medaglie e che gli americani, che sono tre volte di meno, ne hanno ottenute ben più di un terzo. Quindi, il modello cinese non è tanto efficiente. Quanto alla produttività ottenuta col lavoro forzato dei lager, la rinviamo disgustati al mittente. Dello spirito da computer non sappiamo che farcene e preferiamo di gran lunga prendere due caffè al giorno e tenerci i nostri sindacati, magari litigandoci da mane a sera. Ci piacciono da morire le battaglie tra i fannulloni e il ministro Brunetta e ove riuscissimo a realizzare una maggiore auspicata efficienza si tratterà di qualcosa di totalmente diverso dalla nauseante uniformità vantata da quel cantore di regime. Difatti quel che Zhang Yimou sta vantando – se non lo sa è un ignorante, se lo sa è qualcosa di peggio – noi occidentali lo conosciamo purtroppo molto bene, se non altro perché l’abbiamo inventato: il totalitarismo, nazifascista e comunista. E sappiamo che una delle manifestazioni esteriori tipiche del totalitarismo sono le sfilate marziali o ginniche, ordinate e armoniose, che si tratti del passo dell’oca con migliaia di gambe perfettamente allineate o delle esibizioni dei ginnasti sovietici sulla Piazza Rossa.
La tragedia di questa faccenda è che i drammi del totalitarismo novecentesco si riaffacciano nella veste di due potenti nazioni come la Cina e l’Iran, di una terza, la Russia, che vi sta ripiombando; mentre l’Occidente assiste tremebondo e, confondendo la difesa della democrazia e della libertà con il “politicamente corretto”, finisce col piegarsi al nuovo totalitarismo e vezzeggiarlo.
(Tempi, 4 settembre 2008)

7 commenti:

broncobilly ha detto...

Sembra incredibile l' ingenuità con cui autentici uomini d' arte giudicano il mondo una volta fuori dalle loro fiction. Il fatto è ricorrente e in Italia ne sappiamo qualcosa. Oltretutto, almeno a mio parere, molti di loro sono anche eccellenti artisti. Lo ammetto a denti stretti sentendoli sproloquiare in altri campi. Eppure l' arte dovrebbe aver qualcosa a che fare con la percezione della realtà.

Il palloncino bianco però era di Jafar Panahi e a me quella cocciuta bimbetta stava simpatica.

Gianfranco Massi ha detto...

Che l' arte della Cina, in particolare quella cinematografica, sia al servizio del regime non può sorprendere a noi europei reduci dai totalitarismi armati. Dico armati per distinguerli da quel tipo di totalitarismo disarmato (e disarmante) che in Italia è il conformismo piu becero che caratterizza la nostra cinematografia, il nostro teatro, e le nostre cosiddette fiction televisive. Bastano poche scene, anche con gli attori presi di spalle, per capire che è un prodotto italiano. Noi "scaviamo sul sociale", non sappiamo più fare altro!
gian

Andrea ha detto...

Se a Zhang Yimou piacciono tanto le masse efficienti e comandate a bacchetta, egli dovrebbe provare a cucire camicie in uno scantinato per una quindicina di ore al di'. Allora si' che apprezzerebbe la potenza della Cina moderna, e soprattutto risparmierebbe al pubblico, cinese e non, i suoi indigesti polpettoni.

ondeb ha detto...

Una cosa che mi colpì di un documentario sul regime nordcoreano (trasmesso qualche anno fa da un'emittente satellitare) fu che ai bambini insegnavano a inchinarsi "religiosamente" di fronte alla gigantografia dell'attuale dittatore nordcoreano.

Il regista cinese ci propone un bel modello da seguire, non c'è che dire...

Fabio ha detto...

I rapporti Yimou-regime hanno uno-due-tre-enne livelli di lettura, non li si può liquidare così. Ci sono dibattiti infiniti sul tema e le assicuro che, nonostante l'arco di opinioni sia abbastanza ampio, l'equazione Yimou=servo del regime non vi rientra.
Lanterne Rosse poi appartiene ad un periodo in cui Yimou in Cina era censurato.
Tenga presente inoltre che l'intervista in questione è filtrata dalla propaganda cinese e probabilmente non è del tutto genuina (il riferimento alla Corea del Nord probabile che sia inventato o alterato).

Riguardo al confronto sportivo invece volevo rilevare che alle Olimpiadi esistono i limiti per nazione e delle regole di partecipazione e selezione che rendono privo di significato il confronto puramente aritmetico da lei proposto. Senza considerare che la popolazione totale, oltrepassato un certo numero, diventa a prescindere poco rilevante, perché si tratta di formare atleti, non di scovare freaks, ossia fenomeni da baraccone.
E' altresì più rilevante guardare l'entità delle delegazioni, che vede USA e Cina pressoché appaiate (circa 600 uomini) e noi italiani con circa la metà. Quindi, mi dispiace, ma il dato sportivo se valutato con cognizione di causa assegna un significativo primato alla Cina, cosa di cui si rende conto qualunque appassionato sportivo semplicemente assistendo alle gare e senza conti alla mano.

Ripeterò qui ciò che ho scritto altrove: è inutile che ci impauriamo di fronte a determinati effetti dei regimi totalitari, e cerchiamo di sminuirne ogni cosa, siano i risultati sportivi, siano i lavori di un cineasta come Yimou.
Noi crediamo nei valori occidentali di democrazia e libertà non in chiave utilitaristica, ma morale. Se qualcuno fa meglio di noi calpestando i diritti dell'uomo non possiamo per questo farci venire i complessi di inferiorità.

Giorgio Israel ha detto...

E chi è che ha complessi di inferiorità?

Fabio ha detto...

Secondo me noi occidentali abbiamo dei complessi di inferiorità immotivati quando vediamo che alcuni paesi ottengono dei risultati di rilievo con mezzi che noi deprechiamo.

In Corea del Nord sicuramente sono messi molto meglio di noi riguardo alla criminalità, probabilmente le strade di PyongYang sono più pulite di quelle di molte capitali occidentali, ma ciò non toglie che quel luogo sia un inferno.

La Cina ha ottenuto un risultato sportivo straordinario, per merito degli investimenti, per merito degli impianti, a volte anche per merito delle pressioni che il regime ha esercitato su alcuni atleti, spinti ad una vita quasi monacale finalizzata alla sola preparazione.
Dobbiamo dire che questo non è vero per poter condannare un sistema che si pone fuori dalla civiltà, dalla morale e dal rispetto dell'individuo? Io credo di no. Ed è nel momento in cui facciamo queste forzature che dimostriamo di non avere un giudizio sereno.

Su Yimou vale lo stesso: lei, forse nell'aspettativa di confortare un suo personale giudizio di tanti anni fa, ne ha fatto un ritratto che non sta né in cielo né in terra.
Quando si parla di Yimou si parla dell'autore più premiato di sempre al festival di Venezia, nonché di un regista pluri-censurato in patria. Basti guardare Non uno di meno, La strada verso casa, Sorgo Rosso. Persino nelle ultime opere, che Yimou ha voluto spostare in epoche lontane per liberarsi un po' dalle maglie della censura, c'è una linea interpretativa che vede diverse critiche sotterranee al regime.

Quello che è stato ripubblicato nei giornali italiani era con tutta probabilità un elogio di Yimou alla cinesità, in senso culturale, poi trasformato dalla propaganda in un'apologia del totalitarismo.
Conoscendo l'artista e conoscendo la fonte, non vi si dovrebbe dare questo peso.