Il ministro degli esteri Frattini ha sostenuto che della pace e dei diritti umani si discute nelle sessioni politiche, non sui campi da gioco o nelle piscine. Non si capisce allora perché il boicottaggio nei confronti di Israele, che ne comporterà l’esclusione ai Giochi del Mediterraneo, debba essere risolto promuovendo un incontro pubblico ufficiale durante la cerimonia inaugurale in cui i presidenti dei Comitati olimpici israeliano e palestinesi si dichiarino pronti a partecipare ai prossimi giochi. Israele è uno stato riconosciuto dall’ONU e questo riconoscimento non è in alcun modo subordinato alla creazione di uno stato palestinese. Pertanto, Israele dovrebbe partecipare e basta, e il resto venire dopo.
D’altra parte, il ministro Frattini ha ragione a dire che impuntarsi non servirebbe a cambiare le idee degli stati che hanno votato contro la partecipazione di Israele. Ma anche il ritiro dalla conferenza di Ginevra sul razzismo (Durban II) non è detto che serva a convincere la Libia e gli stati che hanno redatto l’efferato proclama antisemita a cancellarlo. Eppure l’Italia si è ritirata da Durban II senza tanti complimenti.
Non trovo tuttavia che sia facile criticare il ministro Frattini e il governo italiano. Nessun paese si è comportato complessivamente meglio dell’Italia per quanto concerne la difesa dei diritti di Israele e contro i rischi del nuovo antisemitismo. E, d’altra parte, che mai si può pretendere di fronte agli indirizzi sconcertanti che sta prendendo l’amministrazione Obama? Cosa può fare l’Italia da sola di fronte a un così vistoso disarmo morale?
Si diceva del nuovo presidente americano che avrebbe portato un afflato morale, uno slancio umanistico verso la comprensione tra i popoli e verso la pace, che avrebbe indotto anche i più recalcitranti ad abbassare le armi e a imboccare la via della trattativa. E invece proprio su questo terreno Obama è stato una clamorosa e deludente sorpresa. Tanto era loquace nei discorsi di propaganda elettorale quanto si è rivelato modesto nei discorsi di politica estera da presidente, tutti improntati a prudenza, reticenza, a un linguaggio mediocre e privo di qualsiasi afflato. Ci si attendeva un’esplosione di pacifismo messianico – magari impotente, ma quanto meno suggestivo – e ci troviamo di fronte a piatti documenti di Realpolitik la cui unica preoccupazione sembra essere quella di adulare il nemico. Non importa che il Marocco abbia rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran per una «intollerabile ingerenza negli affari interni del regno». Obama si volta dall’altra parte e legittima la Repubblica Islamica dell’Iran dando chiaramente a intendere che a lui della democrazia non importa nulla: opprimano le minoranze, torturino, neghino la libertà di stampa, quel che conta è intendersi. Obama ha aperto la mano nei confronti dell’Iran senza chiedere nulla, neppure di smettere di parlare di distruzione di Israele, e ha ricevuto in cambio una sventola in faccia. Gli hanno risposto: vedremo, parleremo con voi se vi pentirete dei vostri errori, in primis il sostegno a Israele. E Obama lungi dal rispondere su questo punto ha teso di nuovo la mano per prendersi una sventola sull’altra guancia. La diplomazia americana rimette in circuito cariatidi della Realpolitik come Kissinger, Schulz, Baker, Brzezinski. Dice il columnist del New York Times Roger Cohen che la politica precedente ha portato a due guerre in tre anni e ha visto USA e Israele criticati in tutto il mondo. Ma l’epoca delle cariatidi ha visto l’ONU condannare il sionismo come una forma di razzismo ed è culminata con Durban I e con l’attentato alle Torri Gemelle. Il neocinismo “realistico” parla di dolorosa ridefinizione dei rapporti degli USA con Israele e di una società iraniana «vibrante, curiosa, giovane e ansiosa di aprirsi al mondo». Se mai la lasceranno aprirsi… Ma di questo chi se ne importa: Obama, conferma Cohen, ha «riconosciuto trent’anni dopo la rivoluzione khomeinista» e la retorica di Ahmadinejad è «odiosa e inaccettabile» ma non bisogna certo fermarsi su questi dettagli: «gli ayatollah non sono pazzi, sono pragmatici». Ne sa qualcosa chi ha avuto a che fare con Hamas e Hezbollah.
Di fronte a questo autentico disarmo morale che cosa può fare l’Italia da sola? E cosa farà un’Europa che già arde dal desiderio di liberarsi del problema di Israele? Farà quello che ha fatto ieri il Consiglio di Stato belga di fronte alla decisione di un comune di vietare uno spettacolo dell’umorista francese Dieudonné M’bala M’bala. Va ricordato che Dieudonné è quel signore che si esibisce soltanto in spettacoli antisemiti e che ha dichiarato che «le celebrazioni della Shoah sono pornografia della memoria». Ora Dieudonné si candida a parlamentare europeo “antisionista”. Certo, lui dice che l’antisionismo non è antisemitismo: peccato che abbia anche dichiarato che per cacciare la gangrena sionista dalla Francia occorre espellerne la CRIF, ovvero il Consiglio rappresentativo delle Istituzioni ebraiche di Francia… Ebbene, il Consiglio di Stato belga ha cassato la decisione di quel comune sentenziando sarcasticamente che esso «non ha per missione di vegliare preventivamente alla correttezza politica morale o penale degli spettacoli e ancor meno a quella, supposta, degli artisti che vi intervengono».
Qui non siamo più soltanto di fronte a fatti pur gravissimi come l’azione di gruppi militanti che, nei supermercati Carrefour delle banlieues parigine, invitano i clienti a non comperare prodotti provenienti da Israele. Siamo di fronte a fatti istituzionali. Domani potremo avere il primo parlamentare europeo eletto su un programma antisionista/antisemita. Bisognerebbe cominciare a preoccuparsi, e molto.
In fin dei conti, occorre ringraziare il governo italiano per resistere come può in uno sfacelo in cui sta venendo meno l’unico ostacolo alla definitiva deriva dell’Europa: una politica estera statunitense attenta al valore della difesa della democrazia, dei diritti dell’uomo, delle conquiste che speravamo divenissero un modello e che invece rischiamo di perdere.
(Il Foglio, 26 marzo 2009)
8 commenti:
Caro professore Israel, l' elezione di Barack Obama Obama a presidente degli Stati Uniti credo che sia un evento che vada visto al di sopra del personaggio. Mi sembra evidente che nessuno al mondo avrebbe potuto opporsi alla perentoria forza storica che designava Barack Obama primo presidente nero. Al suo mito ha contribuito non poco quell' aria da post office employee. Gli Americani sono stanchi di sognare retoriche new frontier e desiderano tirare i remi in barca. Per quanto influente possa essere la comunità ebraica, la politica americana è determinata, specialmente nei periodi di depressione, dall' ideale democratico caro a Frank Capra e impersonato dalla figura diritta di Gary Cooper - John Doe.
A me pare in definitiva che la politica della Casa Bianca sia una politica ispirata da saggia prudenza.. E speriamo di non tornare alle tensioni della guerra fredda, che oggi sarebbe veramente impossibile controllare.
Ho la sensazione che una linea di politica estera americana ancora non si sia precisata; che Obama non si sia mai occupato di politica estera, non conosca problemi e persone, e non sia al momento in grado di tracciare una strategia. E così - temo - i suoi collaboratori: sarebbe piuttosto grave e allarmante per l'Occidente (McCain, che in caso d'elezione preannunciava da subito una revisione imponente e ben mirata dei contributi americani all'estero, aveva di sicuro - giusta o sbagliata – una dura strategìa di partenza). Il fatto di rivolgere occhiate a Kissinger, Schulz, Baker, Brzezinski non mi dà entusiasmo. Nell'immediato però a generiche aperture non ha fatto seguito nei fatti alcuna smobilitazione.
Obama sta studiando; speriamo che ci sia il tempo e ci sia la capacità (ho da sempre il fastidioso sospetto che quando si pongono in primissimo piano i temi dell'ambiente si voglia stendere qualche velo e si voglia sfuggire al confronto con altro). La cautela c'è, e non è un aspetto negativo.
Al di là di certe repliche immediate e scontate, anche sugli opposti fronti mi pare si stia studiando per capire se e quali cambiamenti all'orizzonte, e con chi si avrà a che fare. Per adesso non mi sembra (le mie paure!) che si stia concludendo: “... questo è uno con la sindrome del latore di palingenesi... bene bene...”. Si sta attendendo qualche mossa tangibile, per valutazioni affidabili. Certo Obama sarà posto sotto cimento: principi e interessi, la cui convergenza o prima o poi si rivela con evidenza.
Sono convinto che siano le personalità sicure e concrete, salde nelle proprie convinzioni, e magari un po' allergiche all'incenso ed al culto della propria immagine (per quanto riguarda le vicende dello Stato di Israele mi tornano in mente Begin e Sadat) a poter sviluppare una politica solida e garantire accordi fruttuosi e durevoli.
L'America non può o non si sente di reggere l'equilibrio mondiale? una virata in senso filoamericano da parte dell'opinione pubblica potrà far bene e consentire maggior condivisione di responsabilità. Se gli happening mediatici servono, ben vengano.
Nel mondo d'oggi neanche l'Islanda può contentarsi di guardare solo in casa sua. Obama pretende forze armate americane formidabili. Per difendere le coste degli Stati Uniti soltanto o anche le prime linee? Finora noi Italiani, non situati in prima linea, tranquilli sotto ombrelli altrui, pur fra mille dissensi, il nostro circoscritto ruolo l'abbiamo saputo interpretare.
Lei, Vanni, ha il "fastidioso sospetto"? Io ne ho la certezza: le chiacchiere sull'ambiente sono come la vittoria di Bartali al Giro del 1948 nel contesto dell'attentato a Togliatti: fumo negli occhi. Non mi fidavo di Obama, e non per il colore della sua pelle: ci mancherebbe..., ma perché dietro di lui si situa la resa morale di un occidente sempre più in stato di collasso, economico, morale, di identità.
Chi ci dice che il "signor" osama bin laden non ne sappia qualcosa anche lui, della crisi economica? Ha sempre strombazzato che avrebbe colpito gli interessi americani: avrebbero fatto più danni tot attentati, o ha fatto più danni questa crisi? E sfruttando la miopia di managers capaci di guardare solo lo spessore dei loro portafogli, chi ci dice che... E mi fermo qui. Mi fermo qui perché non ho ovviamente prove, ma la sensazione che il suo quasi omonimo presidente USA sia poco attrezzato (alla malafede non ci voglio pensare) rimane.
Egregio Caroli, ebbene sì: in quel lungo commento, cerco di esorcizzare con un approccio mentale attendista i miei timori sulle capacità della persona.
Del colore della pelle mi importa proprio poco, contano le qualità personali. Vedo sicuramente la grande ambizione, che ci vuole, ma il timore è che una bella dose di unfitness (si dice così dopo la storica copertina dell'Economist su Berlusconi) sia mascherata dalla cura spasmodica dell'immagine. Temo che ci sia la piccolezza di chi crede di vedere oltre e non vede nulla. Temo che il fatto di aver attinto il successo facendo leva appunto su immagine e sul talento nel presentarsi e comunicare possa condurre a una sottovalutazione della brutale concretezza dei problemi sul tappeto e dell'esperienza e cinica abilità di controparti indifferenti al cosiddetto (o preteso) carisma. La stessa sensazione provo anche per collaboratori primari di Obama, come Hillary Clinton, peraltro accreditata di grande acribia professionale nell'affrontare ogni questione.
E' troppo ovvio pensare che internet & c. non possono bastare per una leadership? Tracciare una buona rotta e mantenerla è la sfida.
Jalta non è un posto per dilettanti.
Caro Vanni, il re è sempre più nudo. Se una leadership si deve affidare a minestre riscaldate, leggi Hillary Clinton, c'è poco da stare allegri. Questo pensavo di fronte alla gerontocrazia di fine Unione sovietica, Gorbacev a parte. Questo penso quando vedo l'età dei presidenti italiani. Questo penso quando vedo che per qualcuno un fatto di ottanta anni prima non ha insegnato nulla.
Il Presidente Obama nonostante abbia ben altro fascino e carisma ricorda sempre più, nella sua politica estera il peggior Presidente della storia recente(a mio modesto parere): Jimmy Carter.
Carter vinse le elezioni da outsider in un periodo di profonda crisi economica, con un programma incentrato sui diritti civili e su una politica estera basata sulla distensione.
Come conseguenze della sua politica estera, durante la sua presidenza, l'impero sovietico raggiunse il suo apogeo e in Iran ci fù la Rivoluzione Khomeinista.
Obama, mi sembra, persegua ben coscientemente la stessa politica estera.
Ai due amici Bertonelli e Pennoni ricordo che solo per un caso fortuito (da credente dico: per intervento dell'Onnipotente) l'impero sovietico non divenne causa scatenante, in quegli anni, della terza guerra mondiale, con le leadership di Andropov e Cernenko. Il disastro di Murmansk prima, con l'esplosione dell'intera base (ma si è saputo dopo), il disastro militare dell'Afghanistan, di cui peraltro paghiamo le conseguenze ancora oggi in termini di terrorismo ed altro, infine Cernobyl' hanno messo fuori combattimento quello che allora si chiamava "l'orso sovietico". Perché, se doveva essere Jimmy Carter ad assumere una posizione di contrasto deciso, ebbene riesce difficile pensarlo. E così oggi: che risposta ci aspettiamo da Obama all'esperimento missilistico nord coreano? E queste disgustose sviolinature al regime sanguinario del negazionista, e perciò criminale, Ahmedinejad? E l'appoggio esplicito alle associazioni abortiste, perciò criminali perché omicide? Non bastava l'ignobile alleanza, che gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto, con la vergogna dell'umanità, la monarchia wahabita (quindi fiancheggiatrice del terrorismo), assoluta e maschilista dell'Arabia Saudita?
Professore, scusi la lunghezza dell'intervento, che per me è abbastanza anomala, ma quando sta accadendo nel mondo è veramente troppo. Sarei scoppiato, se non lo dicevo...
Mi fa "piacere"(lo metto tra virgolette, perchè è una magra soddisfazione) non essere l'unico a vedere l'inefficacia e la pericolosità dell'azione di Obama.Perchè leggendo molti giornali vedendo la tv, parlando con le persone che s'incontrano ovunque, iniziavo a pensare di vedere la realtà capovolta, tali sono gli elogi incondizionati a Obama.
Anch'io sig Caroli sono credente ed aver visto come primo atto di Obama, l'appoggio a chi promuove l'aborto come mezzo di controllo delle nascite mi ha veramente spaventato(in quanto sintomatico di una precisa concezione)
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