Da un paio di mesi sono state diffuse le valutazioni degli apprendimenti in matematica e scienze degli studenti italiani delle scuole elementari e medie inferiori nell’ambito dell’indagine internazionale TIMSS 2007 (Trends in International Mathematics and Science Study) e ora si moltiplicano i commenti sulla stampa e in rete. Prevale lo sconforto per i risultati delle valutazioni per le medie inferiori che, comunque li si rigiri e interpreti, sono pessimi. Circa la scuola primaria si leva invece il solito peana: le nostre elementari sono le migliori del mondo. Ma è davvero così?
Prima o poi bisognerebbe approfondire l’attendibilità di queste valutazioni internazionali quantitative, soffermandosi sulle modalità con cui vengono compiute le rilevazioni (di dubbia omogeneità), che coinvolgono un numero limitato di paesi, spesso con l’assenza di paesi molto importanti, e ricorrendo a punteggi di significato non molto chiaro. Nel nostro caso, il sondaggio ha riguardato il quarto anno delle primarie coinvolgendo 36 paesi e 7 regioni e misurando i risultati su una scala la cui media è stabilita in 500 e viene tenuta fissa nel tempo per consentire confronti, e che quindi si discosta dalla media effettiva dei risultati dei vari paesi. Quindi il numero 500 è puramente indicativo e non dice nulla di chiaro di cosa sia il livello medio, che potrebbe essere anche, nei fatti – e in dipendenza dei paesi considerati – un livello mediocre. La primaria italiana si colloca per la matematica al livello 507, ovvero di poco sopra la media, tra il massimo di 607 per Hong Kong e il minimo di 204 dello Yemen. Alcuni commentatori plaudono: siamo sopra la media, meraviglia! Ma è facile constatare che basterebbe eliminare alcuni dei risultati peggiori per far precipitare l’Italia al di sotto della media dei paesi restanti; oppure immaginare cosa succederebbe in presenza di paesi che hanno quasi certamente prestazioni migliori dell’Italia in matematica, come la Francia, l’India e la Cina (mancano anche la Spagna e la Polonia).
Ma è soprattutto sconcertante che si gioisca tanto quando si constata che l’Italia si colloca al sedicesimo posto che diventa diciottesimo includendo le regioni del Quebec e dell’Ontario considerate a parte. È davvero da rallegrarsi che la settima potenza industriale, il paese che fino a mezzo secolo fa era la terza potenza mondiale in matematica, si collochi a un livello così modesto dietro la Lettonia, la Lituania e il Kazakistan? Non solo: dietro il 507 italiano si collocano a distanza di pochi punti parecchi paesi che, per il minimo scarto che li separa dall’Italia, potrebbero essere considerati alla pari. I paesi che l’Italia supera nettamente per i livelli di apprendimento matematici sono la Georgia, l’Iran, Algeria, il Marocco e giù a scendere fino al livello 224 dello Yemen.
La situazione è nettamente migliore nelle scienze – 535 rispetto alla solita media di 500 – comunque non trionfale come pretende qualcuno. Difatti, si tratta comunque di un decimo posto, tredicesimo contando tre regioni canadesi e superiore ad altri sette paesi di poche unità soltanto. Quanto ai risultati per le secondarie di primo grado, sia in matematica che in scienze, è meglio stendere un velo pietoso.
Complessivamente è un disastro per un paese che pretende di essere “avanzato”. Ci vuole davvero un bel coraggio per affermare, come ha scritto qualcuno, che “la scuola primaria italiana conferma i suoi livelli di eccellenza”! Un commento più serio e meno demagogico dovrebbe ricercare nei mediocrissimi risultati delle elementari la premessa per il successivo sfacelo delle medie inferiori, anche se sappiamo che su quest’ultimo influiscono altri fattori, tra cui la modesta preparazione matematica della maggioranza degli insegnanti in questa fascia di scuola.
In realtà, quel che ci offre il rapporto TIMSS 2007 è la scoperta dell’acqua calda, Chi conosca un poco programmi e metodi d’insegnamento in queste scuole non ha certamente ragione di sorprendersi.
(Libero, 12 marzo 2009)
13 commenti:
C' é ancora qualche politico a cui interessa la scuola?
Non credo. La domanda però andrebbe posta diversamente: a quanti genitori interessa veramente che i figli imparino a crescere e diventare donne e uomini?
Se la maggioranza dei genitori volesse veramente questo, la Scuola sarebbe il primo obbiettivo dei politici, di maggioranza e di opposizione.
Lei, professore Israel, penserà che con queste affermazioni banali non si costruisce nulla, e tutto rimane come è. Sono d' accordo, e infatti tutto rimane come è, ma non in modo inerziale, perché siamo in decelerazione costante.
Gianfranco Massi
Troppo pessimismo, signor Massi. E troppo pessimismo non è realismo: è ideologia. Io mi fido di chi lavora bene, anche in supporto ai politici.
Ho atteso in questi giorni che qualcuno provasse un commento. Visto che nessuno si palesa, provo io e anche questa volta prendo posizione: la riforma Gelmini non mi piace e sarebbe troppo lungo motivare. Ciò premesso, concordo con l'analisi dei risultati e potrei trasferirla pari anche ai test sulla comprensione della lettura (chiunque potrà notare che c'è uno scarto notevole tra i risultati ottenuti in seconda elementare e i successivi rilevati in quarta anche nei test invalsi, per quanto docimologicamente discutibili).
Detto questo, è evidente che l'attuale assetto delle scuole italiane sia poco efficace e poco efficiente: la spiegazione di risultati mediocri, perlomeno, non può essere attribuita alla sola qualità dei bambini e degli studenti, che personalmente trovo molto buona in potenza. Non credo che un ritorno all'insegnante prevalente o unico risolva questi problemi, a meno di pensare che sia possibile avere un insegnante qualificato alla docenza competente di più discipline: in questo la riforma semplifica e probabilmente amplifica il problema, senza minimamente porsi qualche dubbio sulla preparazione complessiva degli insegnanti di questo Paese. E senza affrontare alcuni nodi decisivi: aggiornamento disciplinare (e a volte anche metodologico) obbligatorio e di carattere universitario, diversa distribuzione degli orari di servizio, diversa distribuzione dei calendari scolastici, per esempio. Anche i Pof delle scuole sarebbero talvolta da rivedere:
cito per brevità l'enorme mole di "progetti formativi" approvati e in cui si impegnano insegnanti e bambini, percorsi spesso non contestualizzati e ancora più spesso avulsi da ogni aggancio disciplinare (anche se una mamma tempo fa mi ha detto che con la scusa dell'autonomia e della libertà di insegnamento noi insegnanti si riesce a giustificare quasi tutto). Ovviamente semplifico, ma rende l'idea di scuole in cui talvolta si perde di vista l'oggetto di lavoro: l'apprendimento dei fondamentali di alcune discipline. Tutti questi elementi e i dati internazionali rendono indispensabile una riforma anche nella scuola primaria, perchè non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Una riforma vera.
Saluti, Vincenzo Manganaro
Caro Vincenzo, lei scrive
talvolta si perde di vista l'oggetto di lavoro: l'apprendimento dei fondamentali di alcune discipline
Talvolta? il calo demografico e l'autonomia scolastica hanno trasformato le scuole in aziende che devono pubblicizzare e vendere il proprio "prodotto". E molti genitori si lasciano abbindolare dal fumo dei vari POF senza guardare alla sostanza.
Nella mia scuola molti studenti - anche bravi e motivati - hanno fallito i test d'ingresso all'università. Ma ormai sono "clienti" usciti dal circuito del consumo, e sono sicuro che di questa cosa da noi non si parlerà in alcuna occasione ufficiale, e che la cosiddetta "autoanalisi d'istituto" eviterà accuratamente questo argomento.
Cordialmente,
Giovanni Corbelli
Gentile signor Vincenzo Manganaro, non so se lei vive in prima persona il dramma della scuola o se ne sta parlando da osservatore esterno. Ugualmente mi permetto di contraddire la sua critica alla riforma Gelmini la quale, secondo il mio parere, potrebbe sortire effetti positivi e salutari (nonostante sia stata pensata guardando al risparmio più che alla riqualificazione del sistema).
Mi spiego.
I problemi della scuola primaria sono eminentemente due, apparentemente contraddittori, ma dannosamente compresenti:
- UNO DI CARATTERE TEORICO L'ossessiva invadenza di certa pedagogia che vorrebbe ridurre l'apprendimento ad autoapprendimento, il maestro a facilitatore, le conoscenze a vuote competenze. Di questa costruzione ideologica sono intrisi riviste, circolari, corsi di aggiornamento, siti internet e registri, bocche dei presidi e degli esperti. Quindi, ogni volta che si parla o si scrive è d'obbligo confermare la solita solfa, pena l'essere tacciati di ignoranza e inadeguatezza ai tempi.
- UNO DI CARATTERE DIDATTICO
La moltiplicazione e frantumazione enciclopedica del sapere, per cui un bambino di prima elementare si trova in "pagella" ben 14 voti per 14 attività di tipo diverso. Da notare che quando entra in classe, ovviamente, non conosce l'abc e già dal primo mese gli si devono propinare con ansia soffocante schede sulla successione, la contemporaneità, la costruzione di mappe e percorsi, la rappresentazione di ambienti e oggetti da diverse prospettive ecc (senza che, peraltro, sappia leggere da solo le consegne!!). "Scrivere correttamente semplici frasi" è banalmente 1 dei 43 obiettivi della sola area linguistica!
E in tutto questo correre senza sosta quello che si perde di più prezioso è il tempo per leggere ad alta voce, per riflettere sugli avvenimenti quotidiani, per imparare insieme a pensare, esprimere, giudicare le cose.
Perché si possa cambiare davvero urgono attaccamento alla realtà, attenzione alla struttura mentale dei bambini, rispetto dei tempi di apprendimento, realistica distribuzione degli obiettivi.
Si entra proficuamente nel vivo delle discipline solo dopo aver masticato e digerito gli strumenti per entrarci. Altrimenti ci si ingozza per poi vomitare.
Per uscire dalla prigionia di una scuola così, vuota di vera conoscenza e zeppa di informazioni asfissianti, la maestra unica potrebbe essere proprio un toccasana.
Egregio Massi - Le devo premettere che con la Scuola non ho a che fare, e che quindi la mia vale come opinione di un uomo della strada, magari di due, perché anche il mio barbiere la vede così - non trovo proprio banalità alcuna nella Sua affermazione, che anzi mi pare vada al fondo del problema. Altro che banalizzazione, è il problema alla radice, che è semplice e viene espresso con semplicità e lineare evidenza, senza tante menate.
Dunque troppi genitori intendono che i figli siano posti sotto tutela, barattando il sapere, l'indipendenza e la capacità di ragionamento con l'uniformità ideologica e dei pezzi di carta. In cambio la sicurezza (quale sicurezza poi nel mondo d'oggi...) di una collocazione dentro qualche organizzazione, dentro l'Organizzazione? Forse nella loro testa, consapevole o no, c'è – come suol dirsi – un modello di società dai confini definiti con precisione.
Nessuno ha mai rilevato che i risultati migliori dei bambini italiani della scuola primaria rispetto ai loro colleghi degli altri gradi di scuola (italiana) sono dovuti al fatto, incontrovertibile, che i nostri bambini leggono come scrivono cioè l'italiano non ha i problemi di pronuncia, di spelling, che hanno tutti i bambini che parlano che lingue più europee (non conosco la situazione per le altre lingue). Ciò significa che i nostri bambini a Natale della prima elementare sanno già leggere e scrivere a differenza di ciò che avviene in altri paesi in cui i dettati durano fino alla quinta (e oltre a seconda delle lingue) e in cui la lettoscrittura occupa gran parte dei programmi dei primi anni di scuola. Per cui i nostri bambini hanno, rispetto ai loro colleghi stranieri, quasi un anno di vantaggio sulla lingua e la lettura che, ovviamente si ripercuote anche sullo studio delle altre materie. Da ciò ne consegue che i risultati delle elementari vanno considerati molto peggiori di quello che appare dalle statistiche! Io, che ho tre figli in tutti i gradi di scuola ritengo che il vero problema della scuola italiana sia proprio la primaria, cioè le fondamenta della casa.
Vincenzo, Le chiedo: se Lei contesta un insegnante "onnicomprensivo", perché dovrebbero esserlo gli alunni? Vorrei essere rettamente inteso: la mia è una dimostrazione per assurdo, nel senso: se un adulto non è in grado di fornire un panorama culturale di base, perché dovrebbe essere in grado di recepirlo un bambino? Abbiamo tutti piccoli Leonardo da Vinci, ossia una generazione di scolari in grado di dar punti culturalmente agli adulti per scienza infusa, o qualche altra misteriosa ragione? Ovviamente no: i nostri piccoli sono persone normali: non sarebbe quindi meglio che una persona adulta normale (e non due o tre) insegnasse loro "il leggere, lo scrivere ed il far di conto", e che fosse quel "signor maestro" che quelli della mia generazione ricordano con tanto affetto?
Per cui concordo con Barbara sia sul tema della pedagogia "invasiva" che della frantumazione didattica, temi di cui il Professor Israel ci ha fornito una quantità di esempi. Il dramma che cita Agapetòs, infine, l'ho vissuto come genitore: c'è voluto del bello e del buono per rimotivare mia figlia dopo il fallimento del suo test di ingresso all'Università. Grazie.
A chi dice che è impossibile, per una sola persona, conoscere tutte le discipline insegnate nella scuola elementare, sfugge forse il fatto che non ci si laurea in percorsi specialistici "Inglese", "Scienze", "Materie umanistiche, italiano". Quando ci si laurea in Scienze della Formazione Primaria (necessaria per insegnare alle primarie) lo si fa seguendo un unico percorso, per tutti, con qualche variazione in crediti. Sono poi le scuole ad utilizzare, per un dato anno, una maestra nelle ore di scienze ed un'altra nelle ore di italiano. Non vi è quindi una specializzazione di saperi, ma solo di utilizzo. Utilizzo che può variare di anno in anno. Le maestre o maestri che insegnano italiano, non sono più sapienti in italiano delle maestre che insegnano scienze. Semplicemente gli sono state assegnate, quell'anno, le ore di scienze.
Tra l'altro, non vedo che specializzazione per materia vi debba essere quando si devono insegnare i fondamentali necessari del programma delle primarie, che dovrebbe essere il più essenziale possibile, ed imprimere nei bambini quei pochi concetti fondamentali e necessari che ora vengono dispersi in mille rivoli. La conclusione è ovviamente che i bambini conoscono tante cose e nessuna in modo corretto.
Una maestra è più che sufficiente per fare un ottimo lavoro (come accade in tutti gli altri Paesi)...sempre che sia preparata adeguatamente (e qui ritorna la necessità della nuova formazione) e che vi sia una riforma dei programmi da svolgere.
Vorrei chiedere al Professore a proposito della nuova formazione, è possibile che parta dal prossimo anno? Ve ne è vera necessità.
L'ultima domanda mi viene fatta più volte al giorno. Noi abbiamo finito. Non dipende più da noi. Speriamo di sì. È possibile.
Sono molto aperto alla discussione :-) e trovo che le critiche civili siano un incentivo alla riflessione, quindi ringrazio chi non condivide il mio punto di vista. Riprendo per motivare meglio qualche punto qua e là, perchè altrimenti tratto questo spazio come un mio blog e non vorrei essere invadente.
Io credo che per insegnare alla scuola primaria occorra un reale approfondimento disciplinare; se preferite, non una "specializzazione" ma un serio lavoro su quei fondamentali di cui si parla, non escludendo l'approccio metodologico (e perfino la pedagogia: qualche volta serve). Per capirci: i corsi di scienze della formazione primaria sulle discipline sono focalizzati spesso su singoli aspetti di una disciplina e non durano più di 30 ore. Nei corsi più selettivi (in genere qui a Bologna per esempio fisica) molti studenti ripetono l'esame più volte venendone fuori con un diciotto risicatissimo. Cito una esperienza personale: ad un esame di fisica 7 studenti su 35 non sono stati in grado di risolvere una equivalenza da decametri a metri; a domanda, uno di essi mi ha risposto che non ricordava più le "equazioni". Io mi domando semplicemente se questi futuri colleghi saranno a loro agio con le scienze sperimentali e la matematica, dovendo occuparsi anche delle altre discipline; oppure, magari, sacrificheranno proprio le discipline di area logico matematica consci dei propri limiti. Faccio un secondo esempio: ho verificato alcuni corsi di laurea in Italia e in nessuno di questi c'è un esame di didattica dell'italiano che spieghi agli studenti come insegnare a leggere e a scrivere: abbondano le attività di "scrittura creativa" e quant'altro ma gli studenti chiudono la loro esperienza formativa mancando in uno dei fondamentali in cui occorrerebbero maggiori certezze e conoscenze: c'è modo e modo di insegnare a leggere e scrivere. E mi limito a questi due esempi per ribadire che a mio avviso un insegnante unico con queste conoscenze ha poco futuro e rischia addirittura di incentivare le difficoltà attuali in cui versa la scuola; a meno di non intervenire sulla formazione iniziale degli insegnanti almeno in termini di maggiori competenze disciplinari. Per informazione: non è vero che gli studenti non si "specializzano". Attualmente al termine del secondo anno devono scegliere tra un percorso "maior" e un percorso "minor", che vuol dire che gli ultimi due anni di tirocinio nelle scuole li frequentano approfondendo l'aspetto linguistico espressivo (spesso italiano oppure storia)oppure quello logico matematico (in genere matematica e comunque scelto da una minoranza di studenti, perlomeno a Bologna: meno del 10%).
La specializzazione di "utilizzo" non mi sfugge ed è parte del problema: conosco insegnanti di primaria che in un decennio non hanno mai insegnato italiano oppure matematica; siamo certi che questo dettaglio non influirà sugli apprendimenti degli alunni loro affidati oppure pensiamo che l'autoaggiornamento risolverà il problema? Anche per questo sostenevo nel mio post la necessità dell'aggiornamento disciplinare obbligatorio.
Segnalavo, forse implicitamente, che in questa situazione alunni e studenti soffrono di lacune ascrivibili soprattutto alla organizzazione scolastica e alla formazione degli insegnanti; le classi modulari sono diventate porte di un grand hotel in cui docenti entrano ed escono sforzandosi di insegnare almeno undici discipline teoricamente di pari dignità e frantumate tra quattro, cinque, a volte sei insegnanti. Sono dunque d'accordo alla semplificazione "numerica" ma vorrei che fosse di qualità: al momento ho la sensazione che si tratti soltanto di risparmio economico. Per inciso, sono insegnante di scuola primaria, formatore e supervisore del tirocinio nei corsi di laurea di scienze della formazione primaria; ultimo dettaglio, il prossimo anno sarò uno dei prevalenti/unici di cui parliamo.
Vi ringrazio e spero ci sarà la possibilità di approfondire, saluti, Vincenzo Manganaro
Sulla necessità di improntare la formazione dei docenti ad un serio approfondimento disciplinare, senza trascurare un’adeguata preparazione psico-pedagogica, sono senz’altro d’accordo. Rimane, invece, scongiurabile il rischio di orientare i futuri insegnanti verso la stessa direzione fatta rovinosamente seguire agli alunni: quella che sostituisce la qualità con la quantità, l’unitarietà con la frantumazione, la cultura con i saperi, la conoscenza con le istruzioni per l’uso, l’uomo con una banca-dati.
E’ inevitabile che l'aumento quantitativo porti alla parcellizzazione, che gli esami frantumino la disciplina in alcuni parziali aspetti, che i corsi durino una manciata di ore, gli esaminandi impieghino massimo una settimana per studiare e massimo un’altra settimana per dimenticare tutto.
D’altra parte lo stesso capita nelle aule: da un obiettivo si passa tempestivamente e spasmodicamente ad un altro perché c’è troppo da mettere sul fuoco mentre il tempo è tiranno. E’ così che i medesimi obiettivi si ripetono identici di anno in anno e li ritroviamo tali e quali nel passaggio da un ordine all’altro di scuola.
Vorrei inoltre evidenziare la natura socioculturale del problema, il quale investe non solo il sistema scolastico e universitario, ma anche la famiglia (che sente quale dovere irrinunciabile occupare i pomeriggi dei figli in una miriade di attività sportive e coreutico-musicali, ma non trova il tempo per parlare, giocare, raccontare, stare insieme), il tempo libero (organizzato nei minimi dettagli: perfino i compleanni sono divertenti solo se c’è l’animatore), la televisione (i programmi rivolti ai bambini non sono più narrativi, ma informativi se va bene, violenti se va male). Perfino la parrocchia triplica gli anni di catechismo necessari per ricevere la Comunione o la Cresima!
Per uscire dalla morsa di questa vorticosa e riduttiva dispersione, ritengo che il ritorno al maestro unico sia un primo buonissimo passo.
Grazie, Vincenzo. Quello che a me sfuggiva era proprio l'assenza di un corso in cui si insegna il metodo per fare apprendere ai piccoli a leggere e scrivere. Mi viene da dire che, allora, è una situazione senza né capo né coda. La Sua indicazione a proposito dell'intervento sulla formazione iniziale mi pare assai sensata. Auguri per l'anno prossimo: vedrà che l'esperienza che va ad iniziare sarà molto interessante.
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