Nel luogo dove vado di solito in vacanza c’è una discarica a pochissima distanza da alcuni tra i più celebrati luoghi delle Dolomiti altoatesine. Di certo non è meta di escursioni ma non ho mai sentito nessuno, né residenti né turisti, che se ne lamentasse. È proprio delle persone ragionevoli capire che, se pretendono di vivere, devono trovare il modo di convivere con le proprie scorie. L’importante è farlo in modo civile e dignitoso e, di certo, la Provincia di Bolzano avrà difetti, ma non quello di non saper gestire in modo esemplare l’ambiente. È comprensibile che gli abitanti della Campania desiderino che le loro discariche siano simili a quella sopra menzionata, ma non che rifiutino di averne, tantomeno erigendo barricate e lanciando molotov. Né sarebbe ragionevole che le forze dell’ordine rispondessero alle barricate e alle molotov distribuendo copie della costituzione o istituendo corsi di convivenza civile e di diritto.
E allora che direste del progetto di rispondere al bullismo scolastico con dei corsi di educazione civica o convivenza civile? Alla fin fine, chi si oppone a una discarica nel proprio territorio ha pur sempre qualche motivazione – se non lo fa con violenza e con fini e modalità eversivi – come la richiesta che la discarica non inquini le falde acquifere. Ditemi quale può essere la motivazione di un branco di bulli che marchia il primo della classe con una moneta incandescente, brucia a un altro i capelli e gli incide in faccia una svastica o mette in mutande il professore. Può esistere la più lontana giustificazione di atti simili? E qualcuno crede davvero che chi li compie non sia consapevole di fare del male? Si tratta invece di persone capaci di intendere e di volere cui bisognerebbe rispondere in un solo modo: con l’applicazione più severa e intransigente dei regolamenti scolastici e della legge. Assistiamo invece in questi giorni a un fiorire di proposte di corsi di educazione civica e addirittura alla riproposizione di corsi zapateristi di “educazione alla convivenza civile”, magari da parte di cattolici che, con coerenza degna di miglior causa, hanno condannato un istante prima il laicismo dei corsi di “educación para la ciudadanía”.
Insomma, rispunta fuori la solita demagogia del “disagio sociale”, della risposta “educativa” e “dialogante”, il rifiuto della “repressione”; dimenticando che è proprio questa demagogia e la melassa donmilanista che ha condotto la scuola allo sfacelo, al “disagio sociale”, al crollo delle regole elementari della “convivenza civile”, alla cancellazione dei principi etici elementari.
Ma c’è qualcosa di più grave al fondo del riproporsi ostinato dei medesimi errori. Da qualche tempo dilaga la consapevolezza che occorre cambiare registro in modo radicale per salvare – se ancora è possibile – la scuola. Pochi giorni fa Pietro Citati su “La Repubblica” ha paragonato a un «vero, immane disastro, paragonabile a un terremoto del decimo grado della scala Mercalli» l’opera dell’ex-ministro Luigi Berlinguer «circondato da una schiera di pedagogisti», che ha trasformato l’istruzione nel «regno dell’immensa faciloneria governata da un sovrano idiota». A sua volta, Francesco Alberoni, ha denunciato «i catastrofici errori dei pedagogisti consulenti dei ministri che hanno influenzato tutte le riforme scolastiche degli ultimi anni… veri responsabili della ignoranza dei nostri figli, della loro incapacità di pensare logicamente, di argomentare», ammonendo che solo «se ci liberiamo di questa pedagogia potremo avere di nuovo una scuola adatta ai nuovi difficili tempi». Chi conosce un minimo il mondo della scuola e l’umore delle famiglie sa quanto questa consapevolezza e questi sentimenti siano sempre più diffusi e il malcontento nei confronti dei pedagogisti sia dilagante.
Di fronte a questo malcontento e a queste polemiche gli interessati tacciono, pronti però a rispuntare dai corridoi ministeriali o sindacali in cui si sono rintanati in attesa di tempi migliori. Ed ecco che viene fuori il pedagogista di turno a proporre l’istituzione di corsi di educazione civica, con relativi docenti, lamentando che il ministero non abbia concesso “autonomia” a questa disciplina. Insomma, una nuova greppia, con nuove cattedre, nuove ore di lezioni, nuovi docenti e nuove assunzioni. Anche Giorgio De Rienzo ha parlato di «impiego di esperti esterni» addirittura con obbiettivi locali, per esempio – torniamo daccapo – il problema dei rifiuti campani. E il presidente dell’Associazione dei Presidi Rembado si è sostanzialmente lavato le mani del problema dichiarando che va bene anche l’educazione civica, purché non si tocchi l’autonomia scolastica e non si torni ai programmi ministeriali.
Cominciamo, anzi ricominciamo male, malissimo. Forse bisognerebbe prendere atto che sono in tantissimi a non poterne più proprio degli “esperti esterni”, degli specialisti di etica e di morale e depositari della corretta interpretazione dei dieci comandamenti, di coloro che sanno tutto di “affettività” e insegnano come ci si vuol bene, come si deve convivere e avere rapporti amorosi, che sanno tutto della psiche umana e sono specialisti di fabbricazione di “teste fatte bene”. Delle catastrofiche prestazioni delle loro scienze sembra che non siano tenuti a render conto a nessuno, malgrado siano sotto gli occhi di tutti. Possiedono però una capacità indiscussa: quella di rispuntar fuori da ogni angolo a dispetto di ogni insuccesso.
Cosa fare? Invece di progettare l’ennesimo sperpero di denaro pubblico in task force di “esperti esterni” di metodologie del nulla, capaci soltanto di affossare ulteriormente la scuola, occorre restituire agli insegnanti la funzione di autentici maestri ed educatori (con annessi diritti e doveri), richiamare energicamente le famiglie a esercitare la funzione educativa primaria che ad esse compete e a comportarsi responsabilmente nei confronti dell’istituzione scolastica, il tutto in una cornice di ripristino rigoroso delle regole, dei regolamenti e del rispetto delle leggi vigenti. Fino a quando sarà possibile che lo schiaffeggiatore di un docente, sospeso per tre mesi, possa trasferirsi in un altro istituto per non perdere l’anno, sarà ridicolo parlare di task force di educatori civici, e semplicemente vergognoso trincerarsi dietro l’autonomia scolastica.
(Libero, 28 maggio 2008)
13 commenti:
In una scuola in cui ho insegnato - per fortuna - solo pochi anni, se un insegnante metteva una nota ad uno studente, lo studente aveva il diritto di scrivere sul registro una sua contro-deduzione. Non so se questo sia un regolamento nazionale o un eccesso di garantismo di quella scuola.
Ma anche il solo uso di termini quale "dialogo educativo" mette in evidenza il completo rifiuto di ogni autorità costituita, e di ogni "differenza".
Naturalmente i fautori di queste metodiche "egualitariste", quando gli si fa presente il livello cui si è arrivati, rispondono che è per via della società che è cambiata, come se la scuola non fosse parte, e consistente, della società!
Ma penso che, al di là delle riforme che possono calare dall'alto, la scuola si risolleverà solo quando il corpo docente si sveglierà dall'attuale "sonno dogmatico" (o di comodo) in cui la maggior parte dei suoi componenti è sprofondata.
Giovanni Corbelli
Parto dalla questione Educazione civica. Facendo riferimento alla mia esperienza di madre di tre figlie posso dire che si tratta di un insegnamento già previsto nella scuola. I genitori solerti, o ingenui, si disturbano ad acquistare il libro di testo che rimane immacolato, mai aperto perché in verità questa disciplina non viene studiata, e questo non è bene. Ciò non vuol dire che gli atti di bullismo derivano dal mancato studio di questa materia, si tratta infatti di veri e propri atti di delinquenza e la delinquenza non è conseguenza dell’ignoranza bensì di una coscienza morale deviata e dalla certezza dell’impunità .
Per quanto riguarda la questione del ripristino rigoroso delle regole, dei regolamenti e del rispetto delle leggi vigenti, questa è, a mio parere, il vero punto debole, la vera tragedia della nostra società che si porta dietro tutte gli altri problemi. E’ da un po’ di anni che viene sistematicamente effettuata un’azione educativa volta ad insegnare quanto sia inutile, non conveniente, svantaggioso rispettare le regole, e gli strumenti utilizzati a tal fine sono stati la mancata applicazione delle sanzioni (per motivazioni varie tra cui anche meccanismi perversi previsti per legge) e l’istituzione delle sanatorie. A questa tragedia si è pensato di porre rimedio inasprendo le sanzioni o istituendo nuove regole che ovviamente non hanno risolto nulla se non mortificare l’intelligenza. Questa situazione coinvolge tutti: dal cittadino che non si preoccupa di pulire il marciapiedi sporcato dal suo cane, a quello che evade le tasse o a colui che non svolge con diligenza il proprio lavoro fino allo studente che brucia i capelli al compagno per divertirsi. Si tratta evidentemente di azioni che hanno un peso diverso, molto diverso, ma rientrano nel quadro della più totale strafottenza, indifferenza, disinteresse nei confronti degli altri, della propria città, del proprio lavoro, e forse (non vorrei dire una parola grossa) anche della vita.
Quindi dire più propriamente che la soluzione al problema è applicare le leggi, tutte, ed applicarle fino in fondo!
Che dire? Sacrosanto dalla prima all'ultima parola.
Il fenomeno dal "bullismo" a scuola è generato, secondo me, dalla mancanza del rispetto dovuto all' adulto. Se non si ricostruisce l' antica (stavo per dire ancestrale) cultura per cui debbo riconoscere la maggiore esperienza di colui che ha più anni anni di me, non possiamo in alcun modo combattere contro l' egoismo e il narcisismo che infestano le aule scolastiche prima, e le comunità poi.
E' evidente che si debba cominciare dalle classi della scuole per l' infanzia e delle elementari perché si diffonda il rispetto dell' anziano. Voglio dire che il rispetto della figura dell' insegnante non può nascere spontaneamente. deve essere la conseguenza di una cultura diffusa di sottomissione e obbedienza alle prime persone adulte della nostra esperienza : i genitori.
Ma tutto questo renderebbe evidente a tutti che i primi pedagogisti non possono che essere gli insegnanti. Gianfranco Massi
Chi ha autorità deve meritarsi il rispetto di chi è suo sottoposto ossia deve avere autorevolezza. Purtroppo nella gran parte dei casi non è così, spesso chi dovrebbe avere autorità non se ne dimostra degno o non è in grado di gestirla. Certo alcune volte la normativa non aiuta, ma spesso è proprio mancanza di coraggio delle proprie azioni, di avere le idee chiare su cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Forse un tempo questa autorevolezza era presunta, non era necessario dimostrarla, oggi devi dimostrarla, altrimenti non hai speranza di avere il rispetto di tuo figlio, del tuo alunno o del tuo impiegato. In questi casi spesso si gioca la carta di riserva del tipo “il genitore amico” ed allora è la fine. L’amicizia è un sentimento, una relazione che presuppone reciprocità, ed invece in questi casi, mentre il genitore si sforza di fare l’”amico”, magari scoprendo tutte le sue carte, il figlio continua a fare il figlio, nascondendole attentamente. Idem per il rapporto professore alunno.
A questo proposito si potrebbe parlare anche del perché oggigiorno l’autorevolezza deve essere dimostrata ma mi pare che il discorso si allarga un po’ troppo. Ho preferito scrivere solo questo commento che comunque credo contenga cose che in verità sappiamo già tutti.
Professor Israel, sottoscrivo quanto da lei espresso nel suo articolo.
Sono poi anche sostanzialmente d'accordo con Gianfranco Massi, con una chiosa: occorre insegnare il rispetto verso il prossimo a prescindere, indipendentemente dall'età. Naturalmente, nel tempo, l'individuo deve dimostrare di meritarsi il rispetto: il semplice fatto di essere anziano, per come la penso io, non è condizione sufficiente a godere del rispetto altrui.
Su come fronteggiare la piaga del bullismo, poi, io non sono un insegnante, tuttavia credo che il succo della sostanza sia il seguente.
Dato per assodato che il prepotente si comporta in un determinato modo perché non gli sono state impartite (in primis dai genitori) le basi del rispetto verso chi lo circonda, punire costui (o cercare di istruirlo al rispetto dell'altrui persona attraverso blande lezioni teoriche) è a mio avviso un modo di agire ex-post che lascia abbastanza il tempo che trova perché si concentra sull'effetto invece che sulla causa.
E soprattutto non è di aiuto, se non nell'immediato per il caso specifico, a chi subisce il sopruso.
E' mia convinzione, invece, che sia opportuno cominciare a prendere provvedimenti alla fonte.
Il bullismo attecchisce perché trova terreno fertile, ossia individui che hanno scarsa o nulla autostima e subiscono numerose angherie perché incapaci di reagire.
Io ritengo che potrebbe essere molto utile istituire fin dalla scuola primaria, o magari già dall'asilo, dei corsi di Autodifesa verso i soprusi psicologici prima ancora che fisici, naturalmente con i tempi ed i modi richiesti da ciascuna fascia di età.
Oltre all'applicazione puntuale ai casi di aggressione, sul lungo tempo hanno il vantaggio di accrescere l'autostima e la fiducia in se stessi.
Naturalmente l'idea è solo abbozzata, ma credo che varrebbe la pena se qualche educatore la prendesse seriamente in considerazione.
Ma tanto il ministro ha già dichiarato che vuole fare la task force contro il bullismo, i corsi di educazione civica e di educazione stradale. E che la scuola è andata a male a causa delle contrapposizioni ideologiche... Cominciamo male.
Cosa ci si può aspettare da una società (la scuola ne è figlia) che elegge come propri rappresentanti un consistente manipolo di delinquenti da oltre quarant'anni?
Quale moralità possono insegnare questi individui?
Quali esempi possono ricevere i nostri figli da situazioni del genere?
Sembra il classico caso della chiusura della stalla dopo la fuga dei buoi..
Professore, nel leggere i suoi commenti contro i "pedagogisti" e i "consulenti esterni" mi vengono in mente storie (surreali ma con un fondo di verità) su quei "consulenti" profumatamente pagati che entrano nelle aziende e spiegano loro come devono fare per guadagnare...
Cose tipo "ah ma io sono pagato per spiegarti il metodo XXX, non ti assicuro che funzioni e che sia adatto alla tua azienda..."
ho da poco finito di ascoltare l'intervento della ministra al programma 8 e mezzo. Non mi ha convinto! Non ho trovato nulla di interessante ed incisivo nel suo discorso e per di più porta avanti ancora una volta la questione della "formazione permanente". Non so cosa ne pensiate voi, a mio parere è solo un espediente ben congegnato per buttare via denaro publico. Inoltre, se non ho capito male, a parere della minisra questo dovrebbe essere il mezzo per educare e raddrizzare i docenti lavativi e fannulloni (un po come l'educazione civica per combattere il bullismo)
ho riascoltato con calma l'intervista (ormai on line) ed effettivamente avevo capito male riguardo all'ultimo punto del mio commento. La ministra non propone la formazione permanente come espediente per recuperare i fannulloni.
Comunque resta confermato il mio giudizio sulla formazione permanente.
Resta il fatto che anche a me l'intervista è sembrata "moscia" in particolare su due punti: l'eccessivo buonismo e l'eccessiva condiscendenza nei confronti dei sindacati (è qualcosa che può condurre un ministro alla distruzione, come prova il passato) e la sintomatica situazione dell'ex-ministro Berlinguer, che continua ad occupare una parte del ministero con le sue commissioni, e a cui il ministro si è riferita chiamandolo "il ministro Berlinguer" _ come peraltro viene comunemente chiamato nel ministero... - un lapsus purtroppo molto negativo.
Concordo pienamente con il post e con alcuni commenti che ho letto.
Come lavoratore della scuola pubblica e genitore, non posso che confermare lo stato di degrado in cui versa la scuola italiana in generale e quella Media inferiore in particolare.
Forse nel post e nei commenti manca solo una considerazione: i casi di bullismo non nascono dal nulla, non colpiscono come un fulmine a ciel sereno.
Di norma gli insegnanti sanno, ma fanno finta di non vedere, quando va bene.
Tendono a premiare il furbo, lo scansafatiche e il bullo, per evitare la fatica di insegnare e per non prendersi le responsabilità previste dal ruolo che (di solito immeritatamente) rivestono.
Di conseguenza i nostri istituti scolastici finiscono per avere una funzione anti-educativa, che poi si paga a tutti i livelli, anche se nessuno o quasi, sembra accorgersene.
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