È difficile trovare oggi qualcuno che si dichiari apertamente seguace delle teorie della pedagogista sovietica Aleksandra Kollontai e della sua pretesa di fabbricare l’uomo nuovo attraverso gli asili di stato in cui educare collettivisticamente i bambini sottratti alle famiglie. Persino nei più blandi kibbutzim la socializzazione dei bambini è ormai sparita e nelle mense si paga in denaro. Ma non ci si illuda, la gramigna rispunta dove meno te l’aspetti e, nell’era del postcomunismo, le teorie alla Kollontai possono riemergere sotto una forma libertaria e persino liberista che si presenta con una maschera candida e innocente. Il peggio è che c’è chi identifica perfettamente la gramigna a distanza e non vede quella che gli cresce sotto i piedi. Fuor di metafora, siamo tutti bravi a riconoscere e denunciare nello zapaterismo il collettivismo comunisteggiante di ritorno: educazione di stato per creare il cittadino nuovo – «educación para la ciudadanía» –, tutte le discipline scolastiche messe in funzione dell’educazione sociale – persino la matematica diventa «matematica del cittadino», ovvero la materia delle «decisioni sociali» –, l’etica e la morale si insegnano a scuola, niente più ruolo della famiglia, ridotta a una mera aggregazione di persone che decidono temporaneamente di vivere insieme. E siamo in tanti pronti ad applaudire quando gli spagnoli scendono in piazza in difesa della famiglia tradizionale bistrattata ed espropriata di tutto e contro uno statalismo che si ammanta di buonismo e di solidarismo.
Poi però troppi di coloro che vedono bene la gramigna lontana non si accorgono di averla nel proprio giardino e persino di coltivarla assorbendo, in totale assenza di senso critico, proprio quelle visioni che deplorano come distruttive. Penso ai corsi di “affettività”. Non mi importa se si riducano a corsi di sessualità o a corsi di affettività in senso ampio: i secondi sono peggiori dei primi. Perché, se nelle questioni sessuali esistono aspetti, diciamo, “tecnici” su cui si possono trasmettere informazioni oggettive, pretendere di insegnare l’affettività in senso ampio non è soltanto una cialtronata, ma è un classico esempio di espropriazione di una funzione fondamentale della famiglia per affidarla all’educazione collettiva. È una cialtronata perché mentre la fisica o la grammatica sono discipline dotate di principi o leggi oggettive e che possono essere insegnate sulla base di una conoscenza verificabile, l’affettività non è una “materia” basata su leggi, e non lo sarà mai. Un professore di affettività è un prevaricatore potenziale in quanto si sovrappone alla sensibilità altrui sulla base di una competenza inesistente e del tutto arbitraria. E soprattutto è “il” prevaricatore di stato della famiglia designato proprio a espropriarla del suo ruolo primario.
Ora veniamo a sapere che due deputate del Pdl, Giulia Cosenza e Flavia Perina, hanno depositato un progetto di legge per introdurre nella scuola l’“educazione emotivo-sentimentale”. Si parla addirittura di «insegnare le emozioni a scuola». Sarebbe interessante sapere come sarà strutturato il corso di laurea magistrale in educazione emotivo-sentimentale e chi avrà l’autorità – e sulla base di quali principi oggettivi – per selezionarne i laureati e garantire che gli insegnanti non interferiscano con l’educazione familiare e, in fin dei conti, non siano dei disturbati sul piano emotivo-sentimentale. Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ci permettiamo di suggerire caldamente alle parlamentari di ripensarci e di fare la saggia scelta di rinunciare al loro triste progetto. (Tempi, 11 novembre 2009)
34 commenti:
Grande fondo di Galli della Loggia domenica 8 novembre sul Corsera (http://www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_17044.pdf). Speriamo che la Gelmini lo legga. Ma qualcuno si illudeva di cancellare l'occupazione della cultura in così poco tempo? Gramsci era un genio, il suo piano è riuscito perfettamente.
Grande fondo, che condivido in toto e su cui tornerò domani con un articolo. Nessuno si poteva illudere di cancellare l'occupazione della cultura in così poco tempo. Ma se si affidano le commissioni ai Corradini c'è poco da fare e attribuire il merito di questo a Gramsci mi pare troppo: a dir poco è un "aiutino".
È paradossale che si voglia delegare alla scuola l'insegnamento di ogni cosa (affettività, sessualità, educazione stradale, educazione alla salute, e chi più ne ha più ne metta) proprio di questi tempi in cui tanto spesso essa fallisce miseramente in quello che dovrebbe essere il suo compito principale: insegnare la lingua italiana, la matematica, la storia e la geografia!
O forse ciò non è per niente paradossale ma del tutto logicamente conseguente.
Questo discorso intorno all'adozione di tale nuova disciplina spiega anche come ai piani alti di viale Trastevere, nonostante - a parere di chi scrive - diverse buone iniziative varate nell'ultimo anno e mezzo, permanga una certa confusione culturale sulla strada da battere per rinnovare la scuola italiana. Un eclettismo ancora troppo poco composto.
E' come se si scontrassero, anche per effetto della vischiosità della burocrazia ministeriale, due filosofie dell'educare: una - che si è espressa nei provvedimenti sul maestro unico, nello stesso impianto meritoriamente semplificatorio della riforma delle superiori,nello stesso lavoro della Commissione presieduta dal prof. Israel sull'accesso alla professione docente, nei provvedimenti relativi ad un nuovo rigore da conferire all'insegnamento, al profitto, in quelli volti a valorizzare il merito, etc - tesa a invertire la rotta perseguita negli ultimi vent'anni e che ha prodotto la riduzione della scuola a generica agenzia di socializzazione pervertendone la funzione formativa e culturale a vantaggio della proliferazione di linguaggi e prospettive pedagogistiche tronfie e al tempo stesso vacue e a vantaggio di una destrutturazione complessiva dell'enorme lascito che la nostra Tradizione spirituale ci ha consegnato, obbligandoci ad adattarlo alle esigenze culturali del Tempo Nuovo.
L'altra, rabbiosamente sulla difensiva, che, pur all'interno di un nuovo clima culturale, tende a difendere le casematte di un'idea funzionalistica e meramente tecnica della Formazione, puntellando l'abisso di senso in cui la cultura piomberebbe in questa prospettiva con un'iniezione di moralismo buonistico, affidato al ruolo dello Stato, dispensatore di Virtù e Bene.
Quest'altra filosofia si esprimerebbe, a parere di chi scrive, nel disegno di legge Aprea sulla nuova governance delle scuole, sull'enfasi esterofila e provincialotta a proposito del delicatissimo tema della valutazione, declinato secondo dubbie filosofia meramente quantitative, e sulla perdurante malattia del "progettismo" inconcludente, ancora troppo presente nelle scuole.
Quale di questi due approcci alla scuola la spunterà?
E' difficile prevederlo perchè i guasti, in questi trent'anni di dilapidazione culturale del nostro patrimonio educativo, sono stati massicci e le scorie si sono accumulate in modo trasversale ai raggruppamenti politici e alle culture che hanno ispirato le politiche scolastiche.
Il sottoscritto pensa che se la scuola, in questi tempi di difficile transizione da paradigmi pedagogici troppo disinvoltamente liquidati ad altri ancora informi e pretenziosi, recuperasse un po' della sua originaria funzione di agenzia di proposta culturale e con essa di significati e di senso e la piantasse di considerare se stessa come luogo di un intrattenimento coatto o di improbabile e velleitaria autoformazione, farebbe cosa buona e giusta.
Ma questo dipende anche dalla possibilità che gli insegnanti si risveglino da un troppo lungo "sonno dogmatico".
Penso semplicemente che è proprio il caso di scendere di nuovo in trincea.
Io invece penso che nonostante la cifra "429 ore" suoni imponente non mi preoccuperei tanto, una materia da solo un'ora la settimana farà la fine delle altre, ora di religione compresa: i ragazzi non la prenderanno sul serio (oltre a essere poco seria di suo), sarà un'ora buttata nel cestino.
Sul fatto poi che il nostro Ministro dell'Istruzione si faccia ancora guidare dall'"oligarchia accademico-ministeriale" non mi meraviglia affatto: finchè si tratta di grembiuli, 5 in condotta o "spendi 1 invece di 3"(maestri) se la cava, per il resto...
Andrò controcorrente, ma a parte il contenuto che andrebbe precisato, non mi dispiacerebbe, da un punto di vista socioculturale,ma soprattutto simbolico, introdurre un'ora di affettività nella scuola.
Preciso: sono nella maniera più assoluta contrario ad ogni idea di Stato etico che è la cosa per me in antitesi in modo radicale ad uno Stato liberale.
In che senso allora sono favorevole?
La nostra scuola è lo spazio della noia, della mancanza di emozioni, in cui troppo spesso gli alunni sono "costretti" a supplire a questo vuoto con continui atteggiamenti goliardici, spesso feroci e a volte violenti.
E' vero che alcuni sono indolenti, altri aggressivi, altri ancora superficiali e fannulloni, però quanta responsabilità hanno in tutto questo insegnanti dal comportamento raggelante, formale, impotente, stitico, se non proprio sadico(che paradossalmente sconfina in vari casi, per la legge dell'inconscio, in masochistico)?
Introdurre l'ora dei sentimenti, dell'affettività, più che far bene isolatamente agli alunni, farebbe bene agli insegnanti, ricordando loro quanto sono manchevoli in questo nel rapporto con i loro allievi.
Ricorderebbe loro che un buon insegnante più che essere un candidato al premio Nobel è un "trasmettitore" di passione per la conoscenza, colui che deve saper accendere le fiaccole d'intelligenza e di emozione interne ad ogni allievo.
Lo so, l'aspetto tecnico della disciplina non c'entra nulla con questo, un buon insegnante dovrebbe farlo a prescindere, però si sa quanto sia importante a volte il carattere simbolico di qualcosa.
Tra registri, ore di colloqui, correzioni a casa dei compiti, valutazioni in decimali, lotte tra colleghi a chi deve primeggiare, vessazioni burocratiche, l'ora di affettività ricorderebbe a tutti che c'è qualcosa d'altro che andrebbe considerato e che quasi sempre viene messo da parte, se non proprio irriso.
Per una volta sono d'accordo con Nautilus, sulla scarsa serietà della faccenda. Non sarei così ottimista, quanto al cestino: concordo con il Professore sulla "trincea" (del resto, cosa ci si può aspettare da un intollerante come me...).
E chi insegnerà l'ora di affettività, su quali programmi, da chi decisi, e con che competenza e con che diritto a dire cosa va bene e cosa va male?
Magari per avere a che fare con qualche ideologo cialtrone che insegna che la mamma non deve dare il bacetto al bambino all'ingresso a scuola?
Ma, per favore....
Dice bene: è l'insegnante che deve saper essere un maestro e trasmettendo la passione per la conoscenza dare un senso alla scuola. D'accordo, la vita è dura. Ma che cosa si vuole? Rinunciare a questo carico, che poi è il più importante e interessante di tutti - quello che da senso alla professione - per fare il burocrate facilitatore delegando la gestione dell'affettività a uno "specialista"?
Ho l'impressione che ci stanno lavando il cervello.
Più che di deresponsabilizzazione, io nel mio precedente intervento parlavo di responsabilizzazione.
L'idea che ci sia l'ora di affettività, per contagio e partecipazione, mi piacerebbe che "costringesse" tutti gli altri insegnanti a rendersi più capaci di un rapporto caldo con i loro allievi.
Comprendo le obiezioni, mi rendo conto che ogni cosa potrebbe essere interpretata e realizzata nel modo peggiore, però qualcosa, qualcosa bisogna pur fare per smuovere le ingessature all'interno della scuola.
Non lo intenderei come un facilitatore" in senso superficiale e deresponsabilizzante, ma come un "miglioratore".
Per esempio, usare un metodo negativo più che positivo, vale a dire individuare gli impedimenti che ostacolano l'espressione positiva delle emozioni.
La cosa divertente del fondo, peraltro ampiamente condivisibile, di Della Loggia è il patetico tentativo di tener fuori l'innocente Gelmini (non lo ha scritto lei, il documento!). Perché nessuno ricorda che, a parte i pochi annetti dello spelacchiato Ulivo, la sinistra non è MAI stata al governo in questo paese? Ammetto comunque che a Berlinguer sono bastati pochi anni per fare grossi danni...
Caro prof., mi consente un post-scriptum fuori tema per Claudio? Nel nostro bel paese "de sinistra" e buonista, Gramsci si è fatto 10 anni di carcere. Davvero bene è riuscito il suo "piano".
E' proprio perchè la proposta appare evidentemente poco seria che, come insegnante, sono seriamente preoccupato: avete idea di quante cose palesemente poco serie e perfino insensate sono entrate nelle scuole e nelle università in questi anni? Vi risparmio l'elenco ma il "progettificio" si regge proprio su queste "neo-discipline" inventate in due minuti e prive di qualunque statuto epistemologico, a cui si aggiungono corsi di formazione per docenti che vanno dalla "danza creativa" alla grafologia.
Tuttavia, si può dire di no e credo che in questo consista la trincea di cui si parla: non partecipare alla corsa al progetto, rifiutare le formazioni che non riguardano la metodologia e la didattica disciplinare.
Saluti, Vincenzo Manganaro
Egregio Nautilus, dire che una materia di un'ora sola non deve preoccupare mi dà un senso di smobilitazione. A maggior ragione se lei è un insegnante, cosa che ora però non ricordo. Credo di aver compreso il senso delle sue parole, ma spero egualmente che lei non la pensi semplicemente così: meglio la trincea.
Quale fonte migliore del libro del Salterio, in cui si realizza quel dialogo tra Dio e gli uomini per maturare un atteggiamento di sensibilità e di interiorità di cui si sente oggi spesso la mancanza? Scegliere il bene oppure cedere al male? Il salmo 35 presenta proprio questi due profili antitetici e i quattro vocaboli ebraici hésed, grazia, emunàh, fedeltà,sedaqàh, giustizia e mishpàt,giudizio, che celebrano i lineamenti del Dio amore,avvolgono e riscaldano come un manto l'orante. Nel salmo 116 c'è la consapevolezza che il bene fiorisce in tanti terreni e ciò mi fa pensare ad un "ecumenismo" della preghiera che stringe in un unico abbraccio popoli diversi per origine storia e cultura, nella linea della grande visione di Isaia,che descrive alla fine dei giornil'affluire di tutte le genti verso il monte del tempio del Signore.
Il miglior regalo che possiamo fare agli altri è quello di essere integralmente noi stessi, e difendere il diritto alla fede che non sia diritto all'imposizione. mi riallaccio ai post precedenti per dire che non credo che l'ora di religione cattolica sia lesiva e costrittiva della libertà dei genitori di educare i figli alla propria.
Penso che la "gramigna", come lei chiama in modo veramente appropriato certi indirizzi pedagogici di moda, sia destinata a invadere tutti i prati verdi del Bel Paese. Il senso critico, statisticamente, non riesce più a fronteggiarla; ormai sta infestando i giardini - metaforici, ovviamente - delle università. Ai tempi miei (cinquanta - sessanta anni fa - il senso critico si respirava nell' aria della Scuola, Il sentimento e l' affettività si coltivava in famiglia.
Caro Sergio, condivido tutto quel che lei auspica: l’”affettività” ai ragazzi dovrebbero darla TUTTI gli insegnanti. Quelli migliori, quelli con cui ho reso di più, sono stati quelli che “mi hanno voluto bene”, che erano interessati a me e me lo sapevano comunicare, perfino con la (giusta) severità. Ma allora di lezioni di affettività avrebbero bisogno gli insegnanti, come lei dice, non i ragazzi, che l’affetto e le emozioni se l’aspettano già.
Massi, personalmente (proprio negli anni ’60) ho avuto affetto e sentimento per molti insegnanti e mi sembra che qualche studente l’abbia verso di me, a me pare che ciò aiuti il processo educativo, e non poco.
Ciao Vanni! A me quell’ora preoccupa abbastanza ma solo in quanto la considero un’ ora buttata via, non ci vedo i risvolti negativi indicati da Israel e GDL, non perchè non ci siano (in teoria penso che abbiano ragione) ma in pratica ritengo che scivolerà sulla pelle dei ragazzi senza danni e benefici, sarà la classica ora di relax o in cui si studia un’altra materia. Le materie d’un ora son così...
impianto "meritocramente semplificatorio" nella "riforma" delle superiori? Ma per piacere. La mia esperienza attuale: Liceo Sociopsicopedagogico, classi prime con 28-29-30 alunni (tagliando classi si aumenta sempre più il numero), il potenziamento della Matematica nel novello "liceo delle scienze umane" consiste nel passare da 4-4-3-3-3 ore settimanali nelle cinque classi a 3-3-2-2-2 nel nuovo ordinamento. Applausi.
Gentile feyman,
credo che Lei ce l'abbia con me, che nel mio commento ho definito la riforma "meritoriamente semplificatoria".
Confermo. A me l'impianto della riforma appare complessivamente giusto, nonostante le lamentazioni di questa o quella corporazione disciplinare e nonostante alcune approssimazioni.
Ma anche qua, occorrerebbe procedere empiricamente alla verifica di questa o quella insufficienza e procedere a criticarla per migliorare i curricula.
Giudizi liquidatori sommari mi sembrano ispirati alla tutela di altre esigenze piuttosto che alla verifica della congruenza didattica dei quadri orario.
O piuttosto Lei pensa che la quantità faccia, sic et simpliciter, la qualità?
Perchè se per caso Lei pensa ciò, posso dirle che io insegno in uno Sperimentale dove i ragazzi sono costretti a sopportare un carico orario assolutamente poco ragionevole e i risultati, mi creda, sono deludenti.
Stanno molto tempo a scuola, per la gioia di alcune classi di concorso, ma il profilo generale della loro preparazione è a dir poco poco positivo.
Non è il caso, pertanto, di riflettere sul fatto che in passato spesso i quadri orario e le sperimentazioni sono state varate per consentire l'allocazione del personale di alcune classi di concorso in esubero?
Esigenze comprensibili, mi creda, ma che con la didattica hanno poco o punto a che fare.
Dimenticavo: per l'ora di sessualità, che c'è di meglio del Cantico dei cantici?
la mia classe di concorso è tutto tranne che in esubero. Non è una questione corporativa, è una questione di buon senso. Portare matematica a 3 ore settimanali i primi due anni e a 2 ore settimanali il triennio è una follia. Per non parlare delle classi prime e seconde con 28-29-30 alunni. Per non parlare delle supplenze interne che non vengono più effettuate perchè le scuole non hanno i fondi per pagarle.
Spesso si dimentica che se la scuola è luogo deputato alla conoscenza per prima cosa bisognerebbe insegnare agli insegnanti a conoscere i propri allievi.
Diceva Thomas Mann che a lui fregava poco di sapere delle stelle lontane, reputando cosa migliore conoscere gli uomini.
Mi pare invece che gli insegnanti pensino più alle stelle lontane che ai loro allievi.
Perché non si chiedono perché essi sono così indifferenti alle loro gelide lezioni?
Perché ogni volta che esce fuori un insegnante "diverso" viene portato in trionfo dai suoi allievi e ricordato da loro per tutta la vita?
Perché se si fa la classica domanda ad ognuno"quanti insegnanti ricordi con entusiasmo" si risponde sempre con due, tre dita di una mano (se va bene)?
Tutte le riforme di questo mondo, anche le migliori, si infrangeranno sempre contro il muro di ghiaccio delle raggelanti e burocratizzate emozioni degli insegnanti.
La scuola è conoscenza, ma, viva Dio, dovrebbe essere innanzi tutto autoconoscenza.
Senta feyman ma Lei così li approccia problemi complessi?
Considerando l'universale dal punto di vista del suo particolare e giudicando l'impianto della Riforma dal fatto che nei Licei delle Scienze Umane la matematica al biennio passa da 4 a 3 ore?
E accatastando cose che fra di loro non c'entrano proprio nulla?
Allora per le stesse ragioni i suoi colleghi di matematica al Liceo Scientifico dovrebbero fare salti di gioia perche la matematica lì aumenta di ore?
E per le stesse ragioni io che insegno Filosofia dovrei in parte lamentarmi perchè allo Scientifico vedo ridotto il mio monte ore?
Ma che discorsi sono questi!
Continui pure, ma su questa strada io non la seguo. Mi sembra che le grida manzoniane e gli allarmi demagogici, qui servano poco.
In tutto questo la cosa più preoccupante è che l'uomo ontologico si sta assottigliando paurosamente.
La scuola porta solo il riflesso emblematico della riduzione disumanizzante e della frantumazione alienante di quell'uomo-maestro che con la sua stessa persona, per il tramite della cultura, comunica un'etica dentro un'estetica, un buono che coincide con il bello.
Tutto il mondo oggi divide rovinosamente l'etica dall'estetica:
- trasforma la prima in una serie di precetti buonisti e moralisti (che nel sistema dell'istruzione si traducono nelle varie "educazioni"),
- corrompe la seconda sostituendo la bellezza dell'arte e della scienza con il luccichio vano dell'apparenza (cosa che nella scuola si concretizza nella corsa ai progetti e nella compilazione di registri eccelsi e fumosi).
Solo l'ontologia, solo "un uomo che è" può ricongiungere i due momenti. Ma per questo occorrerebbe un miracolo dentro e fuori la scuola.
Diatriba feynman-gelubra:
mi permetto d'intervenire perchè tocca argomenti su cui secondo me vale davvero la pena di "andare in trincea", ben più che l'ora di affettività (per me un colpo di coda ideologico senza conseguenze pratiche)
1) Nel mio liceo ci son già 2 classi di 31 studenti. Qui siamo sul Carso.
2)Sostenevo prima che la materia da un'ora settimanale è come non esistesse, quelle di due fanno enorme fatica a trasmettere qualcosa, solo materie dal programma essenziale possono essere trattate in così poco tempo: ridurre la matematica in queste condizioni non mi sembra cosa buona, l'"infarinatura" è peggio di tutto.
I ragazzi sono molti, il tempo è poco, le cose importanti pure sono tante: tollerare lo spreco – o quanto è peggio dello spreco – è un peccato.
Diamole a Gelubra, diamole a Feynman, queste orette orfanelle, piuttosto che sbatterle via. E' banale?
Prof. Israel,
simili proposte irresponsabili risultano come una grave offesa nello stato di penuria in cui ci si trova. Penuria di che? Mancanza di tempo. La riduzione del monte ore (per la cattedra di Lettere, nella scuola media, nove ore invece di undici) che, vista dall'alto di un ministero, può sembrare poca cosa, è in realtà, per chi nell'insegnamento è impegnato, un ulteriore ostacolo.
Tutta questa retorica dell'educazione all'affettività, non più stramba di quella alla sessualità, è veramente insopportabile. A incidere, in modo equilibrato, sull'affettività degli alunni ci si arriva (se ci si arriva) soltanto trasversalmente, non certo con un' apposita disciplina. E quel che incide non è l'affettività dell'insegnante, ma la sua autorevolezza. C'è un modo per formarla dove manchi? Non so. So che questo è il problema principe della scuola, lo vedo quotidianamente riflesso nei suoi aspetti più semplici, immediati. Vedo che, dove ci sono colleghi autorevoli, l'educazione funziona, e dove non ci sono è un disastro.
Gli alunni che hanno squilibri affettivi non hanno bisogno di essere educati all'affettività (se ce li hanno, non c'è “disciplina” che risolva), né di insegnanti “affettuosi”: hanno bisogno, implicito e molte volte esplicitato dagli alunni stessi, di modelli di riferimento possibili solo nell'autorevolezza.
Non c'è bisogno di insegnare “volendo bene” agli alunni, basterebbe volere il loro bene, senza retorica e senza smancerie. Spesso, poi, retorica e smancerie coincidono.
Non ci si crederà, ma capita sempre più spesso, nella scuola, che insegnanti autorevoli vengano colpevolizzati, per questo, da colleghi incapaci. E' lo strumento che serve loro, nei consigli di classe, per delegittimare gli alunni che, privi di riferimenti autorevoli, se ne infischiano del ruolo astratto che quelli vorrebbero fosse rispettato. Ma il re è nudo.
Beh, caro Junco, dice molte cose giuste, ma è possibile "volere il bene" di qualcuno senza volergli bene? Non mi pare che questi due sentimenti possano essere separati, a meno di confondere il "voler bene" con manifestazioni esteriori: moine, smancerie.
L'autorevolezza è certo la principale qualità di un insegnante, già sufficiente di per sè, come dice lei, a far funzionare l'educazione, mentre se manca tutto il resto è inutile. Però far sentire agli studenti che non si è solo bravi nella propria materia e nell'insegnarla ma che si è anche interessati a loro , uno per uno, secondo me migliora il risultato educativo e costituisce per loro un buon esempio.
Insomma, mi pare che autorevolezza e affettività possano convivere e non siano una il contrario dell'altra come parrebbe dalle sue osservazioni finali, che ammetto però di non aver capito bene.
Credo che si stiano delineando due scuole di pensiero diverse sull'insegnamento che grosso modo possono incarnarsi nella persona di Junco, da una parte, e Nautilus e il sottoscritto dall'altra.
Junco appartiene a quel filone che potremmo chiamare dei nostalgici della forma, e sia detto senza ironia o sarcasmo e nemmeno disprezzo.
I nostalgici rimpiangono la scuola dell'autorità, del merito, la scuola del lei al professore, del tutti in piedi.
In una parola, la scuola della forma.
Per loro, giustamente, la forma è sostanza ed è anche oggettività.
Se si tiene ferma la barra, di per sé l'insegnante è determinante nell'allievo, riesce a incidere in lui "oggettivamente", con la sola forza e potenza dell'azione formale.
Io non discuto che ci sia sostanza in questo ragionamento, che il formalista abbia più di una ragione a rivendicare, in un mondo spappolato, dissacrato, confuso, caotico,ipocrita,moralistico,demagogico,privo di spina dorsale, un fare formale.
Prendo però spunto dal massimo filosofo della forma del Novecento, Ernst Cassirer, e sulla sua affermazione che la cultura è più che una conoscenza etorodiretta autiliberante.
Il processo dell'insegnamento è comune tra chi sa e trasmette conoscenza e chi non sa e riceve conoscenza.
In quel processo sia l'insegnante che l'allievo si autoliberano.
Ma questo richiede non un atteggiamento estraniante ma coniugante.
Più che da elementi esteriori come il lei, il tutti in piedi, eccetera, il processo formativo, la forma auspicata è tutta lì, in quel processo che unisce entrambi.
Ed esso è distrutto da istanze punitive, rigide, raggelanti, io sono io tu sei tu, da super-io burocratizzato.
Più eros e meno thanatos.
Prof. Israel,
dovrei puntualizzare qualcosa, sperando di non abusare della sua ospitalità.
Nautilus,
la contrapposizione tra “voler bene” e “volere il bene” era quasi un gioco di parole volto a indicare la differenza tra un atteggiamento di tipo sentimentale e uno etico. Credo sia ovvio che il fatto di “voler bene” agli alunni non sia di per sé garanzia di nulla. Ma che volere il loro bene sia quanto meno un buon punto di partenza. Perché questo significa avere interesse per il loro destino, prendersi cura, trasmettere, educare, etc.. Se, poi, la domanda che poneva lei era di altro ordine, nel senso che intendeva chiedersi se sia possibile volere il bene di qualcuno senza avere una buona disposizione d'animo, beh, credo che questo sia un problema reale, e che un insegnante anaffettivo, frustrato sino al patologico, si ritrovi ad avere seri problemi di comunicazione e quindi sia un pessimo insegnante (almeno, a scuola). Ma, vede, siamo pieni di professoresse, nella scuola media, che fanno le mamme (male) e chiamano gli alunni “cucciolotti”, quando sono in stato di grazia, per poi evocarli, in momenti di disgrazia, come furie scatenate, “animali”. Fanno ridere gli alunni con queste esternazioni (di affettività). E' indecoroso.
Alla fine del mio precedente commento (un po' criptica, è vero) intendevo dire che capita sempre più spesso che insegnanti autorevoli vengano colpevolizzati. Sono stanco di sentire, da vent'anni, nei Consigli, colleghi che si lamentano in continuazione del comportamento degli alunni. Sostengono che gli alunni si “devono” comportare bene con tutti, anche con gli insegnanti che non hanno autorevolezza. Altrimenti, non sono educati. Quindi, la colpa della loro ineducazione ricadrebbe su quegli insegnanti autorevoli che non educano gli alunni a comportarsi bene con tutti. Si capisce l'infamia?
Sergio Rizzitiello,
lei è offensivo: pretendo di non essere etichettato, in nessun modo, da chiunque. La qualifica di formalista, poi, è paradossale e ridicola. Lasci stare Cassirer. Lei non ha capito niente di quel che ho detto. L'autorevolezza non c'entra nulla con la forma. Al contrario, è una questione che va all'essenziale. Tutto il suo discorso è equivoco. Lei monologa, non dialoga.
Si può voler bene e proprio per questo volere il bene dell'alunno.
Perché scindere i due momenti che sono complementari?
Io ai miei alunni voglio bene e per questo mi prodigo affinché abbiano didatticamente tutto il bene possibile dall'insegnamento.
Quando realizzo questo sento che loro si sentono più liberi e anch'io mi sento più libero.
P.S.Mi scuso se le mie parole l'hanno offesa, Junco.
Sergio Rizzitiello,
accetto le sue scuse, perché, se le porge, ha offeso senza volerlo. Ritengo sia sempre opportuno non etichettare mai nessuno (soprattutto, poi, quando non si conoscono le persone) e confrontarsi invece sui concetti.
Che lei voglia bene ai suoi alunni, non può che darle merito. Ma capisca anche che la sua affettività non può essere oggetto né di una “formazione” professionale (per gli insegnanti), né di un sapere trasmissibile (agli alunni). Conosco bene il disagio causato da taluni insegnanti-arpie (o, all'opposto, da quelli iper-confidenziali), ma lì non c'è niente da fare, se non una verifica del loro livello di “correttezza” relazionale. E anche questo tipo di verifica, di controllo, a scuola non arriva mai. Burocrazia, quella sì, a lavare (come si dice al mio paese).
Egregio junco,
l'affermazione che lei mi fa, vale a dire che la mia affettività non può essere oggetto né di formazione per gli insegnanti, né di sapere trasmissibile agli alunni, mi dà la possibilità di uscire dal rischio di una trattazione a due, tra me e lei, e allargare il discorso, se al professor Israel non reca fastidio, a riflessioni più generali.
Non già la mia affettività è in questione, ma l'affettività, o meglio, la capacità di affettività dell'insegnante verso i suoi alunni.
Questo può benissimo essere oggetto di valutazione nella formazione degli insegnanti.
Ci sono ormai conoscenze psicopedagogiche tali che si può individuare in modo direi scientifico chi sia capace di affettività e chi incapace.
La scuola non ha bisogno di nominati per un premio Nobel, anche se non è certo cosa sgradita, ma di persone in grado di stabilire un rapporto "caldo" con i loro alunni.
Platone diceva che il sapere non è trasmissibile, ma reputava compito fondamentale del maestro di saper accendere le fiaccole interne ad ogni allievo.
Tale capacità è la condicio sine qua non per iniziare l'avventura della conoscenza.
Senza di essa si ha solo una Ferrari senza benzina, un topolino senza montagna oppure una montagna che non sa partorire nemmeno un topolino.
"Educazione emotivo-sentimentale?" Chiedo come docenti una coppia di grizzly. Così, per analogia, ognuno cerca i suoi simili...
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