sabato 21 maggio 2011

Quelli che la scuola non si può criticare


Un collaudato metodo per screditare le posizioni altrui è ignorare gli argomenti su cui poggiano, appiattirle su quelle estreme, e ignorare l’identità di chi le sostiene. È quel che sta accadendo nel dibattito sulla valutazione innescato dalla vicenda dei test Invalsi. Per screditare chi critica la via che si sta imboccando sulla valutazione lo si addita come avversario di ogni forma di valutazione, come il membro di una corporazione che si difende dal “merito”. Il titolo dell’articolo di Maurizio Ferrera (Corriere della Sera, 16 maggio), che forse neanche l’autore condivide, è un esempio di questo metodo: «Specialisti nell’annullare le riforme (altro che meriti e qualità)». Nell’articolo si deplora che “autorevoli intellettuali” stiano “delegittimando culturalmente” le riforme criticando i test e, sul fronte della ricerca scientifica, i sistemi bibliometrici. Sappiamo bene, si dice, che nei paesi all’avanguardia è in corso un dibattito per “raffinare e calibrare” gli strumenti utilizzati, ma noi, che arriviamo ultimi, non possiamo sottilizzare.
Bene, ma all’estero il dibattito non verte sul “raffinamento”, bensì sull’opportunità di un cambiamento totale di direzione. Sono mesi che tento di trasmettere il contenuto di questo dibattito, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Un anno fa alcune tra le massime istituzioni mondiali in tema di numeri hanno prodotto un documento (“Citation Statistics”, reperibile in rete) che demolisce il sistema bibliometrico. Uno scienziato autorevole come Douglas Arnold (presidente di SIAM, Society for Applied and Industrial Mathematics) ha chiesto la sospensione (non il calibramento) della bibliometria accusandola di distruggere l’integrità scientifica e ha rincarato la dose con un articolo intitolato “Numeri scellerati”. Un anno fa, tutte le riviste di storia e filosofia della scienza hanno redatto un manifesto contro la bibliometria. E potrei continuare.
Sul fronte della scuola non è lecito ignorare le denunce dei disastri prodotti dalle ideologie dell’autoapprendimento e dell’insegnante come passacarte delle tecnologie educative e valutative confezionate da improbabili “esperti”: critiche avanzate da personalità come Laurent Lafforgue (in Francia) o Alicia Delibes (in Spagna). Non è lecito ignorare il recentissimo libro (“The Death and Life of the Great American School System) di una protagonista delle riforme statunitensi dell’istruzione, Diane Ravitch, che non parla di “ritocchi” ma di fallimento del sistema dell’“accountability” e del “testing”. Ravitch non dice che i test sono inutili ma che vanno usati con grande moderazione e non dando a credere che abbiano validità scientifica e che siano «oggettivi». Invece qui si ripete tutti i giorni, con una sordità pari alla supponenza, che il sistema dei test permette una “misurazione oggettiva” delle competenze e del loro valore aggiunto. Si parla pomposamente di “standardizzazione scientifica”, il che fa ridere chi sappia che cosa sia una misurazione scientifica.
È il tipico modernismo in ritardo all’italiana, vera forma di provincialismo: adottare le riforme costruite qualche decennio prima altrove, con un dogmatismo giustificato in nome del nostro ritardo. Così fu per la riforma della scuola primaria, quando, ad esempio, si decise di introdurre la “teoria degli insiemi”, seguendo un modello che in Francia stavano precipitosamente abbandonando, e così ancor oggi siamo afflitti da questa pessima eredità.
In realtà, la questione è di politica culturale. Il modello di una scuola basata sulla centralità dei contenuti e della figura dell’insegnante, e su un rigoroso sistema di valutazione che ruoti attorni alla pratica delle ispezioni e così inneschi un processo di crescita culturale, non appartiene solo alla tradizione “conservatrice” e “di destra”. Appartiene anche, e fortemente, a una tradizione di sinistra. Basti pensare a quanto scriveva uno degli intellettuali comunisti più innovativi in tema di istruzione, Lucio Lombardo Radice. Rivendicando il valore rivoluzionario dei «metodi attivi nell’educazione della mente», ammoniva che «secondo certe tendenze “estremistiche” e superficiali, oggi purtroppo di moda nel nostro paese, “attivismo” significherebbe invece liquidazione di ogni sforzo, di ogni noia, di ogni sistematica disciplina mentale e con ciò di ogni organico sapere. Si esalta una scuola nella quale è sempre domenica, nella quale ad ogni ora si celebra la festa dello spirito creatore, nella quale ogni attività è individuale, libera, piacevole, giocosa. Al bando la geografia sistematica: basta organizzare un viaggio, reale o ideale, della classe in un’altra regione studiandone le carte, le comunicazioni, i prodotti, i costumi. Morte alla scienza classificatoria: tre mesi di osservazione ed esperimenti sulle lumache formerebbero lo spirito scientifico assai più di un’organica visione (in buona parte necessariamente libresca, o frutto di lezioni ex cathedra) delle grandi linee della evoluzione delle specie. Basta con le date, colla successione cronologica e le periodizzazioni storiche; episodi, racconti, immedesimazione con pochi “eroi” darebbero il vero senso della storia. Si va molto al di là della confusione tra due momenti educativi: si arriva ad annullarne uno, quello basilare, riducendo la scuola a escursione, esercitazione, libera ricerca, lettura occasionale […]». E difendeva lo «studio-lavoro, la lettura-riflessione, lo sforzo di comprensione tenace, l’applicazione disciplinata, organica, paziente, la faticosa organizzazione della propria mente e del proprio sapere».
Si chiederà cosa c’entri questo con la valutazione mediante test. C’entra, eccome, per chi abbia esaminato attentamente la natura dei test proposti – e lo faremo analiticamente, se ne può star certi – e la devastante attività di addestramento al superamento dei test che ha messo in campo una pubblicistica da quiz molto al di sotto degli standard temuti da Lombardo Radice. Si tratta di quelle pratiche che, come denuncia la Ravitch, hanno minato la qualità della scuola americana, come hanno minato la qualità dell’insegnamento matematico in Finlandia. C’entra, perché tutto rientra nella sciagurata idea secondo cui quel che conta è solo la metodologia (“come” si pensa e non i contenuti).
Si diceva che il problema è di politica culturale. Una sinistra in crisi di orientamento si è rifugiata nel modello tecnocratico, come una “teologia sostitutiva”. La destra, afflitta dal solito complesso di inferiorità culturale, spesso si accoda. Così, l’unico indirizzo in campo resta sempre quello della “micidiale coppia” Berlinguer - De Mauro (secondo l’efficace definizione di Paola Mastrocola). Insistere su questa via, accoppiando procedimenti di valutazione automatizzata con l’ideologia dell’insegnante-facilitatore, della scuola “open space”, della distruzione dei contenuti a favore della tecnologia e della dittatura della metodologia, questo sì che è diabolico.
All’indirizzo “micidiale” trasversale deve contrapporsi il fronte del buon senso. Fa quindi piacere che il senatore Rusconi – con un “messaggio chiaro e forte” rivolto al suo partito, il Pd – dica che la qualità della scuola non la fanno computer e lavagne multimediali, bensì gli insegnanti. E, aggiungo, insegnanti “maestri”, insegnanti di qualità, non “facilitatori” passacarte; insegnanti da reclutare coi concorsi e poi valutati, non mediante assurdi parametri come il “valore aggiunto” di apprendimento, bensì sui contenuti, con un sistema ispettivo da costruire in modo meditato, tenendo conto dei pro e contro delle esperienze estere. 
(Il Giornale, 17 maggio 2011)

8 commenti:

feynman ha detto...

la qualità della scuola la fanno gli insegnanti? certamente, ma non basta. La media degli insegnanti italiani, checchè ne dicano i media, non è male. Ci sono nelle scuole superiori italiane molti ottimi insegnanti che lavorano con delle classi prime (secondaria superiore) di 29-30 alunni, inseriti in aule piccole con lavagne piccole (parlo della classica lavagna grafite - gesso). Se li si porta nell'aula con l'unica LIM si perde mezz'ora negli spostamenti. Se li si porta in aula di Informatica (anch'essa angusta e con un PC per due-tre ragazzi) altrettanto. In classe, l'ottimo insegnante passa anche venti minuti della prima ora a firmare giustificazioni, compilare moduli cartacei con le assenze degli alunni, leggere circolari inutili che però devono essere lette e messe a registro. L'ottimo insegnante (che in venti anni di insegnamento avrà fatto si è no 5-6 giorni di assenza) ha a che fare con tassi di assenteismo degli alunni che è quasi da Parlamento Italiano. L'ottimo insegnante continua a fare salti mortali per insegnare una materia che lo appassiona, ma vorrebbe farlo in classi di massimo 25 alunni con una lavagna grande e gesso a sufficienza. Ci sarà qualcuno ai piani alti della scuola in grado di rendere possibile il lavoro all'ottimo insegnante? Mah ....

Teo ha detto...

Intanto all'ottimo insegnante, come al pessimo, il ministro Brunetta continua a tagliare 5 euro per ogni giorno di assenza per malattia, colpendo nel mucchio con incredibili dichiarazioni da "salumiere" ("per colpa di qualcuno non si fa credito a nessuno")!
La verità è che questo ministero non ha alcuna intenzione di pagare meglio gli insegnanti "ottimi" e le sue idee in proposito sono quanto meno poco chiare, tant'è vero che anche un commentatore non pregiudizialmente schierato come Giovanni Belardelli sul Corriere della sera (citando con approvazione le Sue critiche alle procedure elaborate dal ministero per individuare gli insegnanti più "meritevoli") le ha ritenute discutibili e aleatorie. Almeno per quanto riguarda la scuola secondaria superiore, io avrei pensato a un sistema che valorizzasse soprattutto (sebbene non esclusivamente) i titoli culturali e post lauream, come le pubblicazioni e il dottorato di ricerca, che quanto meno sono oggettivi e meno soggetti ad apprezzamenti arbitrari: è vero che non sempre, forse, comportano un miglioramento nella didattica, ma spesso in effetti implicano costituiscono un arricchimento professionale notevole: e quanto meno sono parametri oggettivi su cui non si può discutere più di tanto. Ma non sembra, purtroppo, essere questo l'orientamento del ministero, se è vero che il famigerato art. 19 della legge 240/2010 (la cosiddetta legge "Gelmini" sull'università) trasforma la concessione del congedo per dottorato di ricerca da diritto soggettivo a decisione discrezionale dell'amministrazione, vietando nel contempo il congedo per un eventuale secondo dottorato. Bel modo per valorizzare il merito!
Comunque, sui risultati della sperimentazione per premiare il merito, ho la brutta impressione che si tratti di un modo come un altro per rimandare alle calende greche (o, nel migliore dei casi, al 2013, quando probabilmente ci sarà un altro ministro e vari diversi dirigenti) una questione, quella della valorizzazione della professionalità, su cui c'è poca armonia e che comunque comporta un esborso di denaro per finanziarla che forse oggi il Ministero non vuole stanziare. Comunque, anche se si dovesse arrivare a una sorta di "merit pay", questo compenserebbe poco il fatto che gli stipendi dei docenti italiani sono assolutamente inadeguati rispetto a quelli europei, forbice enormemente aumentata da quando sono stati bloccati gli scatti di anzianità e da quando non si è proceduto al normale rinnovo del contratto. E non sarà certamente qualche spicciolo (sostanzialmente una mensilità in più all'anno erogato) ai docenti considerati meritevoli a cambiare più di tanto le cose. Tra l'altro, il livello basso degli stipendi, in mancanza di altri incentivi (ad es. defiscalizzazione delle spese per libri e altri prodotti per l'aggiornamento), non favorisce certo un innalzamento del livello qualitativo dei docenti (so di colleghi precari che hanno rinunciato persino a comprare il supplemento culturale de Il Sole 24 ore della domenica - che ogni docente degno di questo nome dovrebbe leggere per aggiornarsi - da quando è aumentato di 50 centesimi; e io stesso, che sono di ruolo, se devo comprare un libro spesso aspetto le offerte e le promozioni delle case editrici).

Giorgio Israel ha detto...

Condivido quello che dice. Salvo il fatto che, visto che si vuole introdurre la valutazione bibliometrica, magari valutano i titoli in modo numerico.... Stiamo imboccando una pessima direzione. L'orientamento non è del ministero bensì di Confindustria. E quando ci sarà un altro ministro ci saranno comunque gli stessi dirigenti....

Giorgio Israel ha detto...

RICEVO E PUBBLICO (con l'autorizzazione del mittente):


Come insegnante anche io sto soffrendo l’intenso disagio esistenziale sofferto dalla categoria per il compimento dello sfascio della Scuola italiana ma, a differenza della maggior parte dei miei colleghi, e soprattutto colleghe, orientati politicamente si sa bene come, non ho trovato nelle analisi di questa situazione apparse da qualche anno a questa parte la lucidità dell’analisi volta a scoprire le cause di questo degrado sociale e culturale, men che meno le proposte per poter recuperare i contenuti sociali e culturali con i quali la Scuola italiana ha fatto si che un Paese come il nostro, privo di risorse naturali che non fossero il sole, il mare e il nostro patrimonio artistico e culturale potesse competere economicamente con i colossi mondiali.
Innanzitutto mi presento.
Laureato in Ingegneria Civile nel 1979, votazione 110/110 e lode, ho iniziato ad insegnare dal 1980 una materia pomposamente chiamata “Costruzioni, Tecnologia delle Costruzioni e Disegno Tecnico”.
Dichiaro subito che sino a sette anni fa ho svolto parallelamente un’attività libro-professionale, interrotta sia perché le risorse in termini di energia richieste dall’insegnamento si sono in questi anni enormemente accresciute, sia perché, a conti fatti, detratte le famigerate tasse, spese, sacrifici e privazioni, la mia paga oraria da Ingegnere libero professionista risultava inferiore a quella sindacale di una Colf, con tutto il rispetto per le Colf, ovviamente.
Sento naturalmente la riprovazione di chi non capisce niente né di scuola né di educazione e vede la funzione Docente in chiave pauperistico-francescana, oppure come un orario di lavoro da trascorrere all’interno di un edificio scolastico, possibilmente per crearsi dei seguaci che lo seguano in imbandierate manifestazioni contro questo e contro quello…..
E’ stato invece lo svolgimento di un’attività libero professionale a fianco e, assicuro, non a detrimento della Scuola non solo a stimolarmi ad un aggiornamento continuo, visto che ho acquistato, a mie spese ovviamente, il primo computer nel 1983, ho iniziato a spiegare ai miei studenti cosa era il CAD nel 1986, ho tenuto corsi di CAD ai miei colleghi nel 1990….
E soprattutto se da una parte ho acquisito un indiscusso carisma con i miei studenti, fatto ovviamente assolutamente fondamentale per un insegnante in quanto, quando esordisco con “Adesso spiegherò come è fatto quel ponte dove molti di voi passano ogni giorno, che so perfettamente come è costruito perché l’ho progettato io…” è molto difficile che qualche studentello possa essere così spiritoso da contestare quello che dico……ma anche e soprattutto perché in questo modo sono riuscito ad avere una conoscenza precisa del Mondo del Lavoro (certo anche l’insegnamento è un’attività lavorativa, ma con peculiarità che lo rendono differente dal lavorare in un’Azienda o in un’Amministrazione Statale), potendo trasferire così queste conoscenza direttamente nell’insegnamento, e considerando quindi la Scuola come effettivamente propedeutica a quello che tutti gli Studenti di questo mondo dovranno fare una volta finite le superiori, l’Università, breve o lunga che sia, il Master, il Master del Master del Master , vale a dire il guadagnarsi una pastasciutta biquotiana.
E’ quindi del tutto fuori luogo, e completamente sbagliata, la critica feroce di alcuni colleghi/e con lauree molto meno spendibili sul mercato del lavoro svolge nei confronti di chi svolge un’attività libero-professionale, per svariate regioni per cui non mi dilungo, ma che mi pare di are seppure succintamente accennato.

Giorgio Israel ha detto...

SEGUE:


Ma veniamo al punto fondamentale: lo sfascio della Scuola Italiana.
Il fenomeno viene da lontano, cito due episodi “emblematici” come si usa dire oggi come tutti quelli che citerò in seguito personalmente capitatimi.
Il primo in ordine di tempo.
Nel 1981 ero supplente temporaneo e, nelle cosiddette “ore a disposizione”, abolite in maniera totale dal Ministro Moratti, facevo servizio di Biblioteca d’Istituto con una Collega, la quale desiderosa di un radicale cambiamento della Scuola Italiana, testualmente mi disse.
“Certo, io vorrei guadagnare un po’ di più e per questo sarei disposta a passare qualche ora in più a scuola….ma s’intende, NON davanti agli alunni……”
I Ministri della Pubblica Istruzione che si sono succeduti da allora l’hanno accontentata, anche se lei non ne ha potuto usufruire in quanto pensionata baby……
Nel 1984 o giù di lì ebbi modo di conoscere l’allora Sottosegretario alle Finanze (Sardo) il quale durante una conversazione informale circa lo stato della Scuola Italiana ed alcune mie richieste, in particolare per l’edilizia scolastica, replicò in maniera convinta con queste parole
“No, no, no, per la Scuola in Italia si spende già troppo”.
Purtroppo non posso portare a testimone l’On. XY (Sottosegretario all’Economia nel Governo Craxi) di queste sue parole che testualmente mi disse, in quanto è prematuramente deceduto non molto tempo fa, ma ne posso garantire l’autenticità.
Già, da allora il principale tra gli obbiettivi politici dei governanti italiani era quello di diminuire la spesa per la scuola, che ha prodotto lo sfascio di oggi.
In realtà gli obbiettivi che qualsiasi, ripeto qualsiasi, Governo si sia succeduto dal 1980 ad oggi ha tentato di perseguire sono stati
- diminuire la spesa;
- creare aree di autonomia dove il mondo cattolico e quello comunista potessero avere mano libera, sia dal punto di vista didattico che retributivo;
- livellare gli studenti tagliando le gambe alle eccellenze e garantendo il passaggio alla classe successiva, e quindi ai livelli superiori di istruzione non ai più meritevoli, come espressamente sancito dalla nostra Costituzione, ma a tutti coloro che provenissero dalla classe sociale “giusta”;
- prendere parte ad una spartizione di una torta colossale, in quanto l’Istruzione risulta a tutt’oggi la più grande azienda in Italia, con fatturato ben superiore a quello del gruppo Fiat, mediante la creazione di scuole private “di qualità”, a differenza di quanto le scuole private erano generalmente in Italia, vale a dire Scuole dove lo sfaticato figlio di papà poteva ottenere il famigerato e agognato “pezzo di carta”.
Sono del tutto noti i periodici tentativi in sede legislativa per ottenere contributi per la scuola privata.
Cioè i governanti che si sono succeduti in tutti questi anni hanno fatto questo ragionamento, che non so come mai ancora non sia riuscito ad essere attuato, vista il comportamento sinergico di destra e sinistra:
“A me Stato un alunno costa mediamente di tremila euro l’anno. Bene, io ne darò duemila sia alle Scuole Pubbliche che alle Scuole Private: sarà poi ciascuna Scuola a farsi dare il resto o sotto forma di rette da parte dei genitori o a darsi da fare per trovare sponsor che integrino la differenza.”
Cioè il medesimo sistema mondo Anglosassone ed in particolare del tanto vituperato sistema Statunitense.
Naturalmente questo sistema, per poter essere posto in essere ha bisogno di un presupposto: il totale sfascio della Scuola Pubblica.

Giorgio Israel ha detto...

SEGUE:

Questo totale sfascio si sta attuando in molti modi, ne cito esemplificativamente alcuni personalmente capitatimi o capitati a miei colleghi.
Classe 4° Geometri, Scrutini finali, anno 1997 o giù di lì.
Votazione della Studentessa come appare dal Tabellone : Religione Molto, Italiano 5, Storia 6, Diritto 6, Topografia 3, Costruzioni 3, Tecnologia delle Costruzioni 2, Estimo ed economia 3, Educazione Fisica 7.
Il Preside “Con questi voti questa ragazza DEVE ESSERE PROMOSSA.”
La viperina Collega di Costruzioni balza su chiedendo come il Preside ritenga possibile promuovere una studentessa con quei voti nelle Materie Professionali. Al che il Preside seccamente replica con queste testuali parole:
“ Professoressa, Lei non sa che al giorno d’oggi i cinque anni della Scuola Superiore non sono più professionalizzanti?”.
Appunto, non sono più professionalizzanti. Quindi è perfettamente lecito non studiare più i lirici greci al Classico, le derivate e gli integrali allo Scientifico, i verbi irregolari inglesi al Linguistico, la Topografia e le Costruzioni ai Geometri…..potranno essere organizzati dei “Progettino” fatti per venire incontro ai desideri degli studenti….un Corso di Nascondino, Teoria e pratica del Gioco della Moscacieca, Corso di specializzazione in Quattro Cantoni….
Tutto questo può sembrare una tetra barzelletta, ma ne garantisco l’autenticità.
Tempo mi telefona una mia collega delle Scuole Medie molto “su di giri”: si lamenta del fatto che la mattina era stata redarguita dal Preside perché, secondo lui, trattava gli alunni con “troppo distacco”……ragazzini appunto delle Medie, da 10 a tredici anni… e ci lamentiamo se gli alunni si rivolgono a certi insegnanti con le frasi riportate in questi giorni dai quotidiani????
Una volta i Presidi erano i Sacri Custodi del livello di insegnamento praticato nel loro Istituto.
Oggi sono semplicemente dei burocrati estenuati dalle lotte sindacali che il personale Docente e non Docente (e Presidi) intraprende per riuscire a spolparsi una miserrimo osso costituito dai fondi dei cosiddetti “Progetti” ma soprattutto sono diventati occhiuti controllori del “Successo Formativo”, vale a dire che il numero di bocciati sia il minore possibile, sia per motivi ideologici, sia, soprattutto, per motivi economici, visto l’aggravio per l’Erario dovuto al costo di un alunno bocciato che deve ripetere una classe.
Della Cultura, ai Presidi Italiani, non importa più niente.
Come ho detto, non svolgo più libera professione, per cui, anni fa, regalai tutta la mia biblioteca tecnica accumulata in vent’anni, circa dieci casse di libri, all’ Istituto dove allora insegnavo.
A seguito di una contrazione nelle iscrizioni, andai “in utilizzazione” in un altro Istituto.
Al mio ritorno nell’Istituto di titolarità vado in Biblioteca per cercare un testo, importante e raro, per fare una ricerca. Mi viene risposto che il Testo in questione, assieme alla maggioranza di tutti gli altri, era stato buttato alla spazzatura (sic) su ordine della Preside allora reggente, in quanto non essendovi posto in Biblioteca “non era giusto che i Professori facessero pulizia in casa loro portando a Scuola quello che non gli serviva più….” Anche in questo caso non è una barzelletta, questo è lo stato attuale della Scuola Italiana.
Quindi, quando lo stato di marcescenza attuale della scuola pubblica italiana sarà arrivato a compimento, il discorso che lo Stato Italiano farà ai genitori sarà più o meno questo “Behhh, Caro Genitore, da una scuola gratuita non ti aspetterai mica che tuo figlio riceva anche un’istruzione….ringrazia che viene tenuto a bada per tot ore la giorno e che così non va a rubare motorini o a spacciare…se vuoi che tuo figlio riceva anche un’istruzione iscrivilo ad una scuola privata…”
Cosa che del resto si sta già verificando nelle zone più ricche del nostro Paese.

Giorgio Israel ha detto...

SEGUE:


Tempo fa, ho riportato questo considerazioni ai miei alunni. Uno di essi mi ha risposto testualmente
“Si Professore! Io ho la villetta al mare a xx e vicino hanno la villetta molti miei amici milanesi che vengono d’estate….nessuno di loro frequenta una scuola pubblica….”
Io sono, per motivi personali, strettissimamente legato all’Inghilterra ed al mondo anglosassone, ma non per questo ritengo che debba essere importato, tout court, il loro sistema educativo, come hanno tentato di fare, fortunatamente senza riuscirci, i Ministri della Pubblica Istruzione che si sono succeduti almeno da 1994 ad oggi ed in particolare il Ministro Moratti.
Intendiamoci, ho la massima stima della Signora Moratti, ma la riforma da Lei proposta era quanto di più sbagliato si potesse proporre non solo per la Scuola Italiana, ma per l’intero mondo produttivo della nostra Nazione.
Qualche anno fa parlavo con un mio amico Inglese, già vicedirettore di una grande centrale elettrica nei pressi di Sheffield.
“Senti Antonello” mi dice, “mi devi spiegare una cosa che non ho mai capito.”
“Se posso”
“So da anni che tu insegni, ma non ho mai capito cosa.”
“Guarda, per farla breve insegno, assieme ai miei Colleghi, come si costruisce una casa, una strada, un acquedotto, in una Scuola Tecnica per Geometri (Surveyors, in inglese).”
“Quindi insegni all’Università.”
“No, in quella che voi chiamate una High School.”
“Davvero? E quanti anni hanno i tuoi studenti?”
“Da quattordici a diciotto, se sono bravi e non perdono anni.”
“Davvero? E si diventa Surveyors a diciotto anni in Italia? Che cosa interessante! Tu pensa che io volevo studiare materie tecniche da quando ero ragazzino e invece mi hanno costretto a studiare per cinque anni materie delle quali non mi importava niente….. sino a quando non sono andato a diciotto anni al College….questo vostro sistema dovrebbe essere importato qui da noi…”
“Peccato che siamo noi ad voler importare il vostro sistema…..”
Meno male che la Riforma, che del resto altro non era che una rivisitazione delle proposte dei precedenti Governi di Sinistra, era stata proposta dalla Sig. Moratti, e che l’odio di questo governo nei confronti di tutto ciò che aveva fatto il governo precedente l’ha fatta affossare…..

Giorgio Israel ha detto...

Il sistema produttivo Italiano si è infatti sempre basato su una classe di Tecnici Diplomati di altissimo livello, pari o superiore a quello di una Laurea breve conseguita in altre Nazioni, (a mio Padre il solo titolo di Geometra non gli ha impedito di diventare General Manager di una importante Impresa di Costruzioni all’estero) e su una Classe di Tecnici Laureati con una preparazione non specialistica ma anzi ad ampio spettro, cosa che personalmente mi avrebbe permesso di andare a lavorare da altre parti, che non ho fatto e che, con il senno di poi, non finisco di rimpiangere…
Veniamo adesso ad un altro dei tasti dolenti, i genitori, o perlomeno quello che rimane di essi….visto che ormai, nelle mie classi, ben oltre il 50% degli alunni ha situazioni familiari abbastanza difficili ed alcune volte addirittura tragiche.
I genitori tendono quindi a considerare la scuola di oggi come un baby-parking gratuito, che deve fornire inoltre ai loro pargoli l’educazione che loro non sono riusciti a dare, il tutto naturalmente senza causargli alcun trauma…..
Qualche settimana fa correggevo compiti nell’Aula Professori della mia Scuola.
Entra una madre esagitata.
“Sono la mamma dell’alunno XY (triripetente), sono stata convocata dal Coordinatore di Classe perché il bambino sembra abbia problemi……”.
Ripondo:
“Si Signora, XY è un mio alunno…...ma veramente……bambino…….così, ad occhio direi che è alto un metro e novantacinque….”
“No, ….due metri…..”
Anche qui non esagero, le parole esatte sono queste, una per una…..
Un altro mio alunno viene spinto dai genitori ad iscriversi all’Istituto Tecnico per Geometri.
Il poverino è completamente negato per il disegno, i disegni sembrano fatti con un pezzo di carbone e sono privi di qualsiasi rigore logico necessario nel disegno geometrico, i disegni a china, che faccio ancora eseguire perché questa generazione assolutamente incapace di qualsiasi attività manuale che non sia quella svolta dai pollici che smanettano sulla playstation acquisisca quel minimo di manualità che è assolutamente necessaria per svolgere qualsiasi professione tecnica, sembrano allagati da liquido nero.
Chiedo al mio alunno, in maniera scherzosa, se per caso con il disegno a china ci abbia avvolto delle seppie.
Dopo qualche giorno vengo affrontato dalla madre furibonda che mi intima di correggere i disegni del figlio in maniera politically correct…
Ahinoi….anche nelle scuole Coreane, Indiane., Cinesi….
Saluti

Antonello Ruscazio - Cagliari