martedì 17 marzo 2009

Tornare ai contenuti, la sfida della scuola

Si parla di “valanga” dei 5 in condotta e delle insufficienze. Ma è proprio così? Per i 5 in condotta non abbiamo termini di paragone ma sono incline a pensarla come Domenico De Masi: trentacinquemila discoli su due milioni e mezzo di studenti è un numero incredibilmente basso che non dimostra che la scuola è un paradiso, bensì che gli insegnanti non sanno imporre la disciplina. Per quanto riguarda le insufficienze, si dice che sono aumentate rispetto all’anno scorso. Ma si tratta di aumenti modesti, dell’ordine di un’unità percentuale o poco più e quindi dicono poco, sia in quanto indice di un aumento di rigore disciplinare degli insegnanti (che sarebbe cresciuto in misura irrilevante) che in termini di peggioramento del rendimento degli studenti: il fatto che le insufficienze nelle lingue straniere abbiano superato quelle in matematica soltanto perché entrambe hanno subito un’oscillazione di un’unità attorno a una percentuale del 60% è privo di significato. In conclusione, questi dati non indicano alcuna apprezzabile crescita di rigore da parte degli insegnanti sia sul piano della condotta che su quello disciplinare e non dicono nulla di decifrabile per quanto riguarda il rendimento degli studenti.
Forse sarebbe il caso di affrontare la valutazione dello stato della scuola italiana al di fuori dell’ossessione per le cifre e per le percentuali. Si potrebbe credere che si tratti di una mania nazionale, magari ereditata dal Duce che ne era talmente affetto da consultare continuamente statistiche e tabelle e mantenere un appuntamento fisso settimanale col Presidente dell’Istat, Corrado Gini. Purtroppo è una mania dilagante. «Viviamo nell’era della metrica. Tutto attorno a noi viene standardizzato, quantificato e misurato», osservano in un appello volto a criticare questa tendenza eccessiva i direttori delle maggiori riviste internazionali di storia della scienza. Per quanto riguarda un classico tema di misurazione, la valutazione della ricerca, le massime istituzioni internazionali competenti in numeri – la International Mathematical Union, l’International Council of Industrial and Applied Mathematics e l’Institute of Mathematical Statistics – hanno redatto un rapporto in cui criticano severamente «l’uso e l’abuso dei dati», l’ingenua pretesa di ottenere con i numeri valutazioni «semplici e oggettive»: «i numeri sembrano oggettivi ma la loro oggettività può essere illusoria». «I numeri – affermano con forza questi istituti – non sono intrinsecamente superiori a giudizi ponderati».
Sono consapevole di aver menzionato in altre occasioni questa autorevole affermazione che si applica a tante situazioni. Prometto di continuare a farlo fino a che troppi studiosi nel campo delle scienze umane continueranno a preferire a serie analisi qualitative l’ossessione per la statistica, come se nascondersi dietro le cifre conferisse serietà anche alle conclusioni manifestamente infondate. “Bisogna seguire un approccio scientifico” è la tiritera che viene ripetuta, salvo vedersi propinare un uso di dati statistici che non ha nulla di scientifico, nulla di razionale e talora nulla di sensato.
Che senso ha mettere assieme indagini condotte con metodi diversi come PIRLS e TIMSS per le scuole primarie con quelle PISA per le secondarie per concludere avventatamente che la scuola primaria italiana va benissimo e quella secondaria di primo grado va male? Con fondamento molti insegnanti che conoscono la situazione sul campo obiettano che proprio le carenze accumulate nella scuola primaria in matematica sono alla radice dello sfacelo nelle medie inferiori, già di per sé malmesse e pertanto incapaci di colmare quelle carenze.
La scuola italiana va molto male e non servono numeri per constatarlo. Stupisce piuttosto che studiosi che dovrebbero essere attenti ai contenuti si appassionino a dubbie manipolazioni di dati invece di considerare l’unico fatto oggettivo che testimonia in modo inoppugnabile questa crisi: quel che si insegna a scuola e come lo si insegna. E per verificare cosa e come si insegna esistono indicatori di contenuto molto più attendibili di incerte manipolazioni numeriche: i programmi, che si desumono dalle “indicazioni nazionali”, i libri di testo circolanti e l’esperienza sul campo.
Non è possibile compiere una disamina in un articolo di giornale: bisognerà farlo in una pubblicazione apposita in modo da fornire materiali più oggettivi delle chiacchiere pseudoscientifiche. Si potrà allora constatare quale degrado abbiano subito i contenuti dell’insegnamento nell’ultimo trentennio. Dalla matematica alla storia, dalla geografia alla fisica, è l’immagine di un autentico disastro culturale. E quanto ai libri di testo non si vuol dire che non ne circolino di decenti, ma per un paese che ha formato intere generazioni sui libri di matematica di Enriques e Amaldi – tra i migliori del mondo – la lettura di certi manuali fornisce soltanto la prova che i loro autori, lungi dal pretendere di insegnare agli altri, avrebbero bisogno di un periodo di studio intensivo e di esami volti ad accertare la loro comprensione dei concetti di base. Ci si può gingillare quanto si vuole con le cifre, ma il ritardo esasperante con cui i bambini arrivano a manipolare i calcoli più elementari, il modo confuso e fuorviante con cui vengono introdotti gli algoritmi di calcolo, l’uso di definizioni assurde, frutto della fantasia di qualche didatta, costituiscono una condanna senza appello delle nostre scuole elementari.
Coloro che predicano che tutto va bene, se la cavano dicendo che la colpa è dell’insegnamento “ex-cathedra” e “trasmissivo”. Ma la scuola italiana ha conosciuto fino a una trentina di anni fa soltanto insegnanti formati in modo puramente “trasmissivo” e senza la formazione al “saper insegnare”. Eppure era una delle scuole migliori del mondo. Quindi il ragionamento fa cilecca. Così come non funziona l’alibi secondo cui la formazione degli insegnanti corredata di competenze didattico-pedagogiche è recente e non se ne sono visti ancora gli effetti virtuosi. In verità, l’ideologia alla Edgar Morin delle “teste ben fatte” piuttosto che piene è penetrata nella scuola italiana da un trentennio ed è divenuta un luogo comune ossessivo che ormai informa il linguaggio degli insegnanti come una preghiera ripetuta meccanicamente ogni mattina. Non si vuol certamente negare l’utilità che possono avere quelle competenze, ma sarebbe saggio considerare gli effetti negativi che ha avuto la loro somministrazione in dosi da cavallo da parte di persone che con la disciplina rispettabile della pedagogia hanno poco a che fare e che sono dediti a fabbricare teste vuote mal fatte: per esempio predicando che piuttosto che studiare la geografia occorre “costruire le proprie geografie”. Questi effetti sono sotto gli occhi di chiunque voglia esaminare i contenuti attuali dell’insegnamento anziché manipolare le cifre per esorcizzare il disastro o imputarlo ad altre cause.
(Il Messaggero, 14 marzo 2009)

27 commenti:

Myosotis ha detto...

Non è una novità questo amore per i numeri. Ricordo una frase di Saint-Exupéry nel capitolo introduttivo del celeberrimo Petit Prince: "Les hommes aiment les chiffres". E poi, Pitagora non aveva costruito la sua filosofia sui numeri? E mi permetta, non è bizzarro che un matematico come Lei critichi l'amore per i numeri?
Con la stima di sempre.

Giorgio Israel ha detto...

Non è affatto strano. Al contrario. Chi ama i numeri, ne desidera anche l'uso corretto e non l'abuso. Non a caso ho ricevuto parecchie lettere di consenso a questo articolo da parte di ... statistici. E questo era quel che scriveva un grandissimo matematico dell'Ottocento, Louis Augustin Cauchy:
«… se ho tentato di perfezionare l’analisi matematica sono ben lungi dall’affermare che quest’analisi sia sufficiente a tutte le scienze della ragione. Indubbiamente, nelle scienze cosiddette naturali, il solo metodo che possa essere impiegato con successo consiste nell’osservare i fatti e nel sottoporre le osservazioni al calcolo. Ma sarebbe un grave errore pensare che la certezza non possa essere trovata altro che nelle dimostrazioni geometriche o nella testimonianza dei sensi; e nonostante nessuno fino ad oggi abbia tentato di dimostrare con l’analisi l’esistenza di Augusto o di Luigi XIV, ogni uomo sensato converrà che questa esistenza è per lui altrettanto certa del quadrato dell’ipotenusa o del teorema di MacLaurin. Dirò di più: la dimostrazione di quest’ultimo teorema è alla portata di poche menti […]; al contrario tutti sanno molto bene da chi sia stata governata la Francia nel diciassettesimo secolo, e che non è possibile sollevare al riguardo alcuna contestazione ragionevole. Ciò che ho detto a proposito di un fatto storico si applica parimenti a una quantità di problemi, nel campo religioso, morale e politico. Occorre convincersi che esistono verità diverse dall’algebra, realtà diverse dagli oggetti sensibili. Coltiviamo con ardore le scienze matematiche, ma senza volerle ostentare al di là del loro dominio; e non illudiamoci che si possa affrontare la storia con delle formule, né sanzionare la morale con dei teoremi o con il calcolo integrale».

Gio ha detto...

Insegno da una trentina d'anni nella scuola elementare. Da quando sono stati istituiti i moduli ho assistito ad un progressivo degrado dell'istruzione primaria. Le cause? Per poter insegnare ai bambini piccoli occorre una motivazione "pedagogiga": in questa fascia d'età la soddisfazione professionale non proviene certo dalla trasmissione dei saperi disciplinari, bensì dal costituirsi di un efficace rapporto educativo con la classe, cui segue giocoforza il raggiungimento degli obiettivi didattici. Togliere ai docenti la responsabilità globale della classe è stato un gravissimo errore. Concorrono poi altri fattori legati alla trasformazione sociale degli ultimi 15 anni: aumenta in modo esponenziale il numero di famiglie non in grado di supportare affettivamente e moralmente i propri figli. Disorientati da messaggi contraddittori e lasciati in uno stato di minorità ben oltre i tempi fisiologici,viziati ed idolatrati in modo irresponsabile,solitamente non autosufficienti persino per quanto riguarda il mettersi il cappotto o togliersi un maglione, i bambini non sanno più porsi in modo attivo nei confronti delle esperienze, scolastiche, e non. Un esempio? Vent'anni fa tra noi insegnanti circolava un commento ricorrente: "Anche i meno dotati imparano le tabelline, perchè basta studiarle a memoria." Oggi un elevato numero di alunni non sa eseguire le operazioni senza utilizzare la tavola pitagorica. Dal momento che la percentuale di bambini discalculici o dislessici è di gran lunga inferiore a quella dei "tabella dipendenti", non resta che concludere che i genitori non sono più nemmeno capaci di allenare i loro figli sul sette per otto o sul nove per tre.

Giovanni Magistrale ha detto...

Un altro passo nella direzione sbagliata si sta preparando: nelle trattative sindacali per il contratto dei dirigenti scolatici è all'ordine del giorno il superamento dei settori: in altri termini un dirigente delle scuole elementari potrà diventare preside di un liceo o di un istituto tecnico e viceversa. Può sembrare una questione estranea all'argomento in discussione, ma invece appartiene alla stessa logica dell'indifferenza ai contenuti e alla specializzazione disciplinare e settoriale. E' la stessa logica che ha portato allo scempio dei passaggi di ruolo e di cattedra generalizzati, per cui un docente delle elementari con una abilitazione presa in un corsetto abilitante può andare ad insegnare latino e greco in un liceo classico o matematica in uno scientifico, oppure un docente di italiano va ad insegnare filosofia e viceversa. Il tutto in funzione della risoluzione di problemi occupazionali, che richiedono approssimative riconversioni, o per la soddisfazione del salto di status, con la benedizione di sindacati, che poi gridano contro la dequalificazione della scuola per qualche taglio. Lo stesso avviene e avverrà ancor più con i dirigenti scolastici. Per ragioni analoghe (riconversioni in seguito ad accorpamenti o aspirazioni di dirigenti delle primarie alla dirigenza dei licei, o viceversa di idonei ai concorsi, non ancora collocati, a trovare comunque un posto purchessia, anche in un settore diverso da quello proprio) si abbatteranno del tutto le barriere tra i settori (primo e secondo ciclo) producendo una mobilità selvaggia. Sicché il difficile equilibrio tra i due aspetti della dirigenza scolastica - il management organizzativo e la leadership didattica - finirà per saltare a favore dell'esclusiva prevalenza del primo. Il dirigente finirà per occuparsi soltanto degli aspetti organizzativi e finanziari della scuola, senza alcuna capacità di intervenire seriamente sulla didattica, capacità che potrebbe avere solo un dirigente cresciuto come docente nello stesso settore scolastico della scuola che dirige.

Caroli ha detto...

Caro Magister, già succede. È mia esperienza che quella che era stata maestra d'asilo dei miei figli, mia moglie se la sia trovata preside o, come si dice oggi, "dirigente scolastico" in un ITIS, laddove in tempi non sospetti tale ruolo era ricoperto da un ingegnere. Il fatto che quella persona fosse del tutto inadatta a tutelare la disciplina in un istituto quasi totalmente a popolazione studentesca maschile, come poi è accaduto, non è passato minimamente per la testa ad alcuno. Ma, come diceva il caro, carissimo Gaber "Bisogna cambiar tutto/a patto che ogni cosa vada sempre peggio".

Gianfranco Massi ha detto...

Una domanda al professore di Storia della Scienza. Non ha mai parlato, almeno così credo, dei programmi ministeriali per l' introduzione dei mezzi informatici (v. LIM) nelle scuole primarie. Ho l'impressione che stia accadendo tutto, specialmente in alcune regioni, con modalità troppo - come dire? - sbrigative.
Gianfranco Massi

Unknown ha detto...

Buon giorno,

vorrei chiedere al Prof. Israel, a cui, devo dire, guardo come ad una delle poche voci intellettualmente oneste (non e' che altri non siano onesti, è che forse non ci arrivano, il che sarebbe meno grave) e di cui non condivido tutti i pensieri (ma questo è il bello dell'onestà intellettuale), che cosa ne pensa della valorizzazione dei docenti nella scuola. E' possibile? E' doverosa? Il caso della maestra-preside che viene descritto sopra mi fa pensare alla mia (e chissa' di quanti altri) situazione: sono dottore di ricerca in fisica, con pubblicazioni e lavoro all'estero alle spalle, e insegno, molto felicemente, in un liceo linguistico. Nello stesso liceo siamo in due dottori di ricerca ad insegnare matematica e fisica; al liceo scientifico della stessa città nemmeno uno. A me la mia sistemazione va benissimo, ma mi chiedo se invece la sovrintendenza scolastica non dovrebbe in un certo senso "costringere" (magari con qualche incentivo economico) me e i miei colleghi verso lo scientifico, dove probabilmente le nostre competenze sarebbero piu' sfruttate. Credo che è quello che succederebbe in qualche azienda privata. Perche' nella scuola non succede? Non dovrebbe venire prima l'interesse degli studenti e poi quello dei docenti (trasferimenti, graduatorie, ecc.)? Quando racconto ai miei studenti del mondo della ricerca mi ascoltano, nonostante tutti i miei incoraggiamenti, come se parlassi di un mondo a loro sostanzialmente precluso (e in effetti non hanno tutti i torti), mentre magari degli studenti dello scientifico sarebbero realisticamente più incoraggiati verso quel mondo.
Prof. Israel, visto l'alto numero di dottori di ricerca senza lavoro e con grandi competenze anche internazionali, non ritiene che sarebbe il caso di creare delle posizioni intermedie tra scuola e ricerca? Io la mia me la sono creata da solo, ma devo testimoniare che ne sono assolutamente soddisfatto e credo che tanti altri potrebbero esserne felici. Tali professionisti potrebbero avere magari una piccola riduzione del monte orario e degli impegni burocratici in cambio di una collaborazione pomeridiana gratuita con gli enti di ricerca. Sarebbe un modo di non buttare via l'investimento sui dottorati.Mi chiedo anche, ad esempio, chi potrebbe mai insegnare la materia in lingua straniera all'ultimo anno, come pare prospettato dal ministro, se non un dottore di ricerca, che, in genere, ha questo tipo di preparazione.

Giorgio Israel ha detto...

Penso che tutte queste considerazioni siano molto ragionevoli ma che in una scuola stretta nella morsa soffocante di sindacati, associazioni professionali e ogni sorta di gruppi corporativi che ne condizionano la vita in modo stretto qualsiasi soluzione che risponda a esigenze culturali non può avere alcuno spazio. Francamente non è che sia molto ottimista se questi cappi al collo non verranno tagliati. Per quanto riguarda l'informatica confesso di non sapere molto quel che succede e quindi sarei lieto di avere informazioni al riguardo.

Caroli ha detto...

A parte l'uso improprio dell'indicativo al posto del congiuntivo ("Credo che è"!? ma non si dice "Credo che fosse"?), potrei raccontare molti casi in cui le affermazioni di Lcolletti troverebbero tragica smentita riguardo proprio alle aziende private, specialmente quelle di medio/grandi dimensioni. Non parliamo poi delle multinazionali, dove lo spreco di competenze (parlo per esperienza diretta) ha raggiunto un livello che, se non fosse tragico per evidenti motivi, sarebbe ridicolo. Per il resto, concordo con la Sua risposta.

Dina Moro ha detto...

Vorrei fare un piccolo commento a lcolletti, senza che la cosa risulti offensiva (anzi, lungi da me!).

Concordo sul fatto che un'esperienza di dottorato, se unita ad una proficua esperienza di insegnamento, andrebbe valorizzata (cosa che nella scuola italiana non accadrà sicuramente in un prossimo futuro).

Mi permetto però di dissentire completamente sulla frase"Tali professionisti potrebbero avere magari una piccola riduzione del monte orario e degli impegni burocratici in cambio di una collaborazione pomeridiana gratuita con gli enti di ricerca."

Collaborazione pomeridiana gratuita?
Per quanto mi riguarda, mai.

Questo sarebbe un modo per calpestare l'esperienza e la competenza del presunto ricercatore.

Potrei cambiare idea se la prestazione ricevesse il giusto compenso (ad esempio un contratto part-time con la scuola e uno part-time con l'università), anche se vedo molto male il tenere i piedi su due staffe: per quanto i tempi di ricerca possano essere "diluiti" infatti, sono pur sempre due lavori...e bisogna anche vivere (e seguire i figli, tanto per rientrare nel tema del post!).

La ricerca va finanziata e sostenuta.
E un lavoro deve ricevere il giusto compenso, per essere considerato tale.

Altrimenti l'Italia non uscirà mai dalla situazione nella quale si trova: qualunque lavoro si paga, a monete sonanti, ma la cultura è, nella mentalità comune, una sorta di hobby, devoluto in beneficenza.

Dina

Caroli ha detto...

Suggerisco un articolo, a proposito di educazione:

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=14612

Giorgio Israel ha detto...

E io ne suggerisco uno che esemplifica in modo perfetto il cretinismo del "pedagogismo olistico":
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=14547

agapetòs ha detto...

Dall'articolo citato dal prof. Israel:
Ciò richiama un mutamento della concezione e della impostazione dei Consigli di classe che si devono trasformare in équipe pedagogica dove le specificità disciplinari dialoghino per individuare connessioni su cui in sinergia articolare il proprio agire formativo e culturale.

BASTA! PER CARITÀ!!
I Consigli di classe sono al 90% delle gran perdite di tempo. Le informazioni davvero importanti (e che spesso non si possono riferire in contesti ufficiali) noi insegnanti ce le scambiamo nei corridoi e in sala insegnanti.
Del resto, leggo che l'autrice dell'articolo è laureata in pedagogia e fa il supervisore pedagogico-didattico. Di tutte queste belle pensate poi le conseguenze le pagherebbero altri (come sta già avvenendo).

Giorgio Israel ha detto...

FOSSE SOLTANTO QUESTO!.....

Cito:
... l’articolazione delle Indicazioni per ambiti disciplinari suggerisce e propone un lavoro culturale e didattico che promuova un “sapere integrato”. Il ‘dialogo’ tra le discipline è embrionalmente presente nella primaria, anche in forza della sua strutturazione per moduli. Nella secondaria un dialogo tra le discipline diventa irrinunciabile perché ogni disciplina conduca l’alunno alla totalità della realtà (che non è la somma dei suoi aspetti), attraverso il potenziamento della valenza formativa delle singole discipline e l’elicitazione di competenze che trascendono quelle specifiche di ogni disciplina (imparare a imparare, individuare collegamenti e relazioni…).

Vogliono costruire il "sapere integrato" in classe,,, perché il tutto è più delle parti - come dire matematica e fisica è più di matematica + fisica, ecc.
Quello che sconvolge è che una simile miseria culturale venga scodellata con tanta proposopea. Ma perché non è possibile "valutare" persone che scrivono bestialità simili e assegnarle a un rude corso di riqualificazione? Un po' di modestia, studia e fai il tuo mestiere, se ne sei capace, invece di rompere le scatole al prossimo.

E POI: l'unificazione tra scuola primaria e secondaria di primo grado... L'ultima sciocchezza sesquipedale enunciata dai sadici massacratori della scuola e della conoscenza...

Caroli ha detto...

A proposito dell'articolo 14547: Professore, che guazzabuglio! Dopo 10 righe un povero ingegnere come me non ci capisce già più niente...
Per favore, torniamo all'On. Janet Museveni, first lady ugandese. Almeno si impara qualcosa di sensato, oltre a tutto, detto chiaramente.
oltre.

Siccome ho password per un commento presso "il sussidiario", scrivo qui cosa ho inviato loro a commento:

"Dopo 10 righe già non si segue più il ragionamento (se di ragionamento si tratta). A me paiono una fila di parole giustapposte senza un filo logico. Per favore, evitiamo simili guazzabugli (il)logici."

Caroli ha detto...

Un nota bene finale: l'articolo da Lei stigmatizzato non appare nella mail di presentazione dei temi più importanti trattati nel numero odierno de "Il sussidiario", mail che quotidianamente mi perviene. Probabilmente, anche la redazione ha creduto opportuno passare sotto silenzio un pastrocchio simile...

Barbara ha detto...

A proposito dell'articolo citato dal professore: sono imbestialita.

- Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare è quella di stare zitto. - (La saggezza del Grillo parlante)

Dina Moro ha detto...

Poveri grilli parlanti! In Italia sono in via di estinzione.

Tutte scuse e paroloni per distruggere quel poco che rimane della scuola.

Continuiamo così, e già che ci siamo aboliamo le materie tradizionali e sostituiamole con "storia e cultura del reality", "grammatica del sms",
"antologia televisiva", "teoria e pratica dei videogiochi" e simili.

Questo sarebbe il sapere integrato più popolare della nostra povera Italia: ignoranti, incapaci, insicuri (WOW! Le tre "I") e felici (?) per sempre.

Il paese dei balocchi.

Dina

Giorgio Israel ha detto...

Ma guardi che la realtà supera sempre la fantasia. Ormai parecchi anni fa un noto pedagogista (consigliere di ministri) sentenziò che "i videogiochi sono la rivoluzione epistemologica del XX secolo". Perciò "teoria e pratica dei videogiochi" mi sembra riduttivo: facciamo "epistemologia dei videogiochi".

vanni ha detto...

Tutti contro, sparando a palle incatenate!!! Intanto però un vecchio ingegnere ha imparato che cos'è l'elicitazione, e si è convinto - seppure a bollitura completata - di sapere tante cose che non sa di sapere.
Incredibile che certa gente si prenda così sul serio. Se non fossero penosamente dannosi si potrebbe dire che hanno un talento umoristico straripante.

Caroli ha detto...

I videogiochi sono due cose: per gli uni (quelli che li producono) un business; per gli altri (quelli che vi si rincitrulliscono) un modo di fare olocausto della propria intelligenza. O di quello che ne rimane. Se uno poi vuol giocare al computer, che diamine, è così bella una sana partita a dama, a othello, o a scacchi via internet (sempre in attesa di giocarla con l'avversario in carne ed ossa di fronte, che è impagabilmente meglio...).

Caroli ha detto...

In un mio post precedente è successo un pasticcio con la tastiera, laddove parlo di Mrs. Museveni.

Dove è scritto:
"oltre.

Siccome ho password..."

Era da leggersi:

"Inoltre, siccome ho la password..."

Mi scuso dell'involontario pasticcio.

agapetòs ha detto...

Vedo che in calce a quell'immaginifico articolo sesquipedalogico del Sussidiario non è comparso né il commento di Caroli né il mio che pure era civile benché aspramente discordante: il re è nudo, ma non lo si può dire...

Caroli ha detto...

Anch'io, Agapetòs, lo immaginavo. Forse la mia password serve solo a rendere edotta la redazione del "Sussidiario" su quale sia la squadra di calcio che sostengo... Ho la sensazione che interromperò anche l'iscrizione alla loro mailing list. Del resto, sono solito interrompere bruscamente ogni contatto quando mi accorgo che il dialogo è, come si suol dire, "tra sordi": pazienta uno, pazienta due, pazienta tre. Poi basta.

Luigi Sammartino ha detto...

Professore,
a proposito di "epistemologia dei videogiochi" e della realtà che supera la fantasia.

Stavo andando al lavoro e in metropolitana ho visto sulla prima pagina di un giornale una notizia che mi ha fatto cadere le braccia..... L'ho ritrovata su Repubblica.

http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/scuola_e_universita/servizi/regno-unito/regno-unito/regno-unito.html

Non ce la faccio nemmeno a commentare.

Giorgio Israel ha detto...

Fosse solo l'epistemologia dei videogiochi... È che i videogiochi sono LA PIU' GRANDE RIVOLUZIONE EPISTEMOLOGICA DEL NOVECENTO...
Quanto all'altra notizia se l'Inghilterra ha deciso di diventare un paese di idioti questa è un'ottima scelta. Se poi la cosa si estende, penso che i miei figli dovrebbero emigrare fuori d'Europa come il più grande di loro che sta in un'università sudafricana.

Caroli ha detto...

Io continuo a pensare che i videogiochi siano il principale veicolo di rincitrullimento collettivo. Con i distinguo che ponevo sopra.