Volete avere un’idea dei risultati cui può portare l’abuso dell’autonomia scolastica? Seguitemi con un attimo di pazienza.
In aritmetica si introduce la cosiddetta proprietà associativa dell’addizione, che così si scrive: (a + b) + c = a + (b + c). Essa significa che sommare prima a con b e quindi sommare il risultato con c è la stessa cosa che sommare a con il risultato della somma tra b e c.
È una proprietà importante: difatti, dato che la somma è un’operazione definita tra due numeri, essa spiega quali regole presiedono alla somma tra più di due numeri. In parecchi libri scolastici di matematica questa proprietà viene malamente enunciata dicendo, per esempio, che «associando gli addendi il risultato non cambia», Così si travisa o comunque si esprime male il significato autentico della legge. Da questo travisamento è nato, non si sa in quale testa d’asino, una legge inversa mai conosciuta nell’aritmetica prima che il diritto all’autonomia scolastica permettesse di ricreare liberamente le discipline: la legge dissociativa dell’addizione. Questa viene enunciata dicendo che «dissociando gli addendi il risultato non cambia», ovvero che «se a uno o più addendi se ne sostituiscono altri la cui somma è uguale all’addendo sostituito il risultato non cambia». Per esempio, significa che 11 + 12 = (10 + 1) + 12 = 10 + (1 + 12) = (9 + 2) + 12 = 9 + (2 + 12), ecc. ecc. A essere indulgenti, è un modo di ridire a rovescio la proprietà associativa. In verità, è una colossale castroneria, perché in fin dei conti è quanto dire che ogni numero è somma di unità…
È da tempo che si tenta in tutti i modi di dissuadere questi novelli Pitagora dal diffondere questa assurdità. Niente da fare. La legge dissociativa dilaga. E non a caso dilaga nei libri e tra i gruppi d’insegnamento più “innovativi”, quelli del “cooperative learning”, della didattica “sperimentale”: basta farsi un giretto su Internet. Non bastasse, propalano altre baggianate come l’idea che la legge commutativa (a + b = b + a) serve a verificare che ho fatto la somma correttamente (prima sommo a con b, poi b con a, se il risultato è lo stesso è esatto…).
Ora racconto un episodio esilarante. Un professore di matematica che vede il suo bambino costretto a studiare questa “legge” va dalla maestra e la prega di cessare lo scempio. Risposta: la decisione di insegnare in tal modo è stata presa dall’interclasse e quindi il genitore dovrebbe chiedere una riunione dell’interclasse, avanzare la sua richiesta e vedere se sarà accettata.
Insomma, in nome dell’autonomia scolastica, la verità del teorema di Pitagora o delle conoscenze trasmesse da secoli nella matematica (e a maggior ragione in ogni disciplina) diventano oggetto di decisioni prese dagli organi della “democrazia scolastica”. C’è di che detestare la democrazia.
Ne discendono due riflessioni. La prima: guardiamoci da chi proclama con prosopopea che è finito il tempo in cui i concetti debbono venire assieme alle metodologie d’insegnamento, anzi devono essere subordinati ad esse. In tal modo si legittima come scelta “didattica” qualsiasi baggianata venga alla mente, facendo strame di qualsiasi oggettività della conoscenza. La seconda: alla larga da chi predica l’assoluta autonomia di istituti scolastici che autogestiscano anche i contenuti dell’insegnamento, “ricreando” pure la matematica, e che nutrano la pretesa di gestire la propria formazione e reclutamento, ovvero la propria autoriproduzione. Perché così salta ogni controllo e la libertà diventa arbitrio. Quantomeno non si abbia la faccia tosta di parlare di valutazione.
(Tempi, 5 marzo 2009)
24 commenti:
Buongiorno,
c'è un aspetto che non mi è del tutto chiaro: la critica riguarda l'attribuire a questa regola (sostituire un numero con altri due la cui somma sia uguale al numero di partenza) il pomposo nome di proprietà dissociativa dell'addizione, mettendola sullo stesso piano della proprietà associativa, oppure riguarda tout court l'insegnamento di una simile regola?
Riguarda l'insegnamento di una simile inesistente regola che merita soltanto il cappello d'asino.
Forse non mi sono spiegato abbastanza. La legge associativa non si scrive a+b+c = (a+b)+c = a+(b+c). La somma è un'operazione BINARIA (e non ternaria o n-aria). È la legge associativa (a+b)+c = a+(b+c) che da senso all'espressione a+b+c. Se non valesse (come per vale per certi insiemi dotati di un'operazione) tale espressione non avrebbe senso. Quindi non è che nella "somma" a+b+c posso "associare" come voglio gli addendi, Perché tale somma è concepibile proprio in virtù della proprietà associativa. Può sembrare una sottigliezza ma è fondamentale. Di conseguenza, non esiste una legge "dissociativa" inversa della legge associativa. Difatti, essa non può essere espressa in una formula generale, bensì soltanto nell'affermazione verbale da lei riportata, che non può essere scritta. Infatti nei libracci che la riportano la si enuncia sempre verbalmente con esempi numerici. A essere indulgenti dovrebbe essere tagliata con il rasoio di Occam. In verità è soltanto una boiata pazzesca. Tanti colleghi matematici esortano a dimenticarla, ma i "didatti" col cappello d'asino tengono molto alle loro "invenzioni".
Gentile Dott. Israel
sono un perito industriale di oltre sessantanni insegnante di tecnologia nella scuola secondaria di primo grado.
Vorrei intervenire per notare che il tema di questo post è legato a filo doppio con il problema della formazione degli insegnanti di scuola primaria in campo matematico scientifico. Non compete a me indicare come essa essere perseguita ma dovrebbe fornire al docente i capisaldi dell'aritmetica e della geometria euclidea. Non multa sed multo.
Concordo con la necessità di tornare ai contenuti ma per questo bisogna che il ministero enunci quelli irrinunciabili ovvero bisogna che si torni ai programmi.
Se non ricordo male Ugo La Malfa sosteneva che perchè le autonomie locali funzionassero c'era bisogno di un'autorità centrale forte. Forse non aveva tutti i torti. Cordialmente
Lei sfonda una porta aperta. Anzi, non c'è proprio porta...
Le verità diventeranno dogmi nell'istante in cui verranno contestate. [...] Ogni cosa verrà negata. Ogni cosa diventerà un credo. [...] Verranno accesi fuochi per testimoniare che due e due fa quattro.
GK Chesterton in "Eretici" (1905)
In fondo anche la matematica deve essere democratica, no? Per cui la verità di una proposizione o di una proprietà dipende dal fatto di essere condivisa o meno dalla maggioranza.
Temo di non essermi spiegato bene: con regola pensavo a procedura di calcolo per velocizzare il conto.
Un esempio: per calcolare a mente 52 + 41 + 26 io non faccio (52 + 41) + 26 = 93 + 26 = 119, ma utilizzo proprio quella regola che chiamano proprietà dissociativa (50 + 2) + (40 + 1) + (20 + 6) = (50 + 40 + 20) + (2 + 1 + 6) = 119. Insomma, conto prima le decine e poi unità, magari raggruppando insieme le "somme notevoli" (per sommare 7,6,3 isolo il 7 e il 3, che fanno 10, e poi aggiungo 6).
Un trucco, se vogliamo, che mi ritrovo a utilizzare spesso al supermercato o in libreria.
Credo sia importante che a scuola insegnino anche questo, senza spacciarlo per proprietà dissociativa (che già immagino la confusione: ma la somma è associativa o dissociativa?) ma, appunto, come metodo di calcolo.
Spero di essere stato più chiaro di prima.
Sì, ma tutto questo non c'entra niente. Vi sono innumerevoli tecniche di calcolo mentale, molte sono personali e nulla da dire al riguardo, ma non vanno confuse con le proprietà generali che definiscono gli insiemi numerici. Insegnarle come leggi dei numeri interi è un'assurdità. Se a scuola si fa una confusione del genere è un autentico disastro didattico.
Sul disastro scolastico della legge dissociativa siamo d'accordo.
Mi chiedo se c'è una confusione del genere dietro: non riconoscere la differenza tra tecnica di calcolo e proprietà generali degli insiemi.
A proposito di scienze "democratiche". Secondo Stalin, la "biologia" di Lisenko era "democratica", e nessuno dei comunisti nostrani era disposto, all'epoca, a mettere in discussione ciò. Con la differenza che Lisenko non era né un biologo, né uno scienziato. I veri scienziati venivano vessati: così accadde a Pavel Florenskij, grande ingegnere, fucilato perché sacerdote, accadde a Solzenicyn, scrittore e matematico, accadde al fisico nucleare Andrej Sacharov. Se la maggioranza ha sempre ragione, a volte la verità sta col torto...
Da tempo legggendo i suoi articoli trovavo citata questa famigerata "legge dissociativa", non avevo mai osato chiedere perché sembrava che ne avesse già parlato e tutti sapessero di cosa si trattava (si, ero uno di quelli che si vergognava a fare domande, mannaggia!).
Ora sono finalmente edotto a tale dottrina!
A mio modo di vedere sarebbe invece molto interessante capire come e dove è nata e si è diffusa questa "legge" e nessuno meglio di uno storico della scienza che si occupa anche di didattica può farlo. Potrebbe anche divenire l'oggetto di un piccolo pamhplet.
Lei hai scritto sopra: "è finito il tempo in cui i concetti debbono venire assieme alle metodologie d’insegnamento, anzi devono essere subordinati ad esse". Il che si ritrova in modo molto chiaro anche nella relazione del gruppo di lavoro per la formazione del personale docente (DM30/7/2008) in cui si legge che nella formazione prima devono venire le competenze disciplinari, poi quelle metodologico-didattiche.
Questo approccio per sequenza temporale lo ho ritrovato sempre nella relazione della commisssione anche a proposito di matematica/informatica. Scrive la Commisssione: "è acquisito che l'anticipazione di competenze informatiche rispetto a quelle matematiche danneggia lo sviluppo delle capacità di calcolo mentale"
Questa ultima frase rappresenta di certo un punto di vista importante, ma non "ormai acquisito", come ritiene la commissione(per esempio io stesso davo per acquisito l'opposto).
È "ormai" acquisito dati i risultati fallimentari del punto di vista metodologico. Poi, come sempre, vi sono coloro che non si vogliono arrendere all'evidenza, per vari motivi che sarebbe lungo discutere.
Ho chiesto a mia moglie. Aveva sentito qualche suo allievo citare questa "proprietà dissociativa". Poi però, vista la assenza di reazioni da parte dell'insegnante, passava in disuso anche come locuzione verbale, non se ne parlava più. Oggi, dopo aver letto quanto da Lei esposto, professore, la mia consorte mi ha detto che cambierà atteggiamento, dimostrando ai suoi allievi di liceo scientifico che trattasi di sciocchezza.
Ho trovato questa "proprietà" citata pure in un documento power point pubblicato dal dipartimento di matematica dell'Università di Palermo. Bah!!!
Riguardo al rapporto matematica/informatica, secondo me l'anticipazione delle comptenze informatiche non fa male solo all'apprendimento della matematica. Fa male un po' a tutto.
Secondo me l'uso dei computer in fase adolescenziale danneggia non solo l'apprendimento ma anche le capacità di socializzazione e lo sviluppo della personalità.
Io lavoro nell'informatica e mi sento di dire che quello del "geek" non è solo uno stereotipo...purtroppo!!
Questo commento mi ha toccato:
"Secondo me l'uso dei computer in fase adolescenziale danneggia non solo l'apprendimento ma anche le capacità di socializzazione e lo sviluppo della personalità."
Non credo che sia l'impiego dei computer in se che possa danneggiare gli adolescenti, quanto il lavoro che viene svolto con essi. Quando ero bambino (anni 80) seguii un "corso di informatica" per bambini: nella pratica ci insegnavano a programmare in Basic sui vecchi Commodore 64. E' un' esperienza che mi ha forgiato.
Imparare a organizzare algoritmi per risolvere problemi, motivato dalla ricompensa di ottenere qualcosa che si "animava" sullo schermo e/o reagiva al mio input, credo non possa certo avermi nuociuto, anzi.
Diversa è la situazione se ciò che si introduce a scuola è pura e semplice informatica di consumo: insegnare ai bambini a navigare su internet o a scomodare programmoni per fare quel due più due che è la loro matematica, è tempo perduto.
Certo però va detto che farli smanettare con i computer è comunque meglio che lasciarli in balia delle "inevitabili" playstation di turno, che risultano ancora meno educative....
Vorrei infine spezzare una lancia a favore dell' uso del computer in età adolescenziale: il problema è che l'adolescenza è l' unico momento in cui una persona ha il tempo libero per dedicarsi a fondo a queste materie tecniche/informatiche o affini. Quando si è all' università, specie si frequenta un corso di studi "pesante", non si ha più tempo. Quando si lavora, ancora peggio.
I "geek" di dieci anni fa spesso sono quelli che oggi "sanno fare"...
Caro Borealis, io limiterei il non uso dei computer alla prima infanzia. Mio figlio, che fortunatamente non ha mai utilizzato il computer durante le scuole elementari, oggi è un più che discreto studente del quinto anno di informatica all'ITIS.
Quello che rendeva raccomandabile l'esperienza con i computers negli anni '80 era il fatto che il lavorarci si giocava con un necessario incremento di elasticità mentale. Oggi, invece, questo si è perso. E mi spiego:
Lei racconta del suo Commodore 64 e delle sue esperienze col Basic. Bellissimo. Io a mia volta potrei raccontarLe del Digital VAX11-750 e di Fortran, di Pascal, di CoBol e di C-Language. Ma potrei parlarLe anche di reti Domain Apollo, di ICL Perq, di Sun Microsystem III, di Silicon Graphics, di terminali Tektronix... In sostanza, di un'informatica in cui ogni macchina aveva un suo sistema operativo, dimensionato sulle sue specifiche, ed in grado di tirarne fuori il 100%.
Eravamo noi che dovevamo fare la bellissima fatica di imparare come "parlavano" i mostri che avevamo davanti, ed uno "bravo" riusciva a lavorare anche contemporaneamente con macchine simili.
Si guadagnava un'elasticità mentale che oggi, con questa "mummia", mi si passi il termine, di Windows non è neanche lontanamente pensabile. "Ma queste sono tutte cose/del secolo scorso:/ la mia generazione/ ha perso" (Gaber). Anche qui.
Sull'approccio sequenziale che lei sopra ha efficacemente descritto: prima le discipline, poi la la didattica delle discipline (per la formazione dei docenti); prima la matematica, poi l'informatica (per l'istruzione degli alunni alle primarie), ho una domanda da porre nel settore dele lingue: prima la lingua italiana e poi, una volta consolidata quella, le lingue straniere?.
Puo esprimere il Suo punto di vista su un approccio veicolare e precoce all'apprendimento delle lingue?
Genererebbe o non genererebbe confusione, a suo avviso, un insegnamento disciplinare in età precoce in L2 (in lingua straniera o comunque in una lingua europea, diversa dall'italiano, non correntemente parlata in famiglia dal bambino)?
Si tratterebbe infatti di un uso simultaneo in età precoce di lingue diverse per trattare comuni contenuti disciplinari.
Ci sono priorità e sequenze da rispettare anche nell'insegnamento delle lingue, a suo avviso?
Per esperienza personale non credo che vi sia alcun problema. Mio padre, ritenendo (a torto o a ragione, non importa) che il francese fosse la lingua più "importante" dal punto di vista culturale, fece venire a casa tre volte a settimana una giovane francese che mi insegnava la lingua all'inizio comportandosi come una baby sitter, dato che avevo tre anni. Sono diventato praticamente bilingue senza alcun problema di confusione. In fondo anche l'esperienza dei miei figli va in questo senso: perché è vero che sono bilingui in quanto la madre è spagnola, ma lo spagnolo non è parlato correntemente in casa bensì soltanto come lingua aggiuntiva, quindi una situazione analoga a quella da me vissuta.
Credo che non si ponga per le lingue un problema sequenziale del tipo discipline-didattica. C'è piuttosto il fatto evidente che da piccoli, anzi da piccolissimi, esiste una disposizione straordinaria all'apprendimento rapidissimo di più lingue, anche di tre o quattro senza la minima confusione: mio padre, per ragioni legate al luogo in cui è nato, ha appreso entro i quindici anni sette lingue senza alcuna difficoltà né confusione, visto che poteva scrivere in almeno tre di queste agevolmente.
Il problema, a mio avviso, sta nell'apprendimento precoce. Se esiste l'opportunità meglio sfruttarla presto. Aver studiato l'inglese iniziando tardi mi ha sempre precluso di raggiungere il controllo che ho del francese...
A me sta accadendo la stessa cosa per lo studio del russo. Faccio molta più fatica di quella a suo tempo fatta per il francese o l'inglese. E mi dispiace, perché un amico docente di letteratura russa a Brescia mi ha magnificato la bellezza della lettura in lingua originale, per esempio, delle opere di Dostoevskij.
@agapetòs
“In fondo anche la matematica deve essere democratica, no? Per cui la verità di una proposizione o di una proprietà dipende dal fatto di essere condivisa o meno dalla maggioranza.”
Spero solo tu sia ironico.
C'è bisogno di specificarlo che era un commento ironico? Ahimé si, constato!
Un commento fuori tempo, ma ho recuperato il post come primo articolo del bestiario matematico per citarlo in un intervento su facebook :)
E' vero che c'è una predisposizione all'apprendimento che va sfruttata al massimo ma non è la stessa cosa della predisposizione ad apprender lingue che è ancora più innervata e andrebbe sfruttata ancor di più. Mi scuso per la precisazione di lana caprina ma mi piace ricordare che la predisposizione linguistica sembra seguire canali diversi da quella all'apprendimento che richiede un impegno maggiore.
ps: ecco il link se volesse intervenire: http://www.facebook.com/max.bruschi/posts/294258073928471?notif_t=like
Cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara
Egr.Prof Israel il mio intervento non ha pretese alcuna.Sto cercando di capire.Può essere che l'interpretazione singolare o "errore marchiano" della legge associativa si porti dietro il carattere della legge commutativa?Si suppone una libertà di legare gruppi di elementi in forza della legge di cui sopra.
Dunque associando gli addendi,come si voglia, il risultato non cambia.Spero di essere stato chiaro.
Cordiali saluti.Nicola
Marchiana e' la legge dissociativa non quella associativa
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