«L’economia
è un sistema sociale creato dalle persone per le persone». Qualsiasi opinione
si abbia del pensiero del Nobel per l’economia statunitense Paul Krugman, è
difficile non sottoscrivere questo aforisma. Eppure per molti l’economia è un
mondo di transazioni tra “agenti” regolato da procedure formali che si sono
create da sole e il cui fine è sé stesse, cioè di ottimizzare alcuni parametri:
un fine che definisce anche il comportamento “razionale” degli “agenti”.
Parlare di “persone” quando si tratta di economia è quasi un vezzo ridicolo e
desueto. Si parla piuttosto di “capitale umano”. Si proclama che questa è la
società della conoscenza, ma intendendo che le conoscenze e le competenze del capitale umano sono un
“valore aggiunto”, per giunta misurabile (anche se nessuno ha un’idea seria di
come si possa fare). Anche il miglioramento dell’istruzione è ridotto a un
parametro quantitativo: creare altro valore aggiunto.
Questo
linguaggio burocratico è divenuto così stucchevole che ogni “persona” che non
si consideri solo un’utilità marginale, dovrebbe offendersi nel sentirsi
definire “capitale umano”.
Quanto
precede non è una chiacchiera passatista ma è pertinente alla nostra situazione:
elezioni da cui dipendono le sorti del paese nel mezzo di una crisi senza
precedenti e in cui latita un linguaggio rivolto alle persone per dir loro
quale idea di società, quali progetti positivi si vogliono perseguire, tali da
suscitare il coraggio di affrontare sacrifici, inquadrando la soddisfazione dei
parametri economici come sottoprodotto di questi progetti e non come loro
essenza.
È
poco concreto dir questo? L’autentica astrattezza è credere che un paese possa
riprendersi mentre i suoi cittadini vegetano depressi e senza prospettive,
affidati passivamente alle cure di chi ne sa. Si parla molto di “ripresa” e
“sviluppo”, ma quale sviluppo economico può darsi se la società non è animata
in profondità da forze vitali, se non crede in sé stessa, se non si muove verso
fini positivi, verso sfide da vincere per un futuro migliore? Come avrebbe
potuto riprendersi e realizzare il “miracolo economico” un’Italia devastata
dalla seconda guerra mondiale e immersa nella cultura contadina, senza
l’esplosione della voglia di fare, della creatività che caratterizzò quegli
anni? Nessun piano Marshall sarebbe bastato.
Si
parla continuamente di futuro, ma il futuro sono i giovani ai quali, invece di
offrire progetti capaci di suscitare interesse e anche entusiasmo, si riservano
epiteti come “bamboccioni”, “sfigati” o “choosy”, come se questi difetti non
fossero quelli della società vuota di valori in cui li abbiamo messi. Prendiamo
il caso dell’istruzione, di cui molti non vogliono parlare perché è un tema
“noioso”. Le agende elettorali, nello scarso spazio che gli concedono, sono
desolanti fotocopie su cui domina il mantra di un vacuo managerialismo. “I
numeri da cambiare”, è intitolato uno dei più corposi documenti prodotti in
materia. Quale curioso ossimoro declinare la “società della conoscenza” in
termini di numeri! Qui, altro che numeri, si tratta di definire i contenuti di un’istruzione capace di
formare una generazione che faccia restare il paese sulla scena mondiale.
Allora si capisce che la vera questione è che ruolo pensare per il futuro del
paese. Forse non vi è molto futuro in una competizione con i paesi asiatici nel
produrre magliette e sarebbe meglio puntare su una cultura tecnologica avanzata
che permetta di avere un ruolo nella riorganizzazione dell’ambiente, delle
comunicazioni, dell’energia nei paesi emergenti. Ma, se così è, l’istruzione va
pensata nei termini di qualificazioni elevate e la ricerca va pensata in
grande, non riducendo le università a centri studio per la piccola e media
impresa. Invece, siamo impantanati tra ricette tecnocratiche numerologiche, o
che surrogano l’assenza di idee con le agende digitali, e la demagogia delle
scuole come “centri civici”.
La
“spending review” nella sanità e nell’istruzione ha indicato dove conduca
l’assenza di progetti: a penalizzare indistintamente centri di eccellenza e
realtà mediocri, perché i criteri puramente statistici sono ciechi e astratti.
La sanità è un altro dei grandi temi del paese che non ha senso affrontare in
termini di “razionalizzazione” e “tagli” senza una chiara idea preliminare di
quale tipo di sanità vogliamo. È inaccettabile che si gabelli come scelta
tecnica una modificazione della natura della sanità, introducendo
surrettiziamente forme di privatizzazione senza che ciò discenda da una
decisione di merito. Il che significa affrontare di petto l’idea del welfare
che vogliamo avere nel futuro. E non si dica che di questa tematica si discute,
perché le riflessioni in materia troppo spesso si concentrano nei due poli
dell’ideologia e della tecnocrazia.
Più
in generale, non si dovrebbe considerare che l’idea del paese futuro non può
prescindere dal fatto che le principali risorse che l’Italia possiede sono i
beni culturali e ambientali? Non sarebbe quindi prioritario, per stimolare lo
“sviluppo”, formulare tanti grandi e piccoli progetti che mobilitino le persone
suscitando la passione di fare qualcosa autenticamente interessante? Né è
possibile dimenticare che una delle qualità caratteristiche del lavoro italiano
da difendere e sviluppare è la capacità di produrre cose “belle” e artistiche,
il che riconduce ancora al tema della cultura.
Non
continuiamo con gli esempi perché al lettore ne verranno in mente tanti da
poter riempire pagine. Forse non è troppo tardi perché in questa campagna elettorale
le forze politiche riescano a suscitare l’interesse dei cittadini parlando di
progetti autentici e di contenuti, anziché propinare ideologia o snocciolare
cifre previsionali che, com’è noto, non hanno alcuna credibilità, soprattutto
se presentate come una sorta di andamento “naturale” del processo economico. In
fin dei conti, vi è bisogno non di meno ma di più politica, beninteso della
politica nel senso nobile del termine.
(Il Messaggero, 30 gennaio 2013)
17 commenti:
Vorrei fare un commento sul passo seguente:
Come avrebbe potuto riprendersi e realizzare il “miracolo economico” un’Italia devastata dalla seconda guerra mondiale e immersa nella cultura contadina, senza l’esplosione della voglia di fare, della creatività che caratterizzò quegli anni? Nessun piano Marshall sarebbe bastato.
Sembra di leggere un "nonostante (fosse)" prima di "immersa nella cultura contadina".
Io credo che il fatto di essere "immersa nella cultura contadina" non sia stato un contrappeso alla "esplosione della voglia di fare e della creatività che caratterizzò quegli anni", come del resto non lo è stato all'indomani del'unificazione del Paese, che in pochi anni ha conquistato una posizione di primo piano in diversi campi scientifici (in matematica, ad esempio).
Infatti, io credo (e qui mi azzardo ad enunciare una tesi generale) che proprio la presenza di un forte senso identitario, dato cioè da una cultura relativamente autonoma, possa contribuire a stimolare il movimento del pensiero, meglio ancora se in presenza di altre culture relativamente autonome. Mi spiego.
La cultura contadina era una cultura organica di sostanziale autosufficienza, che assicurava una base solida, perché arricchiva di valori che avevano retto per secoli a molte dure prove, e dava un forte senso identitario. Essa viveva insieme e in contatto con altre culture: la cultura "alta" delle élites borghesi che governavano il paese, e la cultura della piccola borghesia, degli artigiani e degli impiegati. Tra queste culture c'era un rapporto che evidentemente giovava a tutti (nonostante il ruolo subalterno della prima in ambito economico: chi non parlava italiano era emarginato ecc.). In una situazione del genere il nostro Paese ha dato al mondo tanti capolavori dell'arte, della letteratura, del pensiero scientifico.
Ora viviamo in una "monocoltura" (dove i modelli sono importati e imposti, piuttosto che ricreati e rigenerati autonomamente sulla base di un forte senso identitario e dello scambio con altre culture) e non abbiamo
più neanche il coraggio e la dignità di usare la nostra lingua nazionale, e ci sentiamo obbligati, noi che abbiamo dato al mondo Machiavelli e una delle migliori gastronomie del mondo, a usare termini come "endorsement" e "food cost"…
Vorrei anche fare un commento sul passo seguente:
"È inaccettabile che si gabelli come scelta tecnica una modificazione della natura della sanità, introducendo surrettiziamente forme di privatizzazione senza che ciò discenda da una decisione di merito."
Concordo pienamente. E mi stupisco dell'appoggio che almeno parte della Chiesa ha dato al governo Monti, che su questo tema ha operato con particolare solerzia, portando nei nostri ospedali a una situazione che rasenta, quando non realizza, una specie di eutanasia di stato. Mi dicono che la Chiesa stia facendo "macchina indietro". Mi auguro che vada indietro fino in fondo.
"formulare tanti grandi e piccoli progetti che mobilitino le persone suscitando la passione di fare qualcosa autenticamente interessante"
Ma coi soldi di chi, degli operai cinesi e degli agricoltori americani? Perche' oggettivamente le nostre passioni materiali sono attualmente soddisfatte dal lavoro duro e a basso prezzo di questi, mentre quelle ambientali/culturali lo sono a spese dei pochissimi schiavi moderni in patria detti contribuenti effettivi (escludiamo quelli da "giroconto") che dovrebbero anche sostenere, senza speranza, la concorrenza detta sopra.
Questo e' semplicemente un sistema di sfruttamento che non sta piu' in piedi, non e' numerologia, chiedere per conferma a chi ne sente le frustate quotidianamente fino a morirne.
Per quanto riguarda la societa' contadina citata nel commento sopra, credo che il motivo dell'entusiasmo dell'ultimo dopoguerra derivi da un fatto molto piu' terra-terra: era appena finita una guerra "atomica", una "pestilenza medioevale", grazie alle quali era crollato un regime oppressivo si', ma oggettivamente non molto piu' oppressivo di quello in cui ci siamo pian pianino reimpantanati da soli fino ad arrivare alla follia burotecnica odierna. Solo per questo erano entusiasti, e ne avevano ben motivo. Erano finalmente liberi. Quindi vorrei osservare che chi e' causa del suo male (sociale), pianga se stesso. L'uomo, la societa', si incasinano da soli, e ogni tanto hanno bisogno di un violento reset che arrivi da fuori del circolo vizioso in cui si impantanano. Tutto il resto non fa che peggiorare la situazione. Questa e' la mia opinione, formatasi dalla presa d'atto dell'infinita' cacofonica di ricette, cozzanti una con l'altra e di fatto ulteriormente paralizzanti, che tutti propongono per uscire dalla crisi, a parole, ma immancabilmente aggravano il male.
Il peso della complessita' del sistema e' eccessivo, e sta facendo crollare la sua base, che invece e' sempre piu' fragile.
L'aforisma di Krugman, per quanto bello, è un'utopia.
Siamo persone quando stiamo con gli amici o con le nostre mogli. Ma quando lavoriamo siamo risorse o capitale, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore siamo schiavi o bestie.
Questa è la natura umana. Non c'è niente da fare.
Cordialmente.
OK, siamo bestie salvo che a casa nostra, sul lavoro siamo macchine o anche schiavi: beh, io sono un deficiente perché ho insegnato per quarant'anni credendo di farlo da persona che ha davanti persone e non mi sono accorto che ero una risorsa che blaterava meccanicamente ad altre risorse. I progetti sono inutili, tutte le ricette non servono a niente e aggravano il male, tutto è troppo complesso e non c'è niente da fare. Buttiamoci dalla finestra, e non se ne parli più. Scusate l'amichevole franchezza, ma questi sono gli atteggiamenti che non aiutano. Essere depressi, questo sì che non serve a niente.
(Mi dispiace, ma da deficiente illuso quale sono, continuo a credere che l'aforisma di Krugman non sia un'utopia e che i veri utopisti - pericolosi - sono i totalitari e i tecnocrati, gente che vuole raddrizzare le gambe al mondo o farlo saltare per aria. Rileggere I demoni di Dostoevskij).
No, deficiente non l'ho mai detto e nemmeno pensato.
Però ha ragione lei quando pensa che io sia depresso. Sono disilluso, è vero. L'unica cosa che ci ha migliorato la vita è stata la tecnologia. Non la politica e ancor meno lo scarso senso morale degli uomini.
Deficiente me lo sono detto da solo... Comunque, vi sono mille ragioni per essere depressi. Sapesse quante ne ho io... Ciononostante è lo stato d'animo da cui bisogna tenersi alla larga. E se affidiamo la nostra felicità soltanto alla tecnologia siamo messi proprio male.
Vorrei fare un commento su questa frase di L.S.
"Ma quando lavoriamo siamo risorse o capitale, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore siamo schiavi o bestie.
Questa è la natura umana. Non c'è niente da fare."
I discorsi sulla "natura umana" sono al tempo stesso presupposto e giustificazione di un certo tipo di società. Per il pensiero greco la "natura umana" includeva l'esistenza di una sottoclasse di uomini, chiamati "schiavi", ecc. Quel convincimento era presupposto e giustificazione dello schiavismo dell'età classica. Nel frattempo, sono successe tante cose. Da parte mia, sono convinto che tra le tante cose presenti nella "natura umana" ci sia un bisogno profondo di libertà, di espressione creativa della propria individualità, e di socialità, perché non si può essere felici da soli, e mi auguro che lo sforzo di liberazione dell'umanità continui senza regressioni. Accettare lo status quo come se fosse una legge di natura è discutibile.
Buongiorno Sig. Fausto.
No, giustificare la crudeltà umana non si può.
Solo che, non capisco il perché, quando si parla di molti tratti caratteristici della psiche umana, come ad esempio la paura, l'estro artistico o l'istinto sessuale, senza difficoltà li attribuiamo alla natura umana.
Quando invece si parla della malvagità, ancora oggi si pensa che sia una cosa contingente, una specie di incidente di percorso. Molti sposano la tesi di Rousseau e pensano che ci sia lo spazio per migliorare.
Io invece, lo ammetto, sposo di più la tesi di Hobbes.
Cordialmente.
Buongiorno Sig. Fausto.
No, giustificare la crudeltà umana non si può.
Solo che, non capisco il perché, quando si parla di molti tratti caratteristici della psiche umana, come ad esempio la paura, l'estro artistico o l'istinto sessuale, senza difficoltà li attribuiamo alla natura umana.
Quando invece si parla della malvagità, ancora oggi si pensa che sia una cosa contingente, una specie di incidente di percorso. Molti sposano la tesi di Rousseau e pensano che ci sia lo spazio per migliorare.
Io invece, lo ammetto, sposo di più la tesi di Hobbes.
Cordialmente.
Vorrei ringraziarla, per la boccata di aria fresca che mi ha concesso di respirare grazie al suo bellissimo articolo del 31 gennaio.
Quando si continuano a leggere (rimando al duo di Piadena in versione bocconiana)sconcertanti esaltazioni delle assicurazioni sanitarie private, gabellate da "scelte tecniche" (come è noto, la detassazione per quei ricchi signori che optassero per un'assicurazione privata sicuramente migliorerebbe il sistema sanitario), con l'appoggio ossequiente del cosiddetto primo giornale d'Italia ; quando un tecnico (bocconiano) fornisce ad un suo fido collaboratore una roncola per smembrare il sistema sanitario nazionale, naturalmente per una mera "scelta tecnica" ; quando gli stessi dioscuri bocconiani (affiancati da uno stucchevole Liberale Giornalista) continuano a sostenere dogmaticamente che se la fiscalità generale contribuisce al finanziamento dell’Università, I poveri pagano l’Università dei ricchi (mentre, in realtà, il contributo della fiscalità generale è uno strumento ,questo sì , liberale, che dà l’opportunità a tutte le famiglie , senza distinzione di classe, di far accedere i figli all’università) ; ebbene, in questi e in molti altri casi, ciò che risalta è l'assoluto silenzio dei politici (che in campagna elettorale non osano nemmeno biascicare qualcosa contro le sedicenti "scelte tecniche", per paura di essere additati come sabotatori del sistema)e degli intellettuali. Una rarissima eccezione è rappresentata dal suo articolo (ma anche da tanti altri suoi articoli precedenti sui destini dell'istruzione italiana). Per questo non posso che ringraziarla ancora una volta, chiedendo di insistere, disinteressandosi dei grigi (bocconiani e non) interpreti del conformismo di questi tristi anni.
Vorrei ringraziarla, per la boccata di aria fresca che mi ha concesso di respirare grazie al suo bellissimo articolo del 31 gennaio.
Quando si continuano a leggere (rimando al duo di Piadena in versione bocconiana)sconcertanti esaltazioni delle assicurazioni sanitarie private, gabellate da "scelte tecniche" (come è noto, la detassazione per quei ricchi signori che optassero per un'assicurazione privata sicuramente migliorerebbe il sistema sanitario), con l'appoggio ossequiente del cosiddetto primo giornale d'Italia ; quando un tecnico (bocconiano) fornisce ad un suo fido collaboratore una roncola per smembrare il sistema sanitario nazionale, naturalmente per una mera "scelta tecnica" ; quando gli stessi dioscuri bocconiani (affiancati da uno stucchevole Liberale Giornalista) continuano a sostenere dogmaticamente che se la fiscalità generale contribuisce al finanziamento dell’Università, I poveri pagano l’Università dei ricchi (mentre, in realtà, il contributo della fiscalità generale è uno strumento ,questo sì , liberale, che dà l’opportunità a tutte le famiglie , senza distinzione di classe, di far accedere i figli all’università) ; ebbene, in questi e in molti altri casi, ciò che risalta è l'assoluto silenzio dei politici (che in campagna elettorale non osano nemmeno biascicare qualcosa contro le sedicenti "scelte tecniche", per paura di essere additati come sabotatori del sistema)e degli intellettuali. Una rarissima eccezione è rappresentata dal suo articolo (ma anche da tanti altri suoi articoli precedenti sui destini dell'istruzione italiana). Per questo non posso che ringraziarla ancora una volta, chiedendo di insistere, disinteressandosi dei grigi (bocconiani e non) interpreti del conformismo di questi tristi anni.
Sono io a ringraziare lei. Almeno si sente di non parlare al vento...
Intanto Monti ha indicato chiaramente quale deve essere il modello di scuola da seguire. Indovinate? quello finlandese!
http://www.orizzontescuola.it/news/monti-ci-vuole-finlandesi-ma-stipendi-italiani
evidentemente il superconsulente nonché superesperto di scuola del Corsera e di Confindustria, nonché supremo garante della meritocrazia, ha colpito ancora.
VADE RETRO:
http://gisrael.blogspot.it/2011/05/il-bluff-della-matematica-finlandese.html
@ L.S.
Da quanto ho letto (da adolescente) il libro di Konrad Lorenz ``il cosidetto male'', ho smesso di credere che l'aggressivita' sia qualcosa come un vizio di cui possiamo in linea di principio liberarci (come quello delle sigarette).
Ma la presenza dell'aggressivita` negli strati piu` profondi della ''natura umana'' non significa che nella natura umana non ci siano anche cose meravigliose, di segno opposto, come ad esempio il sentimento di solidarieta` con gli altri esseri umani. E non significa che non ci siano modi per controllare e sublimare l'aggressivita`, imparando cosi` a evitare di dirigere la sua forza distruttiva verso gli altri o verso se stessi.
E poi, quello che cercavo di dire e` che non credo che sia una buona idea quella di avere un atteggiamento rassegnato e fatalista, come quello che traspare da alcuni commenti qui apparsi.
Cioe`, il fatto che nella natura umana ci sia l'aggressivita`, NON ci costringe, nell'immaginare e nel costruire una societa` in cui ci piacerebbe vivere, a fare dell'aggressivita` il perno centrale, come se non ci fossero modi per sublimarla e controllarla almeno fino a un certo punto.
Non sto cercando di dire che sia possibile cambiare la nostra natura per costruire un uomo nuovo (sull'argomento, non mi pronuncio). Sto invece cercando di dire che
fare dell'aggressivita` il perno centrale della societa` significa ignorare che ci sono modi per controllarla e sublimarla, arrendendosi ad esempio all'idea che si debba riconoscere
a tutti il diritto di portare armi (liberalizzando quindi la loro
compravendita); significa anche che l'industria culturale non avra` scrupoli nel rappresentare la violenza con dovizia di particolari e raffinate citazioni intertestuali, provocando una assuefazione e riduzione della propria sensibilita` al dolore altrui (cioe` il sentimento di solidarieta`, che e` anche parte della nostra natura); significa anche che lo Stato non avra` scrupoli a esercitare la violenza contro chi si macchia di certi crimini (e questo e` un male, primo perche' cosi` facendo si nega la sacralita` della vita e si finisce per dare un cattivo esempio, e poi perche' si ignorano le conseguenze irreparabili degli errori giudiziari). Ecc. ecc. Non ci dobbiamo stupire se poi spesso qualcuno massacra decine di esseri umani dentro scuole o centri commerciali. Io credo che questo esito sia l'inevitabile conseguenza della scelta di aver fatto dell'aggressivita` il perno di una societa`, cioe` in qualche modo un suo ''valore''. Ma, per carita`, non mi fraintenda: la societa` statunitense e` anche basata su valori ''alti''. Questo esempio pero` mi sembra un esempio quasi da laboratorio di quanto sia poco saggio avere un atteggiamento rassegnato in certe cose.
Mi sembra significativo il fatto che, in inglese, l'espressione ''loser'', che deriva dai giochi agonistici, abbia subito una dilatazione semantica, per indicare qualcosa di ''cosmico''. Non mi risulta che questa espressione sia traducibile in italiano in modo letterale, perche' l'espressione ''perdente'' e` troppo ancorata all'idea che si tratti di un gioco, cioe` non e` sufficientemente ''cosmica'' (da non molto si cerca di diffondere l'espressione ''sfigato'', come equivalente di ''loser''). Se crediamo che la vita sia un gioco, finisce per diventarlo. Ma non e` una scelta ineludibile dettata dalla ''natura umana''.
Sui temi cultura & istruzione mi permetto di segnalare il seguente articolo di Oscar Giannino:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-02-03/oscar-giannino-beni-culturali-155056.shtml?uuid=AblwXpQH
Appena riletto: bellissimo articolo.
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