Dicono che colui che di recente si è modestamente definito “oltre Hitler”, il comico Beppe Grillo, guidi i sondaggi segreti sulle elezioni europee di domenica. “Quello? E’ solo un fascista”, sbotta la signora novantenne che si ricorda del Duce e dei bombardamenti americani su Roma (“uno, su Trastevere, durò tre ore e mezza. La contraerea era a poche centinaia di metri da casa nostra, in via Luigi Santini. E io e mia madre, abbracciate e rannicchiate nell’androne del palazzo, sentivamo le esplosioni a un passo, senza nemmeno poter raggiungere il rifugio. Convinte, per tutto il tempo, che saremmo morte”).
La vecchia signora – che è mia madre – quando Beppe Grillo compare sullo schermo cambia subito canale, con fastidio e con tutta la forza delle sue incerte mani di novantenne. Quel tipo è una caricatura di gerarca, dice, che le “mette angoscia, con quel modo sbracato di gesticolare, di urlare…”. Non se ne fa una ragione, “tanto dolore e tanti lutti per arrivare alla democrazia, perché noi ci abbiamo creduto, eccome. E il risultato è uno sbruffone che minaccia e insulta tutti”. E non ha nemmeno visto il plastico del castello (Kafka, dove sei?) con celle e segrete che Grillo promette di adibire virtualmente a sede di futuri “processi popolari in Rete”. Cito, dal sito beppegrillo.it, uno dei più recenti post del capo: “Il processo durerà il tempo necessario, almeno un anno, le liste saranno rese pubbliche quanto prima e l’ordine in cui saranno processati gli inquilini del castello sarà deciso in Rete. La prima categoria sarà quella dei giornalisti che hanno occultato la verità agli italiani nell’ultimo ventennio. I pennivendoli di Regime. In alto i cuori!”.
Ecco servito il videogioco grillino dei “processi popolari”, e tanto dovrebbe bastare a chi è ancora in grado di intendere e di volere per capire chi è il signore dato per vincente alle europee, domenica prossima.
Eppure… “Grillo? Meglio lui di tutti gli altri”, diceva l’anno scorso (chissà se lo direbbe ancora, dopo la promessa dei “processi popolari in Rete”) l’amico sessantaduenne, ora giornalista disoccupato dopo una vita passata nelle formazioni e nella stampa della sinistra più dura e più pura. Quando Giorgio – nome di fantasia – nel gennaio del 2013 annunciò a un gruppetto di amici riuniti a cena che avrebbe votato i Cinque stelle alle politiche, qualcuno (io, per esempio) non voleva crederci. Che cosa poteva far incontrare nella cabina elettorale una persona con l’esperienza di Giorgio, abituato ai distinguo estenuanti sulle correnti del sindacalismo italiano, alle buone letture (Kafka c’è), al cinema d’autore, e il furbastro ululante, ricettacolo di tutti i luoghi comuni definiti – nel suo caso, benevolmente – populisti? Uno che si fa assistere dal mestocrinito Gianroberto Casaleggio, evocatore di complotti demo-pluto-pippo-paperino-giudaico-massonici, macchietta New Age fuori tempo massimo, rimasticatore impacciato di latouchiane “decrescite felici”?
“A Gio’, aripijate” (tradotto: “Giorgio, torna in te”) gridammo romanamente in coro al nostro amico, grillino immaginario, in quella sera di gennaio del 2013. Ma lui Grillo lo votò, e magari lo voterà di nuovo domenica. Lo votò e lo voterà con lo stesso spirito con cui un bambino minaccia “mi butto per terra e mi sporco tutto”. Lo votò e lo voterà pensando seriamente che “tutta la classe politica che ha governato l’Italia negli ultimi trent’anni, di destra, di centro e di sinistra, deve mo-ri-re”.
O magari Giorgio si è pentito, messo a contatto quotidiano con le dichiarazioni della Lombardi, prima, e poi di Di Maio e della “poetessa” Paola Taverna, autrice di sonetti come il seguente, contro i dissidenti del suo stesso movimento: “Che meraviglia sei diventato senatore / E mo’ te senti er più gran signore / Lasci interviste e fai er politico sapiente / Pe’ me e’ pe’ troppi ancora sei poco più de gnente (…) Proponi accordi strani e vedi prospettive / Mentre io guardo ste merde e genero invettive”. Rime zoppicanti ma contenuti sublimi.
Certo è che, mentre Giorgio ha rivendicato a viso aperto quella scelta, altri, senza dichiararlo, l’hanno imitato nel proverbiale segreto dell’urna. Tutti convinti che chi ha fatto politica in questo paese negli ultimi decenni deve soltanto “mo-ri-re”. Deve togliersi di mezzo, sparire, sprofondare per sempre. E’ grazie a questa singolare ma diffusa, e perfino comprensibile, epidemia di cupio dissolvi, che colui che è “oltre Hitler” dovrebbe riuscire a mettere nel sacco tutti gli altri contendenti, domenica. Se si gioca al pericoloso gioco della “tabula rasa”, il più efficace è senz’altro Grillo, non Renzi. Se si gioca al gioco gaglioffo del “Tutti in galera!”, il più convincente è lui, mica Ingroia, la Spinelli, Stella&Rizzo o Flores d’Arcais. Se si gioca al tetro gioco della gogna online, il più disinibito è ancora lui, con i suoi “processi popolari in Rete” e il suo plastico della fortezza virtuale, in attesa di quella reale.
Se si gioca al furbo gioco dell’“adesso tocca a te decidere, basta con i professionisti della politica”, nessuno può tenergli testa, tantomeno il fantasma di Berlusconi. L’Europa? Ma chi se ne frega dell’Europa, se c’è l’occasione di far “mo-ri-re” i politicanti, di castigare la “casta”, di far sentire la voce dei “cittadini” dotati di profilo Facebook (gli altri, è chiaro, non contano).
Se tutti dicono che arriva la bufera, e la bufera ha lo sguardo corrucciato e i boccoloni da battaglia di un (non troppo ex) comico genovese, è perché il risentimento e l’odio sono gli umori dominanti del tempo e nessuno è capace di mettere in scena l’odio e il risentimento come lui, che ovviamente li chiama “rabbia” (“Sono arrabbiato. Ma la mia rabbia è il sogno di dieci milioni di italiani”, ha detto da Bruno Vespa). Votare Grillo, insomma, è l’alternativa meno onerosa (almeno nell’immediato, perché non si rischia la denuncia) al rigare con le chiavi la carrozzeria della macchina parcheggiata male del vicino antipatico, al prendere a pugni l’impiegato arrogante allo sportello o a insulti l’autista dell’autobus che arriva dopo un’ora che aspettiamo. Chi non ha provato, una volta o più volte nella vita o nella stessa giornata, la voglia di farlo? La differenza, alla fine, è solo tra chi lo fa sul serio e chi no.
La fai facile, mi dicono. Ma non lo vedi che la gente è stanca, sfiduciata, impaurita dal futuro, disgustata dalla politica, avvilita dall’immobilismo? Come no, ho ben presente. Ma l’idea che a portarci fuori dalla palude possa essere un virtuoso dell’odio è ridicola. L’odio deve almeno rendere produttivi, diceva Karl Kraus, altrimenti è più intelligente amare. La ricetta del confezionatore di gogne – unica idea grillina chiara tra molte altre confuse, imponderabili, risibili, inesistenti, balorde e inesorabilmente non produttive, se non di altro odio e di nuovo risentimento – non la bevo e mi piacerebbe che non la bevesse nessuno. A colui che è “oltre Hitler” trovo si addicano le parole che Arthur Koestler – uno che certamente di “processi popolari” se ne intendeva – riservava all’originale (nel senso del Führer): “La sua voce stridula diventò ancora più stridula, un incantesimo che mandava in trance, mentre gli slogan che trasmetteva erano semplici, nella loro monotona ripetitività, come il suono del tam-tam nella boscaglia… tutto ciò avveniva nei giorni che seguirono alla sconfitta del suo paese, quando certi poteri erano in cerca di idee folli, buone a sviare le energie della plebe esacerbata, e scoprirono che egli poteva essere un folle molto utile. Soltanto più tardi gli effetti sarebbero stati visibili, ma fu un avvenimento storico: la chiave aveva trovato la sua serratura”.
L’Italia del 2014 è un paese di sconfitti dove nessuno è vincitore, e dove non è affatto facile immaginare – almeno per me – una via concreta di riscatto, una chiave efficace e decente per aprire la serratura. L’unica cosa che so, però, è che i tam-tam nella boscaglia li abbiamo sentiti altre volte, e tutte le volte erano i cannibali.