Rileggendo le varie Indicazioni nazionali per l’istruzione che si sono succedute in questi anni viene alla mente quella bibbia della composizione letteraria classica che è stata l’“Arte poetica” di Nicolas Boileau. Malgrado il discredito in cui avevano cercato di gettarla i romantici, ancora nel 1946 André Gide scriveva: «Quei saggi precetti di Boileau, che ci facevano imparare a memoria, in cui la tradizione classica veniva cristallizzata in versi alessandrini, sarebbe interessante riprenderli uno dopo l’altro». In particolare, vengono alla mente i versi: «Prima di scrivere apprendete a pensare. Secondo che la nostra idea sia più o meno oscura, l’espressione la segue, o meno netta, o più pura. Quel è ben concepito si enuncia chiaramente e le parole per dirlo vengono facilmente».
Proprio quel che non accade con le Indicazioni nazionali fin qui propinate, in cui abbondano, per dirla con Boileau, «pensieri oscuri avvolti da una nube spessa» che «la luce della ragione non saprebbe penetrare». Ora si prescriveva di sviluppare l’«approccio senso-percettivo all’ambiente circostante» e di «costruire le proprie geografie». Ora si sentenziava nientedimeno che «la costruzione del pensiero matematico è un processo lungo e progressivo nel quale concetti, abilità, competenze e atteggiamenti [sic] vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e sviluppati a più riprese». Si indicavano obbiettivi tanto generali da essere vuoti e lapalissiani: «usare le conoscenze e le abilità per orientarsi nella complessità del presente», «esercitare la riflessione critica sulle diverse forme del sapere».
Pochi leggono questi testi e invece è istruttivo farlo. Essi dicono come la scuola si sia allontanata dal senso comune e dal buon senso, ma anche dal linguaggio della cultura, che tale è solo se è libero e corrispondente a un significato realmente pensato. La scuola si è isolata in un gergo autoreferenziale, fatto di formule tronfie e vacue («accesso critico agli ambiti culturali»), intrise di una terminologia didattico-burocratica in cui è vietato scrivere più di una riga senza pronunziare alcune parole sacre (“abilità”, “apprendimenti”, “competenze”, “attitudini”, ecc.), come la recita meccanica di una preghiera. È quasi superfluo dire che questo gergo riflette un intento: porre al centro la metodologia a totale scapito dei contenuti. «Non pensi mai a quello che dovrà insegnare, che è del tutto secondario» – ho sentito predicare a una futura insegnante – «pensi soltanto a come dovrà insegnare».
Le nuove indicazioni nazionali per i licei, da pochi giorni rese pubbliche, rovesciano questa tendenza e rimettono al centro i contenuti dell’insegnamento, proponendo semplici prescrizioni in un linguaggio chiaro e alieno da schemi preformati (com’è caratteristico di ogni testo che sia frutto di un pensiero autentico). Lo studio della lingua e della letteratura italiana non è più un pretesto per “qualcos’altro”, magari per inseguire obbiettivi reboanti come l’“esercizio pieno della cittadinanza” o il “rispetto dell’altro”. Il contributo della scuola alla formazione del cittadino sta nella formazione culturale in base al principio che la conoscenza è libertà. Lo studio della lingua ha come principale scopo il padroneggiare la lingua stessa per esprimersi correttamente e organizzare i ragionamenti, e per comprendere a fondo la cultura italiana. Lo studio della letteratura significa in primo luogo acquisire il piacere e l’arte della lettura, sviluppare la curiosità intellettuale, ancora una volta per entrare nello spirito della nostra cultura. Rimettere al centro la Commedia di Dante Alighieri va in questa direzione. Non meno significativo è l’accento posto sull’importanza della filosofia, con l’innovazione di dedicare l’ultimo anno del liceo alle filosofie posthegeliane, con una marcata attenzione per la problematica scientifica e la teoria della conoscenza.
Questo porta a dire qualcosa circa le indicazioni concernenti le scienze e, in particolare, la matematica. Si tratta, com’è noto, di una questione strategica per la riqualificazione della nostra scuola. Come rendere interessante lo studio delle materie scientifiche e soprattutto della “bestia nera”, la matematica? La corretta risposta sta nel presentare la matematica non come un insieme di tecniche autoreferenziali, ripetitive, meccaniche e di cui è incomprensibile il significato e la portata in un contesto più generale; bensì nel metterne in luce il ruolo centrale non soltanto nella scienza (in particolare nella fisica) ma nel processo generale della conoscenza. Queste nuove indicazioni nazionali riescono a realizzare questo obbiettivo perché mirano a mettere in luce le relazioni profonde tra le discipline, pur declinate nella loro inevitabile specificità, senza indulgere a fumose e inconsistenti visioni totalizzanti e “olistiche”. Perciò la chiave è mettere in luce le connessioni tra filosofia, storia e scienze, e tra le discipline scientifiche fra di loro, il che permette di portare in primo piano il valore culturale di queste ultime.
È quindi una grande innovazione che, sia per la fisica che per la matematica, si indichi come obbiettivo l’acquisizione da parte dello studente della «consapevolezza critica del nesso tra lo sviluppo» di quei saperi e «il contesto storico e filosofico» in cui essi si sono sviluppati. Non meno importante è che si indichi la necessità che lo studente si avvicini allo spirito sperimentale della fisica senza confonderlo con un cieco empirismo e senza dimenticare che la disciplina poggia su solidi fondamenti concettuali e teorici. Si enuncia con poche e chiare parole – poche e chiare perché ben pensate, avrebbe detto Boileau – il senso profondo del metodo sperimentale, «dove l’esperimento è inteso come interrogazione ragionata dei fenomeni naturali e strumento di controllo di ipotesi interpretative, scelta delle variabili significative, raccolta e analisi critica dei dati e dell’affidabilità di un processo di misura, costruzione di modelli».
Per quanto riguarda poi la scelta dei contenuti specifici dell’insegnamento della matematica, essa viene giustificata in termini storici, facendo riferimento ai «tre principali momenti che caratterizzano la formazione del pensiero matematico»: «la matematica nel pensiero greco, la matematica infinitesimale che nasce con la rivoluzione scientifica del Seicento, la svolta a partire dal razionalismo illuministico che conduce alla formazione della matematica moderna e a un nuovo processo di matematizzazione che ha cambiato il volto della conoscenza scientifica». Di qui deriva in modo naturale l’individuazione dei tre principali gruppi di concetti e metodi che lo studente dovrà padroneggiare: geometria euclidea; algebra, geometria analitica ed elementi del calcolo infinitesimale; elementi del calcolo delle probabilità e della statistica. Nessun astratto chiacchiericcio sulla “matematica del cittadino” e altre amenità, ma una chiara e solida riconduzione dei contenuti portanti della matematica ai grandi temi della cultura, della conoscenza, della tecnologia. Questa è la cornice per proporre agli studenti esempi di matematizzazione nelle scienze naturali e sociali. Chi abbia sperimentato questo approccio didattico sa che è quello giusto per stimolare l’interesse dello studente e dissolvere l’immagine della matematica come un oggetto alieno.
È davvero da sperare che questa svolta nella formulazione delle indicazioni nazionali dia un contributo decisivo alla riqualificazione della scuola italiana. Essa dovrà estendersi al primo ciclo dell’insegnamento, con una visione d’insieme che permetta anche un riassetto equilibrato e organico di materie strategiche come la storia e la geografia. Le numerose reazioni favorevoli a questi documenti permettono di nutrire fiducia che sia stata imboccata la via giusta.
(Il Messaggero, 20 marzo 2010)
(Il Messaggero, 20 marzo 2010)