In occasione della Giornata della Memoria 2012 Valentina Pisanty pubblica "Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah" (Bruno Mondadori) in cui identifica gli abusi di memoria nei meccanismi della negazione, banalizzazione e sacralizzazione della Shoah. Pisanty accenna ai limiti della Giornata, spesso intrisa di «retorica celebrativa, consolatoria e autoindulgente» e di «derive banalizzanti e sacralizzanti», dovute all'aver legato la Shoah alla categoria (soggettiva) della memoria anziché a quella (tendenzialmente intersoggettiva) della storia. Banalizzazione e sacralizzazione sono facce della stessa medaglia: la prima spoglia la Shoah «dei suoi attributi specifici per equipararla ad altri eventi che hanno insanguinato la storia del XX secolo»; la seconda la proietta in «una dimensione metafisica e ultrastorica».
È una tesi che condivido. La enunciò per primo Alain Finkielkraut trenta anni fa, sostenendo che l'idea dell'unicità del "genocidio" ebraico avrebbe creato un corteo di "aspiranti" miranti a ottenere il "privilegio" dello stato di vittima suprema. L'ho sviluppata criticando la tesi dell'unicità della Shoah, vista come evento metafisico e astorico, nel libro "La questione ebraica oggi" e in tanti articoli. Ho sostenuto che è legittimo istituire confronti storici tra la Shoah ed eventi comparabili come il Gulag sovietico. Tutto ciò mi è costato (anche di recente) critiche veementi da parte dei "sacralizzatori".
È quindi con divertita sorpresa che vedo arrivare l'attacco opposto: Pisanty mi presenta come "sacralizzatore", per un articolo pubblicato sul Giornale (15 febbraio 2011) in cui criticavo episodi di banalizzazione: l'uso dello slogan "Se non ora quando" (titolo di un celebre libro di Primo Levi) da parte dei "partigiani antiberlusconiani"; il corteo degli insegnanti che sfilarono con la stella gialla contro la riforma Gelmini.
Il meccanismo critico "semiologico" di Pisanty è interessante. Si scarta in nota il fatto che esistano miei scritti in cui critico la sacralizzazione: conta solo l'articolo sul Giornale. E si fa un'operazione di ricostruzione degli «spazi vuoti di cui il testo è intessuto» per sostenere che «non è di banalizzazione che si sta discutendo ma di una colpa di lesa sacralità della memoria». La mia tesi sarebbe che il «nocciolo dell'identità ebraica è lo scontro eroico con un nemico immensamente più potente». Che tale tesi non mi appartenga affatto non conta: essa c'è, «sia pure in forma implicita e "tecnicizzata"» (?) negli «spazi vuoti» e usa «gli stessi meccanismi sacralizzanti che l'autore altrove respinge». Una serie di ardite acrobazie sugli spazi vuoti mi attribuisce pure la sacralizzazione di «resistenza e sionismo assieme alla Shoah»… Inoltre, conferirei solo ai sostenitori dell'attuale politica israeliana il diritto di usare lo slogan di Levi. Si conclude con la reboante condanna: «interpretazione insostenibile se non francamente scandalosa».
Viene da ridere leggendo che, per attribuirmi queste tesi, «gli impliciti da riempire per dare un senso coerente al testo si moltiplicano», che «le inferenze necessarie sono al di sotto della consapevolezza critica» e la mia sacralizzazione non è forse «neppure intenzionale»: in sostanza sarei un deficiente che non sa neppure scrivere. Ma è più che altro malinconico che l'autrice non si renda conto che il meccanismo messo in atto – ignorare il pensiero altrui nel suo complesso, appuntarsi su un singolo testo sbriciolandolo, "riempiendolo" del senso voluto, anche contro l'evidenza – appartiene alla metodologia inquisitoria di tutti i tempi. Rivestirla dei panni della semiotica è un pessimo servizio reso alla disciplina che fa la figura di un esercizio formale e strumentale su un testo, in barba a tutto ciò che insegna l'analisi interpretativa. O piuttosto è un pessimo servizio reso alla propria immagine di studioso.
Il senso del mio articolo – che lo rende del tutto coerente con la critica della banalizzazione e sacralizzazione come facce della stessa medaglia – sta proprio nell'aver criticato la pretesa di stabilire ogni sorta di comparazione. Chi ha un minimo di senso storico può comparare la Shoah con «altri eventi che hanno insanguinato la storia del XX secolo», come il Gulag, ma non includere tra questi la riforma Gelmini e il governo Berlusconi. Più che la storia ne va di mezzo il buon senso. Pisanty, invece di leggere questa tesi ne ha costruita una ad hoc. Cosa l'ha spinta a una simile figuraccia? Viene da chiedersi: se qualche categoria sgradita, un po' "reazionaria" – che so io, i tassinari – fosse scesa in piazza con la stella di David e avessi scritto lo stesso articolo contro questa banalizzazione (di certo l'avrei fatto), Pisanty mi avrebbe criticato allo stesso modo? Sospetto che mi avrebbe addirittura lodato. Ma qui mi fermo, perché non intendo scendere sullo stesso terreno di un metodo che riempie gli spazi vuoti con una mediocre psicanalisi. Preferisco il metodo dell'analisi storica, il riferimento all'integrità del pensiero altrui, il diritto di chiunque a criticare chiunque (inclusi i governi di Israele); incluso quello di criticare come indecenza banalizzante/sacralizzante l'omologazione dei "partigiani" e degli insegnanti antiberlusconiani alle vittime di Auschwitz, senza l'assurdo di vedersi ritorta l'accusa che si sta muovendo. Di certo, attorno alla Giornata della Memoria la confusione cresce, il che, con i tempi che corrono, è assai preoccupante.
(Il Giornale, 27 gennaio 2012)
7 commenti:
Quando mi capita di proporre qualcuno dei suoi migliori articoli ad amici e conoscenti tocco con mano questo tipo di mentalità "inquisitoria". Nonostante si tratti di temi "forti" e "profondi" che dovrebbero spingere a tuffarsi nei contenuti con lo scopo di trovare argomenti da condividere o confutare, ci si gira intorno, in cerca di indizi. "Israel"? Ha collaborato con la "destra"? (addirittura con il "mostro" Gelmini!). Un matematico che si interessa alla religione? Quello che difende il diritto dello stato di Israele ad esistere (cioé é un "sionista")? Quello che vole dimostrare la radice comune del totalitarismo nazista e comunista?
Beh, questi temi toccano granitici pregiudizi e impediscono di ragionare.
Lei lo ha capito bene e reagisce con stoica calma e misura.
Credo che la parte "amica" del suo uditorio "amico" può essere composta solo da menti "aperte". Una piccola minoranza
Carissimo Prof. Israel, come sta? Spero bene. Non mi faccio vivo moltissimo, ma confesso che non ho resistito questa volta. In senso buono, ovviamente. Ottima replica ad una critica che fatico a comprendere: avevo pure io storto il naso (eufemisticamente) quando lessi il titolo di quella manifestazione "Se non ora, quando", pensando che Primo Levi si sarebbe rivoltato nella tomba. E' incredibile come alcuni pensatori "corretti" indichino agli altri come interpretare gli scritti di viventi, persino a chi li ha redatti: a me, il Suo intervento su "Il Giornale" pareva piuttosto chiaro, mica una poesia ermetica. Ma è qui il punto: "Il Giornale" e la difesa implicita (molto implicita, a onor del vero...) di Berlusconi. Questo è lo stigma, ho l'impressione.
Cordiali saluti a Lei e a tutti,
c.
Buongiorno, un caro saluto e grazie. In verità, la difesa di Berlusconi non c'era neppure implicita. C'era soltanto lo sdegno per aver equiparato i "partigiani antiberlusconiani" ai partigiani raccontati da Primo Levi. E quanto al Giornale, ebbene fino a che mi fa scrivere quel che voglio ci scrivo, visto che quando ho attaccato il deputato Pdl Ciarrapico per le sue frasi antisemite mi ha pubblicato con tutto rilievo. Scrivo dove mi si da spazio. Per esempio, sul Messaggero e sul Foglio. Al Messaggero, che certo non è berlusconiano hanno capito che sono indipendente. Altri fanno finta di non capirlo. Per far comodo a costoro dovrei tacere?
Carissimo Prof. Israel, grazie per la risposta, e spero tutto bene. Vede, in effetti, nemmeno io ho ravvisato una difesa di Berlusconi. Ma credo, e ho la sensazione che anche Lei al pensi così, siamo giunti al punto in cui non attaccare Berlusconi diventi automaticamente un sostegno. Sullo sdegno, non è stato l'unico, per fortuna. Ma ormai sono sempre più convinto che il 27 di Gennaio sia l'occasione in cui ci si tolga di dosso per un momento i panni di chi disprezza gli ebrei vivi (nell'accezione degli israeliani) piangendo ipocritamente quelli morti. Lo scrivo con rispetto nei confronti dei morti, sia chiaro. È davvero scoraggiante, come scoraggiante è stato leggere un articolo sul "turismo di Auschwitz". Confesso che visitai Dachau molti anni fa, e confesso anche che all'epoca la visita non mi impressionò molto (avevo tredici anni). Ma almeno non ebbi la sensazione di un "turismo della Shoah". Confesso scoramento sulla questione Shoah ultimamente.
Cari saluti a tutti quanti,
c.
Ho trovato il suo articolo sul Giornale semplicemente esemplare. Cosa del resto scontata per l’autore, nel 2000, di un minuscolo ma esauriente saggio sulla Questione ebraica, analizzata in ogni suo aspetto.
Gentile Prof. Israel,
una decina di giorni fa le ho scritto che forse la mia scuola avrebbe gradito averla come ospite per parlare, seriamente, di Shoah. Mi sono dovuta fermare, in parte per la sua comprensibile riserva sulla distanza, in parte perché un privatissimo sondaggio ha subito fatto emergere i soliti distinguo (quello che fanno gli israeliani ai palestinesi...). Non che non me lo aspettassi, ma la persona che ho intervistato è buona, dolce e benintenzionata, si figuri le altre. Un giorno forse riuscirò a invitarla, ma questa gliel'ho voluta risparmiare.
Pur amando, come lei, don Chisciotte sono un po' stanca di nuotare sempre controcorrente. Non che abbia intenzione di invertire la rotta, ma, eccetto che in questo blog e in poche altre situazioni (fra le quali, con tutta la prudenza e tutta l'onestà di cui sono capace, le lezioni a scuola), resto in silenzio, perchè ho la sensazione che con i portatori di una certa mentalità si parlino lingue diverse.
P.S Si immagini che io ritengo che Israele, forse talvolta azzardando un po', stia difendendo noi tutti e provo grande soddisfazione quando il Mossad fa saltare in aria qualche sito nucleare iraniano. Guerrafondaia? Neanche un po', semmai terrorizzata dall'idea di una guerra.
Che dire? Viviamo in un clima di pensiero unico in cui chi non si adegua al "mainstream" viene considerato come un "provocatore". Confesso che ogni tanto (e oggi in particolare) sono alquanto stanco...
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