sabato 14 gennaio 2012

IL "CAPITALE UMANO" CHE I TEST IGNORANO


Il presidente del Consiglio Monti invita a metter mano al miglioramento del capitale umano italiano, poiché il paese è in coda per il numero di diplomati, dopo l'Estonia, la Polonia, il Cile e la Slovenia. Occorre chiedersi se questi parametri misurino un'effettiva inferiorità formativa. Pensando alla tradizione dell'Italia sul piano culturale, scientifico, tecnico e artistico, a quel che si "respira" nel paese, se non altro per la presenza della massima concentrazione di beni culturali del mondo, pensando alle straordinarie capacità creative in tanti campi, c'è da dubitarne, per quanto evidente sia la crisi del sistema dell'istruzione. Un corretto procedere scientifico imporrebbe piuttosto di spiegare il paradosso: quando un risultato statistico è in stridente contrasto con l'evidenza occorre verificare se non si è capito qualcosa o se è l'analisi che non funziona. Tanto più se il paradosso investe altri paesi: incredibilmente l'Estonia è al vertice mondiale, la Francia fa una cattiva figura (sotto la media Ocse), la Spagna è al disastro, Israele è battuto dalla Slovenia.
Viviamo nella mitologia dei numeri. Gli ingegneri francesi, primi a introdurre la statistica nelle scienze sociali e nel management, ammonivano che con i numeri si dimostra tutto e il contrario di tutto. Questa saggezza si è persa e siamo all'opposto della tesi del grande matematico Poincaré, secondo cui la misurazione delle qualità "morali" è lo scandalo della scienza: si crede ciecamente a qualsiasi tabella. Occorrerebbe invece chiedersi cosa vi sia dietro quei titoli di studio messi a confronto, e magari inconfrontabili: persino i numeri possono essere incommensurabili tra loro, figuriamoci i contenuti della formazione.
Un esempio per tutti. La Finlandia è comunemente indicata come un modello dell'istruzione, prima nelle classifiche Ocse. È indubbio che le immagini delle scuole finlandesi, linde e lucenti rispetto alle aule decrepite delle nostre scuole, rafforzano tale convinzione. Ma andando a fondo si scopre che non è oro quel che luccica e che molte voci in quel paese denunciano il grave declino della formazione matematica compromessa da un piatto pragmatismo. Come ha scritto uno dei massimi matematici finlandesi, «in Finlandia sappiamo che non avremmo avuto alcun successo nelle classifiche Ocse-Pisa se i test avessero riguardato la comprensione dei concetti o delle relazioni matematiche». Non è difficile dimostrare che uno studente italiano, malgrado tutto, ha una preparazione matematica superiore e assai più profonda di quella di uno studente finlandese, sebbene figuri molto più in basso nelle statistiche internazionali. Questo chi conosce la scuola lo capisce bene. Gli "esperti" fanno orecchie da mercante e si attengono ai dati numerici come se fossero le tavole del Sinai. Prima di dire che il "capitale umano" estone è superiore a quello italiano occorrerebbe esaminare a fondo il livello di alfabetizzazione, di formazione letteraria, matematica e scientifica sulla base dei contenuti della formazione, invece di giustapporre dati il cui confronto può essere privo di senso.
Il vero problema è l'obbiettivo verso cui si mira. Se – com'è usuale – si considera la formazione culturale una perdita di tempo, se si ritiene che la scuola debba soltanto formare forza-lavoro per le aziende, se si crede che la scienza non serva alla tecnologia e che tutto ciò che è "umanistico" è chiacchiera inutile, allora l'Italia è malmessa. Se pensiamo – tornando all'esempio finlandese – che non serva sapere cos'è una frazione e che la matematica debba essere ridotta a un insieme di ricette di calcolo, allora siamo malmessi. Ma una simile visione è sbagliata e miope. Se Steve Jobs fosse stato soltanto un abile tecnico informatico non avrebbe conseguito tanti successi. Per salvare l'industria musicale non bastava la tecnica mp3 o l'invenzione dell'iPod: ci voleva un'idea rivoluzionaria della diffusione e gestione dell'informazione che è frutto di una visione culturale. Jobs stesso ha ricordato il ruolo che ebbe per lui lo studio della calligrafia, la scoperta di Leon Battista Alberti e del Rinascimento italiano e quanto questi riferimenti culturali l'abbiano ispirato. È lungimirante considerare questi "nostri" riferimenti culturali e lo studio della storia dell'arte l'ingombro che ci preclude il progresso?
Quindi, a seconda del criterio interpretativo, l'Italia è un fanalino di coda, oppure un paese che, malgrado i suoi guai, precipita più lentamente di altri nel declino dell'Europa. Perché questo è il nodo. Come non vedere il drammatico declino culturale e dei sistemi dell'istruzione del continente? Non si tratta di riproporre la critica per aver costruito l'Europa sull'economia. Si poteva ben iniziare dalla moneta, con la ferma consapevolezza però che il primo compito era por mano a un processo di integrazione culturale e della formazione reso difficile dall'esistenza di tante lingue e culture diverse. L'obbiettivo – come diceva una decina di anni or sono un intellettuale francese – doveva essere la formazione di giovani dotati della conoscenza di non meno di tre delle lingue principali del continente e della capacità di assimilarne le culture portanti, di amarle come la propria. Invece non abbiamo visto che il simbolo del fallimento era tra le nostre mani: in quelle carte-moneta per le quali non si era trovato il consenso necessario a stamparvi le grandi figure della civiltà europea, e neppure i monumenti principali, bensì solo forme stilizzate. Era un fallimento provocato dal politicamente corretto che ha respinto il fatto ovvio che non tutte le culture e le lingue europee hanno lo stesso peso. Ma se non è stato possibile battere in breccia queste diffidenze e queste chiusure, su che basi costruire l'amore per la civiltà e la cultura dell'altro?
 Ci si è invece rifugiati nel minimo comun denominatore, rappresentato dalle famose otto "competenze chiave" di Lisbona volte al ristretto scopo di facilitare lo scambio di forza-lavoro. È un elenco di abilità minime in termini di comunicazione linguistica, di capacità di calcolo e tecnologica, "competenze" sociali, civiche, imprenditoriali, digitali. È una miscela di formalismo e di economicismo che prefigura sistemi dell'istruzione in cui non c'è più posto per le culture del continente. Di che stupirsi se progetti che dovevano essere il motore della conoscenza culturale reciproca, come Erasmus, si sono ridotti a viaggi-vacanze in cui neppure ci si sforza di apprendere la lingua dell'altro e che offrono ai docenti di ogni paese il mezzo gaudio di un mal comune? Di che stupirsi se le chiusure nazionalistiche sono più forti di prima?
Questi sono i veri problemi del continente, così strettamente connessi alla crisi economica che lo mette in affanno. Per il resto, sarebbe meglio evitare di trarre conclusioni affrettate da statistiche che rischiano di farci inseguire lustrini illusori i quali potrebbero indicare soltanto la via per un declino più veloce.
(Il Messagero, 9 gennaio 2012)

11 commenti:

Mauri ha detto...

Provo a fare una sintesi dell’articolo:
1. Monti sbaglia perché si fida di dati inattendibili.
2. L’OCSE sbaglia perché misura i sistemi formativi con parametri errati.
3. Gli studenti italiani hanno una preparazione matematica migliore degli studenti finlandesi.
4. L’Unione Europea ha indicato 8 competenze chiave inadeguate
5. Sempre l’UE finanzia, tramite l’Erasmus, le vacanze degli studenti facendo credere che si tratti di un progetto educativo.
Queste sono le critiche. La proposta per “risolvere i veri problemi del continente” è una: insegnare a scuola tre lingue straniere così da fare innamorare gli studenti delle culture d’oltralpe.
Come riassunto sarà scarno ma purtroppo questo è quello che leggo.

Pat Z ha detto...

E' da molto tempo che ho dei seri dubbi sull'attendibilità di queste cosiddette statistiche sull'istruzione che ci mettono regolarmente all'ultimo posto dietro la Colombia e il Perù. Lungi da me negare i gravi problemi della scuola italiana (peraltro in gran parte creati da quelle stesse "teorie" pedagogiche che hanno la pretesa di migliorarla e la presunzione, poi, di saperla valutare): ma non credo proprio che i nostri studenti, per lo meno nelle scuole in cui si lavora ancora seriamente, siano così inferiori ai loro coetanei stranieri. Insegno al Liceo Classico e, pur conoscendo bene l'estrema superficialità con cui ci si deve confrontare ogni giorno, mi sento di dire con convinzione che, al termine del loro percorso di studi, i ragazzi che si diplomano hanno un bagaglio culturale ancora mediamente rispettabile per i vecchi standard e addirittura pregevole per gli standard internazionali contemporanei. Ogni volta che mandiamo all'estero dei nostri alunni a fare delle esperienze di scambio con i loro "colleghi", anche quelli che da noi avevano sei arrivano primi: ovvero, si distinguono sempre per preparazione e capacità di ragionare, per conoscenza della letteratura, della storia e della filosofia. Siamo l'unica nazione dove si studia ancora il greco antico alle superiori, dove si studia il latino come si deve, secondo percorsi sensati e ben ponderati. Io faccio tradurre la Politica di Aristotele nei compiti in classe e non sono certo l'unica. Ci è capitato che colleghi europei restassero sbalorditi dall'assistere alle nostre lezioni di filosofia. Mi è capitato di constatare che studenti stranieri che dicevano di studiare il latino avevano timore anche a leggerlo,(non parliamo poi del tradurlo): del resto lo studiavano solo per un anno e solo se lo avevano liberamente inserito nel curricolo personale.
Forse la serietà che noi siamo ancora in grado di garantire dipende, paradossalmente, oltre che da una certa impronta tradizionalista, dal forte immobilismo e dalla riluttanza al cambiamento che caratterizza da sempre le strutture della nostra scuola, dalla sua atavica lentezza nell'aprirsi alle novità. Ben venga la riluttanza al cambiamento, in certi casi... Ad ogni modo, non credo proprio che dovremmo soffrire di tanti complessi d'inferiorità nei confronti dei danesi, finlandesi, belgi ecc. Personalmente non uso molto la Lim e mi sporco ancora le mani col gesso quando spiego; le nostre classi spesso saranno piccole, senz'aria condizionata e perfino senza tende. I nostri pc talora sono giurassici. Però è ancora tutto da dimostrare che un buon apprendimento passi necessariamente per l'acquisto di un certo numero di computer e per le chiacchiere di qualche corso d'aggiornamento all'ultima moda. Le tecnologie sono contenitori che possono essere certamente utilissimi, ma la scuola si fa con i contenuti: quindi sarebbe bene che ci concentrassimo soprattutto sul come coltivare i cervelli dei ragazzi, piuttosto che preoccuparci solo degli elettrodomestici da studio da metter loro a disposizione perché si connettano a Facebook da scuola.

Teo ha detto...

Inutile dire che, fidandosi dell'attendibilità di queste statistiche, si finirà, come al solito, per copiare gli altri paesi proprio sulle cose discutibili ed inefficaci. Tra queste c'è la proposta, ventilata dal sottosegretario Mario Rossi Doria (ma sembra sia avallata anche dallo stesso ministro Francesco Profumo), di ridurre di un anno l'iter formativo scolastico, portandolo a 12 anni, contro i 13 attuali, in analogia con gli altri paesi europei. Ma è un'illusione pensare, come taluni ritengono, che 12 anni potrebbero essere di migliore qualità dei 13 attuali, se la scuola venisse riformata più in profondità. Gli slogan sulla migliore utilizzazione delle risorse e il bla bla sulla scuola dell'autonomia ripetuto come un mantra dalla responsabile scuola del PD Francesca Puglisi (che non mi risulta abbia pubblicato cose fondamentali sulla scuola e che probabilmente è arrivata a quel posto per una carriera tutta interna al partito) lasciano il tempo che trovano. Quasi quasi rimpiango il sottosegretario Giuseppe Pizza: rispetto a Rossi Doria, la sua assoluta incompetenza in materia di scuola era tale che non osava neppure pronunciare frasi ad effetto o formulare proposte avventate, lasciando saggiamente operare i burocrati ministeriali (anche se a un certo punto, andato in pensione il Capo dipartimento Giuseppe Cosentino, il Ministero è rimasto in pratica acefalo, con la sola Gelmini a rispondere dei provvedimenti decisivi, cosicché riforme come quella del TFA non sono andate in porto). Comunque, non vedo perché in nome di un'astratta omologazione con il resto d'Europa (anche in Germania, da dove scrivo, di recente la durata del liceo è stata diminuita di un anno, non senza polemiche) la scuola italiana debba rinunciare alle sue peculiarità positive, tra cui, oltre la durata quinquennale del liceo, ci sono l'esistenza di un insegnamento triennale della storia della filosofia nel 40% delle nostre scuole e l'esistenza del liceo classico con latino e greco obbligatori per cinque anni. Che poi si continui a ripetere in modo meccanico e frusto lo slogan che uscendo un anno prima i giovani italiani saranno avvantaggiati nel cercare un lavoro, penso sia un pregiudizio che non valga neppure la pena di confutare. O meglio, lo si può confutare citando una peculiarità francese, che ci guardiamo bene dall'imitare (imitiamo le cose negative, non quelle positive): in Francia il liceo termina con il cosiddetto bac a 18 anni, ma gli studenti migliori che vogliono tentare l'ammissione alle Grandes Écoles (l'École Normale, l'École Polytechnique, ecc.) devono frequentare ancora ben due anni di liceo nelle cosiddette Classes préparatoires alle Grandes Écoles: questi studenti quindi finiscono in pratica il liceo a 20 anni, ma nessuno in Francia si sogna di rinunciare a questo sistema in nome dell'omologazione con altri paesi!

vela ha detto...

Mi sorge un dubbio. Ma non è che qualche potere forte ha tutto l'interesse a formare una gioventù che non pensa che esegue che non si pone problematiche, che nonriflette? Stiamo scimmiottando sistemi importati come se fossero vincenti, almeno questo ci fanno credere, vogliamo educare i ragazzi con questi sistemi per renderli competitivi senza chiderci se questo li aiuterà a pretendere d'essere ascoltati per le loro idee, magari innovative. Sembra quasi che abbiamo un complesso di inferiorità verso i nostri partners europei. Non potevamo essere noi ad esportare un metodo?

Nautilus ha detto...

Gentile Pat Z, lei mi offre l'occasione per rispondere indirettamente al prof. Israel riguardo al mio dissenso con lui su alcune cause del declino della nostra scuola, oltre a quelle su cui concordiamo. Scrivevo infatti che di "teorie costruttiviste" (bestia nera del Prof.) nel mio liceo non v'è traccia, colleghi interrogati non san nemmeno cosa siano. Lei ne esplicita come meglio non si può le ragioni dipendenti: "dal forte immobilismo e dalla riluttanza al cambiamento che caratterizza da sempre le strutture della nostra scuola, dalla sua atavica lentezza nell'aprirsi alle novità."
Probabilmente nella scuola primaria, dove invece pare si sia più ricettivi verso le novità pedagogiche (oppure si hanno meno difese contro di esse), è lì che farebbero danni.
Il suo post comunque non fa che confermare la mia impressione: alle superiori ne siamo ancora immuni...e, sarò troppo ottimista, penso che l'immunità durerà.

Gentile Vela,
ero piccino quando questa teoria del complotto per rincretinire le giovani generazioni e farne degli acritici consumatori ed esecutori andava per la maggiore, e magari ci avrò pure creduto, chissà.
Da un bel po' sospetto invece che la spiegazione stia in un connubio fra il rasoio di Occam e le teorie del Cipolla:
"Non cercare in occhiuti ma complicati complotti quello che si può facilmente spiegare con la stupidità"

Giorgio Israel ha detto...

Guardi Nautilus che io sono d'accordo con lei. Le scuole elementari sono totalmente devastate, e lo posso dire anche per l'esperienza personale che sto vivendo dei miei figli. Le scuole medie lo sono a metà, diciamo in corso di distruzione, oltre ai problemi che già hanno. I licei resistono per ora, e spero che lei abbia ragione. Per dire quanto questo sia vero - e quindi però che la spinta alla demolizione "costruttivista" della scuola sia un'intenzione dichiarata e praticata, mi riferisco a quanto mi sono sentito dire da un altissimo dirigente Miur. "Abbiamo sistemato le scuole primarie e stiamo procedendo per le medie. Adesso occorre metter mano ai licei che sono ancora rimasti ai tempi di Gentile». Mi è venuto un brivido nella schiena.... Se metter mano è nel senso realizzato nelle primarie, è chiaro di cosa si tratta, e stiamo freschi. Per il momento, con la crisi, ci sono altre gatte da pelare.

vela ha detto...

Tutti stupidi? Possibile?
Mah........
Allora propenderei per la mia seconda ipotesi. Abbiamo troppi conplessi di inferiorità che per quanto il metodo italiano, tutto sommato, sia meglio di altri paesi, continuamo ad esportare.
C'è in effetti di che essere terrorizzati pensando a cosa potrebbero fare nei licei.
Ma forse proprio per il fatto che esistono diverse tipologie di scuola superiore e che le prerogative di un liceo sono diverse da un istituto tecnico, forse sarà difficile cancellare totalmente quanto di buono c'è stato nei programmi italiani. Un dramma è sicuramente la valutazione mediante test, e il conseguente adeguamento dei docenti a questo metodo di verifica, dimeticando il colloquio, il tema......l'approfondimento. Speriamo bene.

Papik.f ha detto...

Elenco tre fatti che suppongo un dirigente del Miur debba conoscere perfettamente:
1. La riforma Gentile del 1923 era basata sulla completa autonomia didattica degli insegnanti rispetto al percorso da seguire al fine del conseguimento di quelli che oggi chiameremmo "obiettivi" del loro insegnamento. Infatti Gentile non previde neppure programmi didattici (nè, tantomeno, prescrizioni metodologiche) ma solo programmi d'esame (anche se capita spesso di sentire pseudo-esperti parlare di "programmi di Gentile"). Tale quadro fu sconvolto già nel 1936 dal ministro De Vecchi che stabilì i programmi d'insegnamento per diretta volontà del Duce (e basta leggersi i libri di De Felice per sapere che Mussolini considerava la riforma Gentile come un errore).
A questo seguirono numerose revisioni dei programmi, prima tra tutte, nel 1945, quella della Sottocommissione alleata presieduta da Carleton Washburne, amico e sodale di John Dewey, cioè del principale sostenitore dell'attivismo pedagogico che fu così importato d'autorità nella scuola italiana.
2. Nell'impostazione gentiliana era fondamentale la verifica, sia dell'attività degli studenti sia, indirettamente, di quella dei loro docenti, ottenuta attraverso gli esami di stato; questi erano durissimi, vertevano su tutto il programma del triennio e su tutte le materie, ed erano svolti da commissioni esclusivamente esterne che comportavano una rotazione dei docenti estesa, in linea di principio, all'intero territorio nazionale. Tutto ciò potrà essere valutato positivamente o meno; ma sembra difficile sostenere che ne resti in piedi qualcosa.
3. Altro aspetto fondamentale della concezione gentiliana era l'obbligo del possesso di una determinata licenza secondaria per accedere all'università; e solo i diplomati del Liceo classico potevano accedere a tutte le facoltà (mio padre, che avrebbe desiderato laurearsi in Giurisprudenza, dovette accontentarsi di Scienze Politiche perché nel paese di provincia dov'era da ragazzo c'era solo l'Istituto tecnico e lui, poi, da privatista, riuscì solo a prendere la maturità scientifica, ma quella classica era fuori portata). Anche questa concezione può essere variamente giudicata, ma ciò che è certo è che la legge Codignola del 1969 la ha cancellata, aprendo l'accesso a tutte le facoltà da parte di tutti i diplomati.
Poiché, ripeto, non voglio credere che si possa diventare dirigenti del Miur ignorando queste ovvietà, chiaramente l'affermazione per la quale i licei sarebbero "ancora rimasti ai tempi di Gentile" ha un valore esclusivamente ideologico, ma riesce veramente difficile individuare quale possa essere. Forse riferito all'atteggiamento dei docenti e dei presidi o al loro rapporto con gli studenti? allora mi permetterei di consigliare a quel dirigente di stabilire un qualche contatto con la realtà effettuale della scuola.

Giorgio Israel ha detto...

Perfetta sintesi. È un atteggiamento ideologico. Siccome i licei sono quel che più resta vicino a un insegnamento umanistico, con un peso dato alla filosofia, al latino, persino al greco, l'idea è che questo residuo "gentiliano" vada smantellato del tutto a favore dell'approccio costruttivista. Del resto, "gentiliano" è soltanto una sigla per marchiare d'infamia tutto quel che non piace a questi signori. Una sigla di cui fa uso il persistente ministro ombra, Berlinguer (cfr. l'articolo qui che avevo dedicato al suo anatema: "i professori gentiliani vanno cacciati via senza pietà!!").

Nautilus ha detto...

Cara Vela no, non "tutti stupidi", il potere della stupidità umana è impersonale, a un certo punto si condensa e si manifesta, traccia una strada e anche molte persone intelligenti la percorrono, irresistibilmente. Guardi la questione dei test su cui anche lei concorda: forse che i loro sostenitori son "tutti stupidi"? Anni fa a prima vista anch'io che li avverso ne fui colpito favorevolmente. Utilizzati adeguatamente e limitatamente sono anche un ottimo strumento didattico, secondo me. Farli diventare l'alfa e l'omega della valutazione e quindi della preparazione, lì può trovarsi l'origine di disastri, ma a quel che so negli USA se ne sono accorti a disastro compiuto. "Tutti stupidi" in America? Io non credo, ma quando un'idea sbagliata prende forza, magari per valutazioni semplicistiche o interessate, è difficile invertire la rotta.
A proposito di rotte sbagliate abbiamo sotto gli occhi un esempio incredibile, il naufragio della "Concordia", tutti i giornali parlano di "stupidità": capace perfino di affondare una nave da centomila tonnellate...mai sottovalutarla.

A favore della cultura umanistica...se il comandante Schettino avesse letto "Lord Jim" di Conrad molto probabilmente avrebbe evitato il gravissimo errore di andarsene dalla nave lasciandosi dietro i passeggeri, la vicenda narrata così simile alla sua sarebbe stata più efficace di qualsiasi regolamento.

EffePartenopeo ha detto...

"Abbiamo sistemato le scuole primarie e stiamo procedendo per le medie. Adesso occorre metter mano ai licei che sono ancora rimasti ai tempi di Gentile»
Aggiorno l'affermazione. Hanno "sistemato" anche le medie. Basta qualche indizio in tema di valutazione: innalzamento del voto per partecipazioni ad attività extra-curriculari (spettacoli, balletti, gare e garette di ogni tipo etc), ammissione alla classe successiva a maggioranza, con eventuali voti inferiori al 6 che in pagella diventano dei 6 indistinguibili da quelli reali, intimidazione da parte dei dirigenti (con gli spaventosi poteri conferiti loro dalla riforma Brunetta) a quei docenti che evidenzino situazioni di carenze nei propri alunni, voto di licenza media determinato per 1/5 dagli scellerati quiz invalsi.
Ciò che fa più rabbia è il silenzio e l'indifferenza di molti insegnanti.