Alcune
persone non apprezzano che un medico esiti prima di fare una diagnosi e di indicare
la cura relativa, o addirittura cambi idea. Pensano persino che sia un incapace
e preferiscono quel medico che, quasi senza averti guardato in faccia, dopo
pochi minuti impugna penna e ricettario. Sbagliano, e di grosso. Per questo,
non soltanto non pensiamo che vada a demerito del ministro dell’istruzione
Giannini aver espresso propositi diversi o persino divergenti da altri
precedenti, ma anzi che abbia dato prova di quella riflessività e di quella
capacità di ascolto di cui ha assoluto bisogno un sistema dell’istruzione
disastrato da troppe prescrizioni avventate. Insistiamo sulla capacità di
ascolto perché troppe amministrazioni hanno fin qui dato prova di voler andare
avanti a testa bassa, ascoltando soltanto sé stesse o alcuni gruppi “influenti”,
senza guardare alla sostanza dei problemi e ignorando tutte le voci provenienti
dal mondo della scuola e dell’università che non siano in consonanza con le
decisioni precostituite.
Siamo
quindi ben lieti che il ministro abbia mostrato importanti segni di apertura su
due temi scottanti. Il primo riguarda la questione delle fonti di finanziamento
delle università: non ci si può disinteressare della clamorosa disparità tra
università settentrionali e meridionali con una scrollata di spalle (“se la
vedano loro”), ignorando superficialmente le conseguenze disastrose per tutta
la comunità nazionale di un crollo del sistema universitario del sud. Ben venga
quindi una riflessione che tenga conto di criteri di merito ma evitando di
applicare parametrizzazioni meccaniche prive di senso che penalizzano un’area
culturale che presenta aspetti profondamente positivi e che non può essere
raccontata con generalizzazioni da serial televisivo. Va quindi salutato come
un fatto assai positivo l’importante apertura del ministro su questo tema.
Non
meno importante è la presa di posizione sui test d’ingresso a medicina. Fino a
qualche giorno fa alcune dichiarazioni del ministro lasciavano pensare che ci
si era resi conto degli aspetti problematici – è un eufemismo… – di questa
modalità di selezione, ma che non appariva possibile rinunciare alla sua
impalcatura generale. Ora il ministro fornisce un’indicazione che coincide con
quella che ha dato questo giornale e che gode di un largo consenso: orientarsi
verso il sistema francese, che non pone sbarramenti all’ingresso
all’università, ma compie una serie di selezioni sul merito degli apprendimenti
conseguiti nel primo anno di frequenza – e quindi sulle materie propriamente
mediche e non su fumisterie generaliste – con un’ultima possibilità di recupero
al secondo anno. È un sistema che ha mostrato una capacità di selezione
altamente rigorosa e quindi risponde sia ai vincoli numerici che all’esigenza
primaria di creare una classe di medici di alto livello professionale.
Molto
bene, quindi. C’è però un “ma” o, meglio, un “purché”: purché tutto ciò non
resti allo stadio dei proponimenti e poi non si faccia nulla, oppure si snaturi
un modello semplice e collaudato inventando chissà quali marchingegni,
correzioni, eccezioni e deroghe, magari conciliandolo con una prima batteria di
test a base di Chomsky e Hobsbawm. Non è malignità la nostra perché fin troppe
volte abbiamo visto dimenticare i migliori propositi o abbiamo visto
stravolgere riforme semplici – si pensi al disastro che è stato combinato sui
TFA – e trasformarle in qualcosa di contrario alle intenzioni. Abbiamo un
modello francese che funziona, e che piace al ministro: è troppo chiedere di
copiarlo pedissequamente e velocemente?
Tra
gli episodi che inducono alla prudenza e, al contempo, alla speranza che il
ministro Giannini mostri di avere la determinazione necessaria, vi è quello
relativo alla vicenda del liceo “breve” di quattro anni. Si è partiti con la
solita “sperimentazione” ristretta a qualche liceo, contro il fatto la parola “sperimentazione”
dovrebbe essere cassata dal vocabolario dell’istruzione italiana, visto che
questa prassi ipocrita è stata all’origine dei peggiori disastri. Poi, è
subentrata una valanga di prese di posizioni contrarie, ben argomentate, e non
solo da parte di personalità autorevoli ma anche da parte di insegnanti e
famiglie: ogni giorno ricevo lettere di insegnanti che dichiarano di desiderare
soltanto la pensione nel caso in cui passi questa “innovazione”, temendo l’invenzione
di sciagurate materie-centauro (come la geostoria); né si vede chi potrebbe
essere contento di fare un orario lungo per compensare l’anno mancante. Tutti
hanno capito che l’unica autentica motivazione è il taglio di qualche decina di
migliaia di cattedre. Ma l’amministrazione ministeriale si è tappata le
orecchie, ha lasciato passare l’occhio del ciclone, ed è prontamente passata ad
accreditare altre cinque sperimentazioni di liceo breve. Così, quando le
sperimentazioni saranno un centinaio la riforma sarà stata imposta di fatto.
Bene: questo è proprio il decisionismo di cui non abbiamo bisogno, un retaggio
della gestione burocratico-autoritaria del ministro Bottai, il contrario di
quello che sembra essere l’approccio del ministro Giannini quando mostra di aver
ascoltato le critiche sui due temi di cui sopra, e di aver riflettuto.
Ci
permettiamo di suggerire al ministro un’analoga capacità di riflessione sul
tema della scuola superiore di primo grado (o “scuola media”, come si dice
comunemente). Non prenda per oro colato certe tiritere secondo cui la scuola
media è il buco nero del sistema dell’istruzione italiano, mentre la scuola
primaria sarebbe la perfezione. Si lasci tentare dall’ipotesi che la scuola
media richieda certamente delle riforme, ma che il vero problema sia proprio la
scuola primaria: la più devastata da innumerevoli sperimentazioni pedagogiche
spericolate. Chi abbia un minimo di cultura matematica sa che è nella didattica
rinunciataria e minimalista delle primarie che si costruisce l’analfabetismo
matematico che dilaga nel corpo studentesco e che le scuole medie non fanno
altro che attestare. Il discorso è complesso, va argomentato e ci ripromettiamo
di tornarvi su, ma l’atteggiamento del ministro incoraggia a sperare che vada
affrontato con la dovuta riflessività. Intanto, ci si lasci sperare che alle
positive dichiarazioni sui fondi universitari e sulle modalità di accesso alle
facoltà di medicina seguano i fatti.
(Il Mattino, 7 maggio 2014)
6 commenti:
Speriamo che il ministro l'ascolti XD
Meno male che Lei riesce a scrivere queste cose sui giornali. Non è facile sentire voci autentiche.
Sono totalmente d'accordo con lei, ma ho una domanda: per quello che riguarda l'accesso alla facoltà di Medicina, leggevo in un articolo tempo fa che sono i docenti stessi delle Università a insistere per il numero chiuso subito perché, affermano, non è possibile fare lezione con un numero di studenti elevato. Che ne pensa?
Eho, lo so, ma questo è un problema che deve risolvere il governo. Se l'unica cosa che sanno fare è tagliare risorse, magari per spendere e spandere con quei baracconi che sono l'Anvur e l'Invalsi, c'è poco da fare. È indubbio che, se si taglia il numero dei docenti, non si può far lezione. Anche il ministro, al forum del Mattino, ha ammesso che addirittura tra qualche anno vi sarà una carenza di medici in Italia. Sta a loro dare le risposte. Questo non può essere l'unico paese "avanzato" dove si tagliano risorse alla scuola, all'università e alla ricerca. Salvo magari all'ITT, dove Renzi ieri ha fatto un deplorevole spot.
Capisco, grazie mille per la risposta, professore. A latere, secondo me i medici sono troppo pochi anche adesso...
Per non tacere dell'albero della cuccagna, fonte di iniquità e vergogna, che sono le agenzie di preparazione ai test d'ingresso a Medicina, che procurano soldoni a tanti docenti coinvolti nel mercato...
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