Rileggendo le varie Indicazioni nazionali per l’istruzione che si sono succedute in questi anni viene alla mente quella bibbia della composizione letteraria classica che è stata l’“Arte poetica” di Nicolas Boileau. Malgrado il discredito in cui avevano cercato di gettarla i romantici, ancora nel 1946 André Gide scriveva: «Quei saggi precetti di Boileau, che ci facevano imparare a memoria, in cui la tradizione classica veniva cristallizzata in versi alessandrini, sarebbe interessante riprenderli uno dopo l’altro». In particolare, vengono alla mente i versi: «Prima di scrivere apprendete a pensare. Secondo che la nostra idea sia più o meno oscura, l’espressione la segue, o meno netta, o più pura. Quel è ben concepito si enuncia chiaramente e le parole per dirlo vengono facilmente».
Proprio quel che non accade con le Indicazioni nazionali fin qui propinate, in cui abbondano, per dirla con Boileau, «pensieri oscuri avvolti da una nube spessa» che «la luce della ragione non saprebbe penetrare». Ora si prescriveva di sviluppare l’«approccio senso-percettivo all’ambiente circostante» e di «costruire le proprie geografie». Ora si sentenziava nientedimeno che «la costruzione del pensiero matematico è un processo lungo e progressivo nel quale concetti, abilità, competenze e atteggiamenti [sic] vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e sviluppati a più riprese». Si indicavano obbiettivi tanto generali da essere vuoti e lapalissiani: «usare le conoscenze e le abilità per orientarsi nella complessità del presente», «esercitare la riflessione critica sulle diverse forme del sapere».
Pochi leggono questi testi e invece è istruttivo farlo. Essi dicono come la scuola si sia allontanata dal senso comune e dal buon senso, ma anche dal linguaggio della cultura, che tale è solo se è libero e corrispondente a un significato realmente pensato. La scuola si è isolata in un gergo autoreferenziale, fatto di formule tronfie e vacue («accesso critico agli ambiti culturali»), intrise di una terminologia didattico-burocratica in cui è vietato scrivere più di una riga senza pronunziare alcune parole sacre (“abilità”, “apprendimenti”, “competenze”, “attitudini”, ecc.), come la recita meccanica di una preghiera. È quasi superfluo dire che questo gergo riflette un intento: porre al centro la metodologia a totale scapito dei contenuti. «Non pensi mai a quello che dovrà insegnare, che è del tutto secondario» – ho sentito predicare a una futura insegnante – «pensi soltanto a come dovrà insegnare».
Le nuove indicazioni nazionali per i licei, da pochi giorni rese pubbliche, rovesciano questa tendenza e rimettono al centro i contenuti dell’insegnamento, proponendo semplici prescrizioni in un linguaggio chiaro e alieno da schemi preformati (com’è caratteristico di ogni testo che sia frutto di un pensiero autentico). Lo studio della lingua e della letteratura italiana non è più un pretesto per “qualcos’altro”, magari per inseguire obbiettivi reboanti come l’“esercizio pieno della cittadinanza” o il “rispetto dell’altro”. Il contributo della scuola alla formazione del cittadino sta nella formazione culturale in base al principio che la conoscenza è libertà. Lo studio della lingua ha come principale scopo il padroneggiare la lingua stessa per esprimersi correttamente e organizzare i ragionamenti, e per comprendere a fondo la cultura italiana. Lo studio della letteratura significa in primo luogo acquisire il piacere e l’arte della lettura, sviluppare la curiosità intellettuale, ancora una volta per entrare nello spirito della nostra cultura. Rimettere al centro la Commedia di Dante Alighieri va in questa direzione. Non meno significativo è l’accento posto sull’importanza della filosofia, con l’innovazione di dedicare l’ultimo anno del liceo alle filosofie posthegeliane, con una marcata attenzione per la problematica scientifica e la teoria della conoscenza.
Questo porta a dire qualcosa circa le indicazioni concernenti le scienze e, in particolare, la matematica. Si tratta, com’è noto, di una questione strategica per la riqualificazione della nostra scuola. Come rendere interessante lo studio delle materie scientifiche e soprattutto della “bestia nera”, la matematica? La corretta risposta sta nel presentare la matematica non come un insieme di tecniche autoreferenziali, ripetitive, meccaniche e di cui è incomprensibile il significato e la portata in un contesto più generale; bensì nel metterne in luce il ruolo centrale non soltanto nella scienza (in particolare nella fisica) ma nel processo generale della conoscenza. Queste nuove indicazioni nazionali riescono a realizzare questo obbiettivo perché mirano a mettere in luce le relazioni profonde tra le discipline, pur declinate nella loro inevitabile specificità, senza indulgere a fumose e inconsistenti visioni totalizzanti e “olistiche”. Perciò la chiave è mettere in luce le connessioni tra filosofia, storia e scienze, e tra le discipline scientifiche fra di loro, il che permette di portare in primo piano il valore culturale di queste ultime.
È quindi una grande innovazione che, sia per la fisica che per la matematica, si indichi come obbiettivo l’acquisizione da parte dello studente della «consapevolezza critica del nesso tra lo sviluppo» di quei saperi e «il contesto storico e filosofico» in cui essi si sono sviluppati. Non meno importante è che si indichi la necessità che lo studente si avvicini allo spirito sperimentale della fisica senza confonderlo con un cieco empirismo e senza dimenticare che la disciplina poggia su solidi fondamenti concettuali e teorici. Si enuncia con poche e chiare parole – poche e chiare perché ben pensate, avrebbe detto Boileau – il senso profondo del metodo sperimentale, «dove l’esperimento è inteso come interrogazione ragionata dei fenomeni naturali e strumento di controllo di ipotesi interpretative, scelta delle variabili significative, raccolta e analisi critica dei dati e dell’affidabilità di un processo di misura, costruzione di modelli».
Per quanto riguarda poi la scelta dei contenuti specifici dell’insegnamento della matematica, essa viene giustificata in termini storici, facendo riferimento ai «tre principali momenti che caratterizzano la formazione del pensiero matematico»: «la matematica nel pensiero greco, la matematica infinitesimale che nasce con la rivoluzione scientifica del Seicento, la svolta a partire dal razionalismo illuministico che conduce alla formazione della matematica moderna e a un nuovo processo di matematizzazione che ha cambiato il volto della conoscenza scientifica». Di qui deriva in modo naturale l’individuazione dei tre principali gruppi di concetti e metodi che lo studente dovrà padroneggiare: geometria euclidea; algebra, geometria analitica ed elementi del calcolo infinitesimale; elementi del calcolo delle probabilità e della statistica. Nessun astratto chiacchiericcio sulla “matematica del cittadino” e altre amenità, ma una chiara e solida riconduzione dei contenuti portanti della matematica ai grandi temi della cultura, della conoscenza, della tecnologia. Questa è la cornice per proporre agli studenti esempi di matematizzazione nelle scienze naturali e sociali. Chi abbia sperimentato questo approccio didattico sa che è quello giusto per stimolare l’interesse dello studente e dissolvere l’immagine della matematica come un oggetto alieno.
È davvero da sperare che questa svolta nella formulazione delle indicazioni nazionali dia un contributo decisivo alla riqualificazione della scuola italiana. Essa dovrà estendersi al primo ciclo dell’insegnamento, con una visione d’insieme che permetta anche un riassetto equilibrato e organico di materie strategiche come la storia e la geografia. Le numerose reazioni favorevoli a questi documenti permettono di nutrire fiducia che sia stata imboccata la via giusta.
(Il Messaggero, 20 marzo 2010)
(Il Messaggero, 20 marzo 2010)
32 commenti:
Bisognerebbe proporre agli sudenti anche qualche esempio di matematizzazione di processi indusrtiali, o almeno ad essi propedeutici. Ad esempio i metodi classici impiegati nella ricerca operativa, sia su base statistica(come le simulazioni) o su base deterministica (come la programmazione lineare).
Caro Professor Israel,
concordo con Lei, come spesso mi capita, quasi su tutto.
Innanzitutto sulla pulizia linguistica di queste Indicazioni e sulla loro meritoria lontananza dai "crampi" mentali prima ancora che espressivi del pedagogismo, vero cancro della scuola e della didattica, come sa chi vive quotidianamente il genocidio del pensiero e del buon senso nell'esercizio faticoso ma entusiasmante dell'educare nelle scuole.
Detto ciò, io qualche perplessità ce l'ho, soprattutto in ordine alla scansione degli argomenti nell'insegnamento della Filosofia.
Ho l'impressione che questa scelta di valorizzare il Novecento anche per la filosofia comprima un po' troppo i tempi per l'illustrazione di autori e temi che oggi si svolgono, tradizionalmente, in quinta. Penso a Kant e a Hegel. D'altronde una comprensione delle correnti filosofiche del Novecento poco poco seria e approfondita (neokantismo, esistenzialismo, neoidealismo, neomarxismo, filosofia della scienza, etc, etc) presuppone una conoscenza robusta delle matrici teoretiche da cui quei filoni traggono alimento o per identificazione o per diversificazione. Insomma, questa scelta mi lascia un po' interdetto e non vorrei che essa finisse in lettera morta perchè i docenti, impossibilitati a fare un programma che va da Agostino a Hegel, giustamente rimanderanno alla quinta ciò che è oggettivamente impossibile proporre in quarta. A meno che uno non volesse fare tutto superficialmente e senza alcun interesse per la sedimentazione delle conoscenze negli studenti. Ma questo è un altro discorso.
Francamente, dai miei ricordi di liceo, mi sembra che Kant l'avessimo studiato nel programma di quarta ...
Lucio Demeio
Caro Professor Israel,
con rammarico mi trovo per una volta a non essere assolutamente d'accordo con lei, in particolare per quanto riaguarda la matematica. Le nuove indicazioni mi sono sembrate un grande passo indietro e mi hanno lasciato un senso di profonda trsistezza. Forse non era nelle intenzioni della commissione, ma la prima impressione che ho avuto leggendo è che la matematica sia stata confinata solo a materia utile, mentre se l'ho imparata con entusiasmo, al liceo come all'università, è innanzitutto perchè è bella. E ai ragazzi del liceo è con questo spirito che la insegnerei, non perchè serve alla fisica o comunque solo in relazione alle altre materie. Concordo sull'inutilità del calcolo fine a se stesso, ma anche sul proporre la modellizzazione come metodo per fissare i concetti. La matematica deve partire dalla realtà, ma non in termini funzionalistici.
Queste le mie impressioni, ma non le scrivo per criticare in modo sterile, anzi, sono solo all'inizio nello studio della didattica matematica e mi interessa enormemente il parere di una persona come lei.
Grazie,
Inutile dire che le difendo a spada tratta, avendo contribuito a scrivere le indicazioni per la matematica.
Mi permetta di dirle in tutta tranquillità che lei sta prendendo una cantonata colossale.
Come fa a dire che le seguenti affermazioni configurino la matematica come una materia soltanto utile, come una materia di servizio. È esattamente il contrario!...
«Lo studente dovrà acquisire una consapevolezza critica dei rapporti tra lo sviluppo del pensiero matematico e il contesto storico, filosofico, scientifico e tecnologico. In particolare, dovrà acquisire il senso e la portata dei tre principali momenti che caratterizzano la formazione del pensiero matematico: la matematica nel pensiero greco, la matematica infinitesimale che nasce con la rivoluzione scientifica del Seicento, la svolta a partire dal razionalismo illuministico che conduce alla formazione della matematica moderna e a un nuovo processo di matematizzazione che ha cambiato il volto della conoscenza scientifica.
Di qui i gruppi di concetti e metodi che lo studente dovrà padroneggiare:
1) gli elementi della geometria euclidea del piano e dello spazio entro cui si definiscono i procedimenti caratteristici del pensiero matematico (definizioni, dimostrazioni, generalizzazioni, assiomatizzazioni);
2) gli elementi del calcolo algebrico, gli elementi della geometria analitica cartesiana, le funzioni elementari dell’analisi e le nozioni elementari del calcolo differenziale e integrale, con particolare riguardo per le loro relazioni con la fisica;
3) la conoscenza elementare di alcuni sviluppi caratteristici della matematica moderna, in particolare degli elementi del calcolo delle probabilità e dell’analisi statistica.
Dovrà inoltre avere familiarità con l’approccio assiomatico nella sua forma moderna e possedere i primi elementi della modellizzazione matematica, anche nell’ambito di fenomeni anche di natura diversa da quella fisica. Dovrà conoscere il concetto di modello matematico e la specificità del rapporto che esso istituisce tra matematica e realtà rispetto al rapporto tra matematica e fisica classica. Dovrà essere capace di costruire semplici modelli matematici di insiemi di fenomeni, anche utilizzando strumenti informatici per la rappresentazione e il calcolo. Infine, lo studente dovrà acquisire concettualmente e saper usare elementarmente il principio di induzione matematica, per comprendere la natura dell’induzione matematica e la sua specificità rispetto all’induzione fisica.
Questa articolazione di temi e di approcci costituirà la base per istituire collegamenti concettuali e di metodo con altre discipline come la fisica, le scienze naturali, la filosofia e la storia.»
In tal modo la matematica è inserita nella cultura e nel processo della conoscenza e non è "confinata" in un insieme di tecniche autoreferenziali.
Mi lasci dire - dato che le interessa il mio parere - che proprio questo tipo di reazione mi da un gran tristezza perché dimostra come si possa perdere il senso di cosa sia la matematica. Come mai? Temo che l'indizio sia in quel riferimento alla didattica della matematica. Lei ha rafforzato le mie diffidenze nei confronti di quella materia e dei suoi effetti travianti.
Se vuole un consiglio lasci perdere la didattica della matematica e studi la matematica assieme alla storia della matematica, e alla filosofia.
Perfettamente d’accordo sulla questione delle Indicazioni nazionali, specie riguardo alle velleità manifestate in passato di utilizzarle come ispirazione per il viaggio verso le sorti magnifiche e progressive dell’educazione: tutta fuffa, come si dice oggi.
Però, appunto per questo, non credo facessero gran danno. Lo stesso Israel scrive “Pochi leggono questi testi…”, credo sia la pura verità. Per quel che mi consta, la scuola non si è “allontanata dal senso comune e dal buon senso”. La scuola sono gli insegnanti, difficile privarli del buon senso, se ce l’hanno.
Come abbiamo detto in parecchi, l’introduzione pedissequa di metodologie sbagliate o argomenti inutilmente complessi è stata dannosa, ma non credo che ciò sia dipeso dalle fumose indicazioni nazionali, piuttosto invece dal seguire mode o modelli sbagliati. Secondo me anche le ben più razionali indicazioni illustrate dal Prof., per quanto necessarie se non altro per liberarci dalle vecchie, non cambieranno granchè: i buoni insegnanti di liceo (per me la maggioranza) continueranno come prima.
Si dirà: ma è importante sapere verso dove si vuole andare…penso che il buon insegnante lo sapesse anche prima e cercasse di andarci, fregandosene delle pompose Indicazioni Nazionali. Era già stato a scuola anche lui.
Con tutto ciò, e spero di non contraddirmi, ripeto che la linea del Prof. Israel mi pare giusta, in particolare il cercare di mostrare i nessi fra la matematica e le altre scienze esatte e la storia della scienza per trarla dalla sua autoreferenzialità, difetto che si trascina dietro da sempre e che contribuisce non poco a renderla più ostica di quanto non potrebbe essere.
E questo, Valentina, non significa certo asservirla all’utilità, ma a dare un senso più aderente alla realtà di tanti argomenti che possono sembrare pure astrazioni e invece spesso non lo sono. Ciò per renderla più interessante, più “viva”, e quindi più comprensibile.
Dove invece mi vorrei porre a metà fra il Prof. e Valentina è riguardo la didattica: non riesco a scindere (come insegnante) lo studio di una materia dalla necessità di inventare strategie per spiegarla bene. Si tratta di un interazione continua: cercare di far capire sempre meglio un argomento porta a studiarlo sempre più a fondo.
In questo senso mi pare di capire Valentina: personalmente sono interessato più alla didattica della fisica che alla fisica stessa, credo sia l’atteggiamento che distingue l’insegnante dal semplice studioso della materia, “semplice” fra virgolette sia chiaro.
Nautilus,
da quello che sostiene mi par di capire che il suo interesse per la didattica della fisica trova come fondamento, comunque, la fisica stessa. L' ha detto lei: "non riesco a scindere (come insegnante) lo studio di una materia dalla necessità di inventare strategie per spiegarla bene". Lei non pretende di "sublimare" la didattica della materia (termine che, non a caso, evoca l' immanenza) fino a eclissare quest' ultima al punto tale che non si sa più di cosa si stia parlando.
http://torino.repubblica.it/cronaca/2010/03/25/news/universit_libri_macero-2888286/
cosa vuole riformare? una universita' che nella sua autonomia butta i libri ?
che tristezza ...
Caro Alessandro, non so se c’è contrasto: il mio interesse personale in realtà va alla didattica, di qualunque materia si tratti (ne ho insegnate diverse), in questo senso la fisica viene dopo, non mi definirei un “cultore” della materia, e se ogni giorno ne imparo qualcosa è solo a fini didattici. Naturalmente per trasmettere alcunchè di valido agli altri devi prima averlo chiaro te, altrimenti non riuscirai ad afferrare il “cuore” del problema, la chiave da consegnare a chi ancora non la possiede, sia essa una nozione, una teoria o un metodo di ragionamento. Poi fra quelle che ho insegnato la fisica mi è più congeniale proprio perchè con le sue “trappoline” è una sfida continua per chi vuol far capire davvero come vanno le cose: è una materia che sopporta meno di altre l’”infarinatura” meccanica o l’approssimazione dei concetti.
Tanto per far seguito al “bestiario matematico” del prof. Israel, abbiamo un bellissimo libro di fisica di primaria casa editrice con un errore grosso come una casa sul secondo principio della dinamica, che non son proprio bruscolini: a differenza degli errori in matematica, qui l’enunciato è perfetto (e ci mancherebbe) ma poi l’autore fa un esempio pratico sbagliatissimo in cui dimostra di non averne capito il significato. E se crolla su quello c’è da domandarsi cosa l’autore abbia da insegnare su tutto il resto.
Se mi è permessa una domanda del tutto "fuori tema":
sto leggendo il suo ultimo libro Per una medicina umanistica,e concordo sulla conclusione dei primi tre capitoli: in estrema sintesi, le basi epistemologiche della fisiologia e della patologia sono diverse (o altre)da quelle valide nei campi delle matematiche e delle scienze naturali.
Ma non riesco a scrollarmi un dubbio insistente e tenace: La legge di Gauss o dei grandi numeri si può ricavare per via analitica partendo semplicemente dal concetto di probabilità di un evento e dai teoremi elementari del calcolo delle probabilità. Questa legge è provata sperimentalmente valida in ogni campo, compresa la biologia e la psichiatria. non si può concludere che anche il mistero della vita possa essere spiegato come le traiettorie dei satelliti attorno al fuoco solare? Ci vorranno secoli, come sono occorsi secoli per trovare la gravitazione universale.
Egregio Professor Israel,
sono un docente di Matematica e Fisica in un liceo linguistico.
Vorrei segnalare alcune mie riflessioni sulle indicazioni nazionali per la Matematica nel liceo linguistico per poter avere un confronto:
1)la fattorizzazione di polinomi e le equazioni di secondo grado vengono poste nel secondo bennio: attualmente la fattorizzazione di polinomi è studiata al primo anno e le equazioni di secondo grado al secondo. Io vedrei il primo biennio come studio dell'algebra, fino alla scomposizione e alle equazioni di secondo grado. Questi sarebbero poi gli strumenti per il biennio successivo. Ecco perché sposterei l'introduzione della probabilità al terzo anno. Naturalmente lascerei al biennio lo studio della geometria euclidea.
2) la trigonometria è sparita? Ritiene che sia eccessivo il tempo ad essa dedicato attualmente? Penso che una certa parte sia però utile per la fisica.
3) il programma di quinta mi sembra troppo vasto: sono contento che sia introdotto anche il calcolo integrale ma, tralascerei la parte sui solidi geometrici: meglio concentrarsi sull'analisi matematica.
Ricordo poi che nel triennio sono presenti solo due ore di matematica alla settimana: a mio parere sono poche, i ragazzi hanno bisogno di fare molti esercizi in classe e il tempo per spiegare risulta essere ridotto.
Nel mio liceo la divisione del programma, a grandi linee, è la seguente:
primo biennio: algebra (insiemi numerici, polinomi, scomposizione, equazioni primo e secondo grado, sistemi, disequazioni di primo e, a seconda delle classi, di secondo grado);
terza: equazioni e disequazioni irrazionali, geometria analitica nel piano; rette e coniche;
quarta: trigonometria, esponenziali e logaritmi;
quinta: analisi matematica.
Forse si poteva lavorare sul quarto anno riducendo la trigonometria.
Quello che mi preoccupa è anche il numero di ore ridotto del triennio.
Grazie per l'attenzione e cordiali saluti,
Alessandro Bordin
Egregio Professore,
nel commento precedente non ho scritto che ho apprezzato il modo in cui sono scritte le indicazioni nazionali,in modo diretto e comprensibile, puntando sugli obiettivi specifici.
Cordiali saluti.
Prof. Israel, riguardo alle indicazioni nazionali dell'insegnamento "scienze naturali", Le sottoporrei quanto segue:
da http://www.didichim.org/download/Insegnamento%20chimica%20nei%20Licei.pdf
INSEGNAMENTO DELLA CHIMICA NELLE SCIENZE NATURALI NEI NUOVI LICEI
L’integrazione fra le scienze è di certo un avanzamento del processo formativo. Oggi imparare (ed insegnare) Scienze vuol dire sviluppare un processo educativo e formativo su tematiche ampiamente interdisciplinari (quali energia, ambiente, salute, alimenti, beni culturali). Questa visione non è in discussione, ma rischia, se totale, di sacrificare alcuni concetti di base che proprio per il loro carattere elementare sostengono, come gambe di un tavolo, la struttura integrata. In tale logica alcuni argomenti di chimica devono essere presi in considerazione nel processo formativo (legame chimico, equilibrio, caratteri e proprietà) e quindi garantiti da una specificità didattica le cui forme attuative possono essere discusse, anche in relazione alle differenti situazioni e tipi di scuola. Per questo motivo proponiamo che l’insegnamento “Scienze Naturali”, previsto nel riassetto dei Licei venga affidato sia ad abilitati della classe A013 sia a quelli della classe A060, in una situazione analoga a quella di precedenti “classi atipiche”, valorizzando le specifiche competenze di ciascun insegnante. Tale specificità potrà essere garantita attraverso un’articolazione dei chimici all’interno della “classe atipica” nella quale entrambe le classi di concorso siano rappresentate secondo ragioni di opportunità didattica. SOCIETA’ CHIMICA ITALIANA - CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI - A.I.C. - ASSOCIAZIONE INSEGNANTI CHIMICI - GRUPPO INSEGNANTI DI CHIMICA - COORDINAMENTO DOCENTI DISCIPLINE SCIENTIFICHE E TECNOLOGICHE
chiederei al Prof. Israel ed ai lettori del blog quale sia la loro opinione sugli interventi riportati nel blog ufficiale indire riguardante le indicazioni nazionali per l'insegnamento "scienze naturali" alla pagina web http://nuovilicei.indire.it/content/index.php?action=riforma&id_m=9549&id_cnt=9564 a partire dal liceo scientifico, opzione tradizionale ed opzione scienze applicate. Vi ringrazio anticipatamente.
Gentile blogger,
la mia posizione sulle "scienze integrate" è anche più netta di quella del documento espresso. Non pretendo che si conosca tutto quello che ho scritto, ma su questo blog si può trovare un articolo molto esplicito ("Quando la confusione diventa la regola"), per cui non mi pare di avere altro da aggiungere.
Quanto al dibattito, penso che, con riferimento agli interventi nel luogo ufficiale, è meglio che si svolga in quel luogo, affinché si possa tenerne conto nella definitiva versione delle Indicazioni.
grazie per la risposta. Riguardo alla commissione di cui Lei fa parte (quella che si occuperà delle indicazioni nazionali per i nuovi licei), non le pare che sarebbe una buona cosa che di essa facesse parte anche qualche chimico (ad esempio il Presidente della Società Chimica Italiana Prof. Luigi Campanella)?
Luigi Campanella è un caro amico e troverei ottima la sua presenza ma non c'è bisogno che siano presenti tutti, potrei benissimo essere io il suo riferimento. Comunque la commissione viene (ed è stata) nominata dal ministro e non da me... E non trova che per fare proposte del genere converrebbe non trincerarsi dietro l'anonimato?
Non mi pare una proposta sconveniente per cui ci si debba trincerare, comunque sono Michele Borrielli, chimico (iscritto all'ordine dal 1991) e docente di ruolo di chimica e tecnologie chimiche in un Istituto tecnico industriale (insegno analisi chimica, tecnologie chimiche industriali e chimica fisica).
cordiali saluti ed auguri di buona Pasqua (se non sbaglio la festeggiate?)
Non è assolutamente una proposta sconveniente!... Tuttavia, preferisco che quando si fanno nomi lo si faccia in trasparenza.
Cordiali saluti e auguri di buona Pasqua a lei (non ho capito chi siamo che forse la festeggiamo).
intendevo voi di religione ebraica, scusi la mia ignoranza ma non so se vi fate gli auguri o no, ad esempio e non volevo urtare una eventuale suscettibilità a riguardo(scusi se ho divagato)
Grazie per gli auguri.
Come mai si è scelto di penalizzare così tanto la matematica nel liceo delle scienze umane? le ore settimanali 3-3-2-2-2 non sono troppo poche? E' da più di un anno che esprimo queste perplessità in ogni luogo da me frequentato, anche in questo blog, senza ricevere alcuna risposta sensata...
Odio le frazioni algebriche, e odio, soprattutto, doverle insegnare. Meno male che la riforma Gelmini, che per il programma di matematica si concretizza nella riforma Israel, mi ha liberato da questa schiavitù. Frazioni algebriche in Quinta Ginnasio; frazioni algebriche con le equazioni di primo grado fratte e i sistemi di primo grado; frazioni algebriche in Prima Liceo, con i radicali e ancora con le equazioni fratte di secondo grado; frazioni algebriche con i sistemi di secondo grado; frazioni algebriche nell’applicazione dell’algebra alla geometria (quei micidiali e tediosi problemi di geometria dove di geometria c’è solo la figura ed il resto sono solo equazioni e sistemi di equazioni di ogni grado). I manuali di matematica e gli insegnanti di matematica riescono ad infilarle persino nella geometria analitica (Seconda Liceo): scompaiono le rette, i poligoni, le parabole, per apparire equazioni parametriche di ogni tipo, ed indovinate un po’?... le frazioni algebriche; quando si è finalmente in Terza Liceo e si fa la trigonometria, uno pensa: me ne sarò liberato; invece no, frazioni algebriche sotto forma di lunghe e snervanti espressioni trigonometriche nelle salse più diverse: formule di addizione, di duplicazione, di bisezione; ed ancora nelle equazioni trigonometriche e, per quelli che le fanno, nelle disequazioni trigonometriche.
Le Indicazioni Nazionali non le citano neanche: la fattorizzazione dei polinomi, premessa indispensabile (e minacciosa) alle frazioni algebriche, compare nel secondo biennio (presumibilmente terzo anno) e dal contesto in cui è proposta pare finalizzata alla soluzione delle equazioni polinomiali. Cosa buona e giusta: la scomposizione dei polinomi non è nata per trovare il minimo comune multiplo di frazioni algebriche da sommare o dividere tra loro, ma per risolvere equazioni: il risolutore di equazioni fattorizza! come ad esempio avviene nella dimostrazione della formula risolutiva classica dell’equazione di secondo grado.
Ma forse la mia è solo un’illusione, forse la raccomandazione che le Indicazioni Nazionali danno sul calcolo letterale (“Saranno presentati gli elementi di base del calcolo letterale e si studieranno i polinomi e le operazioni tra di essi, evitando che la necessaria acquisizione di una capacità manipolativa degeneri in tecnicismi addestrativi”) è troppo generica e perciò ambigua (dove finisce la “necessaria capacità manipolativa” e dove comincia la “degenerazione in “tecnicismi addestrativi”?), temo che i compilatori di manuali non rinunceranno alle frazioni algebriche e che i colleghi saranno ben lieti di assecondarli. E allora tutto sarà vano, allora tutto finirà come negli anni ottanta quando comparvero alcuni manuali (i libri di Francesco Speranza, di Emma Castelnuovo, di Luci Lombardo Radice) che andavano proprio nel senso delle Indicazioni Nazionali, manuali che furono adottati da pochissimi e che presto scomparvero dai cataloghi. Eppure in quei manuali la solita scansione degli argomenti era rivoluzionata, proprio come nelle Indicazioni Nazionali, soprattutto al biennio, c’era varietà e ricchezza di argomenti, e… non c’erano le frazioni algebriche!
Ma ora so cosa fare: riapro il vecchi caro Lombardo Radice e risolvo la questione della “necessaria capacità manipolativa” limitandomi ai soli esercizi lì contenuti: né uno di più né uno di meno!
Quanto tempo è che l'uomo legge? Quanto tempo è che tutti devono imparare a farlo? C'è stato il tempo per una evoluzione darwiniana su questo carattere? Queste, naturalmente sono alcune provocazioni. Il problema vero è che senza "etichetta nobile" non è possibile fare nulla per adeguare i metodi di insegnamento ai diversi modi di apprendere degli studenti. Esistono (e le posso assicurare che esistono: io sono una di quelle!) persone che non imparano come gli altri alcuni gesti perché usano il cervello in modo diverso dai più, questo è stato appurato mediante esami di risonanza magnetica funzionale e altre diavolerie per cui sullo schermo del medico esaminatore risulta illuminata la parte del cervello che il paziente -colui che ha pazienza?- sta funzionando in quel determinato momento, mentre la persona svolge quella determinata cosa). I soggetti con DSA hanno problemi ad automatizzare le procedure: dall'allacciarsi le scarpe, all'imparare l'ordine dei mesi dell'anno. Non voglio entrare nei dettagli tecnici perché credo che lei si sia ampiamente documentato, solo vorrei puntualizzare che lettura, scrittura, conto sono operazioni altamente procedurizzate (se si dice così), se una persona non riesce ad allacciarsi le scarpe compra dei mocassini e vive bene lo stesso, se, invece, non legge la sua scrittura è un asino per natura. Esiste la alessia o dislessia lesiva per cui una persona non legge per una lesione cerebrale diagnosticabile mediante esami opportuni, ma cosa succede se una persona non impara a leggere senza danni cerebrali? Ora lei dice che sono sintomi distanti come il giorno e la notte, e lo confermo! Per uno che non conosce il problema sono sintomi distanti come il giorno e la notte. Mi creda sembrano sintomi altamente differenti, ma sono estremamente simili. Prima ho accennato ai problemi di automatizzazione delle procedure, solitamente associate a scarsa memoria di lavoro.
Scompongo la lettura nelle sue procedure:
- Vedo la parola, sposto gli occhi sulla prossima, ecc...: (motorio)
- Riconosco il carattere, la parola, il discorso, ecc... (mentale)
- Mi accingo a pronunciare la parola, ecc.. (motorio)
- ecc...
Allo stesso modo si possono scomporre gli altri disturbi.
Quanto al calcolo, concordo con lei quando dice che il calcolo mentale non è solo procedura, ma molto si basa su procedure, anche molto piccole, autonome e molto automatizzate tanto che non è più possibile definirle autonomamente come procedure. Esistono teorie che dicono che la capacità di ragionamento e astrazione può essere considerata come travi che poggiano sulle procedure automatizzate, come se fossero colonne. Quanto più una capacità automatica è solida e ben sviluppata, tanta meno capacità di ragionamento dovremo usare e viceversa.
Il fatto che qualcuno impari ad allacciarsi le scarpe e non a leggere, o viceversa, dipende da molte variabili. Fatto sta che per la nostra società non riuscire ad imparare a leggere, scrivere o far di conto è peccato mortale...
Cordiali saluti.
Dnaiele
Daniele Zanoni
P.S. Nessuno vuole opsedalizzare i soggetti DSA! Ma magari sapere perché qualcuno fa una fatica del diavolo ad imparare a leggere, scrivere, far di conto, allacciarsi le scarpe, leggere l'orologio,... sarebbe opportuno, visto che sono discretamente tanti...
Credo che chi si deve occupare di queste cose sia chi studia il funzionamento del cervello, fatalmente, in questo momento, accade che qualcuno di questi studiosi sia medico, e credo che debba continuare a farlo, per dar modo a chi fa di fare le cose nel modo migliore possibile, soprattutto agli insegnanti!
Se un insegnate fa bene il suo mestiere non avrà problemi da chi non può imparare a leggere.
Io rispetto il suo intervento che è uno dei pochi (contrari) ricevuti di tono civile e ragionato. E le rispondo che nessuno vuole ignorare i problemi in oggetto. Il problema è come trattarli. Per trattarli in modo puramente medico-clinico occorre non soltanto dire che si tratta di disturbi funzionali, neurologici, ecc. ma identificare in modo assolutamente preciso la natura del disturbo, così come posso farlo per una malattia cardiaca. Ebbene, non è così. E la prova è data dalla molteplicità di definizione contraddittorie di DSA, tra chi nega trattarsi di un disturbo funzionale-neurologico (il DDL!!) e chi dice il contrario. Lasci perdere la risonanza magnetica, che descrive flussi macroscopici e non può costituire in alcun modo una diagnosi sicura della dislessia o consimili disturbi. I neuromani sono troppo spesso dei venditori di fumo. E anche sullo schema che lei fa (motorio, mentale, ecc.) si sarebbe molto da dire. Non si lasci incantare da psicologi cognitivisti che tirano l'acqua al loro mulino. Il cervello è l'oggetto più misterioso dell'universo, continua ad esserlo. Ammesso che conoscerlo a fondo possa servire a capire il pensiero umano. E mi lasci dire che ho molte riserve al riguardo.
La ringrazio molto per l'apprezzamento. Certamente non è nel mio stile imporre la mia voce, e solitamente mi pongo in atteggiamento di chi ha sempre qualcosa da imparare, specialmente in un campo ancora misterioso, e specialmente da una persona come lei. Ho citato la RMN funzionale non come strumento di diagnosi, ma come evidenza, probabilmente confutabile, che il cervello funziona in modo differente per ogni individuo. Comunque, anche ora, i DSA non sono trattati in modo strettamente medico-clinico, almeno non da tutti quelli che se ne occupano (mi occupo di percorsi per l'indipendenza cognitiva per soggetti DSA e dopo la diagnosi, a meno di questioni collaterali, come ad esempio depressione scatenata dal rapporto con la scuola, non sono affidati a medici, ma ad insegnanti specializzati e a pedagogisti). Si tratta di insegnare strategie che rendano efficace lo studio, di esercitare la concentrazione, l'attenzione, la memoria, l'orientamento... Nulla di clinico. E visto che il cervello umano, come ben dice lei è l'oggetto più misterioso dell'universo, tentare di aprire nuove vie per arrivare dove gli altri arrivano facilmente.
Certamente ci sarebbe da parlare molto del mio accenno allo schema che ho citato, ma in effetti era una esemplificazione volutamente semplicistica.
Il problema relativo all'intervento del neuropsichiatra infantile è che ora come ora, in Italia, avere un foglio di carta firmato da un medico è l'unico modo per poter attivare un percorso di insegnamento che non leda dei diritti fondamentali ai soggetti DSA bollandoli come Distratti Svogliati Asini o peggio...
Ecco, io non ho assolutamente nulla contro un percorso del genere. Ma il problema è proprio il dover passare per le forche caudine del neuropsichiatra infantile. Mi spiega che cosa diavolo ne capisce uno specialista del genere di capacità di calcolo. Ho sentito castronerie allucinanti in questi giorni. Con tutto il rispetto sono molto più in grado io di capire se le difficoltà di un bambino nel calcolare sono dovute a fattori di insegnamento o di altro genere che non a un fatto strutturale. Perché bisogna saper porre le domande giuste e per farlo bisogna conoscere a fondo le basi della matematica e capire cosa significhi calcolare.
Il NPI, lo psicologo, ecc... sono le figure istituzionali che possono somministrare i test. Dopotutto in qualche modo si tratta di salute e deriva dalla testa.
E in effetti la discalculia vera e propria: cioè l'impossibilità di un individuo di fare calcolo, è rarissima.
Quella che comunemente viene definita discalculia evolutiva, per essere semplificativi al massimo, può essere divisa in due filoni: le difficoltà più o meno gravi nella lettura/scrittura dei numeri, e le difficoltà più o meno gravi nel appropriarsi delle procedure "standard" di calcolo, questo può essere dovuto da scarsa memoria di lavoro, da difficoltà con le procedure, e da altri svariati e mirabolanti motivi diversi da caso a caso.
Ma io le faccio io una domanda adesso: le pare possibile che un professore di matematica possa giungere all'insegnamento senza aver mai fatto una sola lezione di pedagogia della matematica?
Direi che c'è qualcosa che tocca da qualche parte...
Egregio Professor Israel,
vorrei richiamare la Sua attenzione su un post da me pubblicato sul Suo blog in data 26/3/2010 a commento delle Indicazioni Nazionali.
Nel liceo linguistico in cui insegno stiamo discutendo su come articolare il programma per le nuove prime (anche del liceo delle scienze umane e di quello con opzione economico sociale).
Le esprimo la mia/nostra preoccupazione (a parte l'esiguo numero di ore riservato alla materia nel triennio): lo spostamento della fattorizzazione di polinomi e delle equazioni di secondo grado al secondo biennio mi sembra portare a concentrare troppi argomenti in quelle classi; il programma del quinto anno mi sembra troppo vasto, rispetto al numero di ore: avrei lasciato solo l'analisi matematica.
Le scrivo per avere un confronto e per capire meglio le ragioni che stanno dietro alle scelte fatte.
Se avesse già scritto qualche articolo di commento, Le chiedo se potrebbe indicarmi dove trovarlo.
La ringrazio per la disponibilità e La saluto cordialmente.
mi dia un po' di tempo perché sono in partenza
Egregio Professor Israel, aspetto una su cortese risposta al post precedente.
La ringrazio e porgo cordiali saluti.
Mi dispiace di non aver mai risposto.
Nei licei linguistci, scienze umane, ecc. l'introduzione al calcolo non deve avere le caratteristiche più tecniche che ha nel liceo scientifico, e quindi si deve limitare alla comprensione dei concetti di base, connessi alla problematica fisica e anche alla problematica filosofica (infinito, ecc.). Personalmente sono scettico anche per i licei scientifici circa l'opportunità di troppi tecnicismi: si vede all'università che non servono a niente. Meglio una preparazione concettuale solida e poche nozioni. Qui, a maggior ragione. Quindi, vedo la parte di analisi come non troppo estesa - ma approfondita nei concetti di base - non tale da riempire tutto l'anno. Invece, l'esperienza dice che spesso gli studenti non hanno le cognizioni di base della matematica, il concetto di numero e le sue proprietà, i fondamenti del pensiero geometrico, i principi del metodo algebrico. Meglio riservare più spazio a questi che rovesciargli addosso quintali di limiti. A me pare che per una buona introduzione ai concetti del calcolo basti poco tempo, dando spazio alle connessioni con la filosofia, la fisica e magari con qualche esempio ben scelto di modello matematico (es. la crescita esponenziale o logistica di una popolazione).
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