lasciamo a Giavazzi il beneficio dell'entusiasmo...
Sulla questione valutazione Lei tocca punti fondamentali e quanto si è visto negli ultimi anni varia effettivamente dal comico ad esempi tutto sommato apprezzabili, come quello della valutazione del sistema della ricerca operato dal CIVR.
Con tutti i suoi limiti e pecche fu un esempio positivo, quanto meno per l'impegno profuso da chi doveva "valutare" e per il tentativo di stabilire un metodo accettabile.
Personalmente, pur considerandolo, ripeto, di molto migliorabile, lo considero anche l'unico esempio positivo (e accettabile) di valutazione che abbia mai visto per il sistema della ricerca.
Che occorra valutare, dopo decenni di non valutazione, è peraltro oramai più che necessario, un imperativo per la scuola e l'Università. Certo non è facile e ogni disciplna, e vorrei dire quasi quasi ogni caso, ha la sua specificità. Ma occorre farlo e quindi discutiamone.
Per finire: che la nuova ministro stia "stando zitta" mi fa solo che piacere. Lo interpreto pensando sia una persona seria. Speriamo sappia scegliersi persone altrettanto serie come consiglieri, dato che non potrà certo fare tutto da sola
Giavazzi non è bambino e quindi non ha il beneficio dell'entusiasmo. I metodi cialtroneschi nella valutazione sono molto più diffusi di quelli seri e accettabili. Il guaio è un altro e consiste nella pretesa ossessiva di voler fare valutazioni quantitative mediante griglie di parametri e di voler quantificare cose che non sono quantificabili. Si possono benissimo ideare dei sistemi di valutazione qualitativa efficaci e molto più seri di quelli quantitativi, e oltretutto trasparenti, a differenza di quelli basate su formulette e modelli ideati da gente che non si sa perché gode del beneficio della scientificità. Valutare è un imperativo, ma farlo in modo improbabile non lo è. Dopo trent'anni che studio i problemi della quantificazione e matematizzazione delle scienze sociali, considero degli autentici cialtroni - degni della valutazione più severa - coloro che parlano di "misurazione della conoscenza" o "misurazione delle competenze". Non giochiamo con la dinamite, per favore, mettendoci nelle mani dei ciarlatani. La "dittatura degli esperti", come l'ha ben definita un servizio sul Foglio. E quanto alle metodologie del Civr legga i due articoli di oggi sul Foglio (accanto al mio): "valutano" in modo opposto queste metodologie. Il che dice che quantomeno la questione è opinabile.
Ottimo post. Ma, in un mio commento che mi permetto di segnalare (http://lafavilla.blogspot.com/), propongo di non tentare di ideare "sistemi di valutazione qualitativa efficaci", dato che ne esiste già uno perfetto: il mercato. Quindi, niente riforma della scuola senza abolizione del valore legale e liberalizzazione del sistema.
Mi dispiace, ma non sono d'accordo per niente sul mercato. Ho scritto non so quanto per spiegare che la scuola non è supermercato né un servizio e ho dato esempi di ogni tipo per spiegare che le valutazioni effettuate con criteri di mercato sono autentiche cialtronate. La customer satisfaction è un criterio pessimo per la scuola che premia coloro che promuovono tutti e penalizza il rigore. Ogni cosa al suo posto. Il mercato va bene per tante cose, ma non per l'istruzione, la cultura e la ricerca scientifica dove produce risultati a dir poco disastrosi.
Caro professore, immaginavo che non fosse d'accordo e per questo ho pensato di lasciare il commento. In sintesi, penso si possa dire che lei crede che l'istruzione sia un "bene pubblico" (in senso economico), che quindi esula dalla logica del mercato, mentre io (sulla scorta del pensiero liberista o "libertario") no. Il discorso sarebbe lungo: faccio solo notare un paio di punti. Il primo è che il cliché della "scuola privata promuovi-tutti" è vero solo perché le attuali scuole private sono "in concorrenza" (sleale) con un sistema scolastico statalizzato (quindi fuori mercato) e non possono realmente competere. Un sistema interamente privatizzato vedrebbe diverse scuole di diversi livelli, compreso l'eccellenza, tutte competitive (in modo simile a quanto accade negli Stati Uniti). Il secondo è che io non propongo "valutazioni effettuate con criteri di mercato" ma una valutazione di mercato tout court: la distinzione è forse sottile, ma c'è. Grazie per l'attenzione e complimenti per l'ottimo lavoro sul blog e su Il Foglio (e sul libro La mano invisibile, per cui colgo l'occasione di complimentarmi).
La ringrazio dei gentili complimenti. Troverà molte considerazioni nei miei articoli e nel mio ultimo libro su un tema che non può essere esaurito nel commenti di un blog. Attenzione però a non nutrirsi di luoghi comuni. La scuola americana non è proprio un buon esempio perché è mediamente pessima. Quella privata, anche ai livelli di "eccellenza" non è preferibile a quella italiana. Infatti, negli Usa sono consapevoli del problema e, guarda caso, le cose vanno meglio negli stati che hanno introdotto programmi di stile "classico", rigidi, uniformi e lontani da un approccio liberistico. Ho citato un lungo articolo del Wall Street Journal che critica a fondo il mito della concorrenza come panacea. A riprova il sistema francese, rigidamente centralistico come pochi è stato fino a poco tempo fa uno dei migliori del mondo fino a che il pedagogismo progressista non ha iniziato a farlo a pezzi... Attenzione, perché sono oggi gli statalisti (in Italia) a difendere il mercatismo nella scuola! Provi a chiedersi perché...
Caro professore, leggerò volentieri il suo ultimo libro. Ma vorrei chiarire fin da subito che sono molto d'accordo con quasi tutte le sue tesi (per esempio quelle di Liberarsi dai demoni) e in particolare con la sua analisi dello sfascio della scuola non solo italiana (a questo proposito sono interessanti anche gli interventi di Lucio Russo, che lei ovviamente conosce). Sono anche un sostenitore dei programmi "classici", rigidi e anche duri (per dirla con lo slogan del Ministro Gelmini, "poesie e tabelline a memoria"), ma penso che un sistema di scuole privato sia il mezzo migliore per garantire la serietà del programma. Liberalizzare la scuola non significa distruggere i programmi: è la stessa differenza che esiste fra libertà e libertinaggio! I casi americano e francese andrebbero lungamente discussi, ma non è il luogo (e non ne avrei forse le capacità). Intanto grazie delle risposte e buon lavoro.
La scuola pubblica italiana è già in situazione di mercato dove, a causa del calo demografico, i diversi istituti - ora non più diretti ma "amministrati" - si contendono la scarsa "merce" umana, però spessissimo con una gara al ribasso, o con "offerte formative" allettanti e talvolta così fantasiose e "variegate" da far invidia al repertorio dei gusti di una gelateria. Sicuramente o si ristabiliscono standard nazionali di apprendimento, da verificare con controlli incrociati, ad esempio con diversi esami con commissari esterni, oppure tanto vale abolire il valore legale del titolo di studio.
9 commenti:
estenderei il consiglio all'intera popolazione italica
caro Professore,
lasciamo a Giavazzi il beneficio dell'entusiasmo...
Sulla questione valutazione Lei tocca punti fondamentali e quanto si è visto negli ultimi anni varia effettivamente dal comico ad esempi tutto sommato apprezzabili, come quello della valutazione del sistema della ricerca operato dal CIVR.
Con tutti i suoi limiti e pecche fu un esempio positivo, quanto meno per l'impegno profuso da chi doveva "valutare" e per il tentativo di stabilire un metodo accettabile.
Personalmente, pur considerandolo, ripeto, di molto migliorabile, lo considero anche l'unico esempio positivo (e accettabile) di valutazione che abbia mai visto per il sistema della ricerca.
Che occorra valutare, dopo decenni di non valutazione, è peraltro oramai più che necessario, un imperativo per la scuola e l'Università. Certo non è facile e ogni disciplna, e vorrei dire quasi quasi ogni caso, ha la sua specificità. Ma occorre farlo e quindi discutiamone.
Per finire: che la nuova ministro stia "stando zitta" mi fa solo che piacere. Lo interpreto pensando sia una persona seria. Speriamo sappia scegliersi persone altrettanto serie come consiglieri, dato che non potrà certo fare tutto da sola
grazie per l'ospitalità
Giavazzi non è bambino e quindi non ha il beneficio dell'entusiasmo.
I metodi cialtroneschi nella valutazione sono molto più diffusi di quelli seri e accettabili. Il guaio è un altro e consiste nella pretesa ossessiva di voler fare valutazioni quantitative mediante griglie di parametri e di voler quantificare cose che non sono quantificabili. Si possono benissimo ideare dei sistemi di valutazione qualitativa efficaci e molto più seri di quelli quantitativi, e oltretutto trasparenti, a differenza di quelli basate su formulette e modelli ideati da gente che non si sa perché gode del beneficio della scientificità.
Valutare è un imperativo, ma farlo in modo improbabile non lo è.
Dopo trent'anni che studio i problemi della quantificazione e matematizzazione delle scienze sociali, considero degli autentici cialtroni - degni della valutazione più severa - coloro che parlano di "misurazione della conoscenza" o "misurazione delle competenze".
Non giochiamo con la dinamite, per favore, mettendoci nelle mani dei ciarlatani. La "dittatura degli esperti", come l'ha ben definita un servizio sul Foglio.
E quanto alle metodologie del Civr legga i due articoli di oggi sul Foglio (accanto al mio): "valutano" in modo opposto queste metodologie. Il che dice che quantomeno la questione è opinabile.
Ottimo post. Ma, in un mio commento che mi permetto di segnalare (http://lafavilla.blogspot.com/), propongo di non tentare di ideare "sistemi di valutazione qualitativa efficaci", dato che ne esiste già uno perfetto: il mercato. Quindi, niente riforma della scuola senza abolizione del valore legale e liberalizzazione del sistema.
Mi dispiace, ma non sono d'accordo per niente sul mercato. Ho scritto non so quanto per spiegare che la scuola non è supermercato né un servizio e ho dato esempi di ogni tipo per spiegare che le valutazioni effettuate con criteri di mercato sono autentiche cialtronate. La customer satisfaction è un criterio pessimo per la scuola che premia coloro che promuovono tutti e penalizza il rigore. Ogni cosa al suo posto. Il mercato va bene per tante cose, ma non per l'istruzione, la cultura e la ricerca scientifica dove produce risultati a dir poco disastrosi.
Caro professore, immaginavo che non fosse d'accordo e per questo ho pensato di lasciare il commento. In sintesi, penso si possa dire che lei crede che l'istruzione sia un "bene pubblico" (in senso economico), che quindi esula dalla logica del mercato, mentre io (sulla scorta del pensiero liberista o "libertario") no. Il discorso sarebbe lungo: faccio solo notare un paio di punti. Il primo è che il cliché della "scuola privata promuovi-tutti" è vero solo perché le attuali scuole private sono "in concorrenza" (sleale) con un sistema scolastico statalizzato (quindi fuori mercato) e non possono realmente competere. Un sistema interamente privatizzato vedrebbe diverse scuole di diversi livelli, compreso l'eccellenza, tutte competitive (in modo simile a quanto accade negli Stati Uniti). Il secondo è che io non propongo "valutazioni effettuate con criteri di mercato" ma una valutazione di mercato tout court: la distinzione è forse sottile, ma c'è.
Grazie per l'attenzione e complimenti per l'ottimo lavoro sul blog e su Il Foglio (e sul libro La mano invisibile, per cui colgo l'occasione di complimentarmi).
La ringrazio dei gentili complimenti. Troverà molte considerazioni nei miei articoli e nel mio ultimo libro su un tema che non può essere esaurito nel commenti di un blog. Attenzione però a non nutrirsi di luoghi comuni. La scuola americana non è proprio un buon esempio perché è mediamente pessima. Quella privata, anche ai livelli di "eccellenza" non è preferibile a quella italiana. Infatti, negli Usa sono consapevoli del problema e, guarda caso, le cose vanno meglio negli stati che hanno introdotto programmi di stile "classico", rigidi, uniformi e lontani da un approccio liberistico. Ho citato un lungo articolo del Wall Street Journal che critica a fondo il mito della concorrenza come panacea. A riprova il sistema francese, rigidamente centralistico come pochi è stato fino a poco tempo fa uno dei migliori del mondo fino a che il pedagogismo progressista non ha iniziato a farlo a pezzi... Attenzione, perché sono oggi gli statalisti (in Italia) a difendere il mercatismo nella scuola! Provi a chiedersi perché...
Caro professore, leggerò volentieri il suo ultimo libro. Ma vorrei chiarire fin da subito che sono molto d'accordo con quasi tutte le sue tesi (per esempio quelle di Liberarsi dai demoni) e in particolare con la sua analisi dello sfascio della scuola non solo italiana (a questo proposito sono interessanti anche gli interventi di Lucio Russo, che lei ovviamente conosce). Sono anche un sostenitore dei programmi "classici", rigidi e anche duri (per dirla con lo slogan del Ministro Gelmini, "poesie e tabelline a memoria"), ma penso che un sistema di scuole privato sia il mezzo migliore per garantire la serietà del programma. Liberalizzare la scuola non significa distruggere i programmi: è la stessa differenza che esiste fra libertà e libertinaggio! I casi americano e francese andrebbero lungamente discussi, ma non è il luogo (e non ne avrei forse le capacità). Intanto grazie delle risposte e buon lavoro.
La scuola pubblica italiana è già in situazione di mercato dove, a causa del calo demografico, i diversi istituti - ora non più diretti ma "amministrati" - si contendono la scarsa "merce" umana, però spessissimo con una gara al ribasso, o con "offerte formative" allettanti e talvolta così fantasiose e "variegate" da far invidia al repertorio dei gusti di una gelateria.
Sicuramente o si ristabiliscono standard nazionali di apprendimento, da verificare con controlli incrociati, ad esempio con diversi esami con commissari esterni, oppure tanto vale abolire il valore legale del titolo di studio.
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