lunedì 20 gennaio 2014

Mandela e il senso della storia

Penso che la saggistica postmoderna che addebita alla cultura occidentale “essenzialista” tutti i mali del mondo sia un prodotto ideologico deteriore. A tale categoria appartiene il celebre saggio “Orientalism” di Edward Said che riduce tutte le manifestazioni culturali dell’occidente a espressioni di una mitologia razzista che vede le culture “diverse” come un folklore “orientale” e, mette nel mirino soprattutto il sionismo visto come somma manifestazione di questo razzismo. Le generalizzazioni sfociano sempre nella più rozza intolleranza, ma il rigetto di quegli eccessi non può farci chiudere gli occhi di fronte alle manifestazioni di razzismo della cultura europea che racchiudono i germi delle tragedie del Novecento.
Lasciano esterrefatti i passaggi dedicati da Georg Wilhelm Friedrich Hegel all’Africa, che egli considerava come un continente privo di storia. Egli scriveva: «Nell’Africa vera e propria (l’Africa subsahariana) è la sensibilità il punto a cui l’uomo resta fermo: l’assoluta incapacità di evolversi. […] È il paese dell’oro, che resta concentrato in sé: il paese infantile, avviluppato nel nero colore della notte al di là del giorno della storia consapevole di sé. [...] 
 
In questa parte principale dell’Africa non può aver luogo storia vera e propria. Sono accidentalità, sorprese, che si susseguono. Non vi è un fine, uno stato, a cui si possa mirare: non vi è una soggettività, ma solo una serie di soggetti che si distruggono». E a proposito degli africani: «Nel caso dei negri, l’elemento caratteristico è dato proprio dal fatto che la loro coscienza non è ancora giunta a intuire una qualsiasi oggettività – come, per esempio, Dio, la legge: mediante tale oggettività l’uomo se ne starebbe con la propria volontà e intuirebbe la propria essenza. Nella sua unità indistinta, compressa, l’africano non è ancora giunto alla distinzione fra se stesso considerato ora come individuo ora come universalità essenziale, onde gli manca qualsiasi nozione di un’essenza assoluta, diversa e superiore rispetto all’esistenza individuale. […] il negro incarna l’uomo allo stato di natura in tutta in tutta la sua selvatichezza e sfrenatezza. Se vogliamo farci di lui un’idea corretta, dobbiamo fare astrazione da qualsiasi nozione di rispetto, di morale, da tutto ciò che va sotto il nome di sentimento: in questo carattere non possiamo trovare nulla che contenga anche soltanto un’eco di umanità».
È anche ben nota la lettera in cui Hegel raccontava le sue impressioni di fronte a Napoleone che entrava a cavallo in Jena alla testa delle truppe francesi vittoriose: «Ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – cavalcare attraverso la città per andare in ricognizione: è davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su di un cavallo, abbraccia il mondo e lo domina».
Sarebbe interessante chiedere a Hegel redivivo quali sentimenti desta la fotografia di Nelson Mandela che stringe la mano al capitano degli Springboks, la squadra di rugby sudafricana, che era uno dei simboli dell’apartheid, mentre ne indossava egli stesso la maglia. Forse è un’immagine meno pomposa di un uomo a cavallo. Ma non è una straordinaria espressione dell’anima del mondo, di un mondo che vuole rompere le barriere dell’odio con un atto di suprema generosità? Non diremmo che in quella persona e in quel luogo africano si è avuta una delle massime manifestazioni della storia? Altro che continente e uomini senza storia! È piuttosto il nostro continente a essersi svuotato di storia, prima per aver coltivato i miti dell’igiene razziale e sociale, e ora per l’incapacità di vivere grandi sentimenti e ideali e per la miseria di credere che sia possibile sopravvivere appesi ad aride manipolazioni tecnocratiche. Oggi il Sudafrica è un paese attraversato da terribili contraddizioni che potrebbero far fallire il progetto di Nelson Mandela, ma gli resta lo spirito impresso dal suo messaggio e cioè una voglia fortissima di andare avanti e costruire, qualcosa di cui le nostre stanche società sono sempre più povere.
Il rischio della retorica è sempre in agguato e v’è chi ha messo in guardia contro di esso in questi tempi di commemorazione della figura di Mandela, ma questo non può essere un pretesto per sminuirne la grandezza in tempi così poveri di ideali e della loro realizzazione. L’esempio concreto dell’abbattimento di barriere di odio che erano state consolidate per tanto tempo in modo implacabile non può non essere a cuore di chi, come gli ebrei, è stato vittima per eccellenza dell’odio razziale. Fa piacere leggere l’analisi documentata con cui si è mostrato che il famoso parallelismo tra palestinesi e neri sudafricani non è stato mai pronunciato da Mandela, ma anche se egli avesse commesso questa scivolata il giudizio su di lui non sarebbe potuto essere diverso e una presenza ai massimi livelli del governo israeliano ai funerali sarebbe stata una scelta giusta. Sappiamo bene che il parallelismo tra la condizione palestinese e l’apartheid ha attecchito, soprattutto in parecchie università sudafricane (pur con significative prese di distanza), ma questo è un motivo di più per combattere senza quartiere la propaganda che tenta di alimentare l’odio e le divisioni. Una persona mi ha scritto chiedendosi perché non vi sia un Mandela nel mondo arabo. In verità, vi è stato, nella persona del presidente egiziano Sadat, e si sa quale ne fu la sorte. Si sa anche quale fu la risposta da parte israeliana, a dimostrazione che il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele è la chiave che apre tutte le porte. È un esempio che andrebbe ricordato continuamente per far capire quanto sia sbagliato ogni paragone con l’apartheid e quanto sarebbe facile aprire le porte della pace. Tanto quanto è difficile che nasca un Mandela dove manca un autentico senso della storia.

(Shalom, gennaio 2014)

2 commenti:

Associazione Milanese Pro Israele ha detto...

Sia Mandela nell'ANC che Sadat in Egitto hanno dovuto condurre una battaglia all'interno dei loro popoli prima di proporre una pacificazione al cosiddetto nemico.

Angus Walters ha detto...

Caro Professore,

Condivido appieno la Sua critica della filosofia hegeliana, che ha avvelenato la maggior parte del pensiero occidentale e della cosiddetta intelligentsia odierna. I Sadat e i Mandela sono rari esempi di splendore che illumina le menti degli uomini di buona volonta'.

Grazie dell'intervento!

Angus Walters