Quinta elementare:
Domanda: «Trovate tutti i multipli di 7 compresi tra 80 e 120».
Alcuni alunni ragionano così:
Il più piccolo numero al di sotto di 80 che è evidentemente un multiplo di 7 è 77. Quindi, se aggiungo 7 a 77, ho ancora un multiplo di 7: è 84. Poi c'è 91 e così aggiungendo 7, ottengo tutti i multipli di 7 richiesti: 84, 91, 98, ecc.
Commento dell'insegnante: «Bravi!» ?
NO
«Avete sbagliato!! Il primo multiplo di 7 sopra 80 è 87 (SIC!)
Poi 94 ecc. ecc.»
Naturalmente nessuno di questi è multiplo di 7...
Un bell'insegnamento, non c'è che dire... E poi dicono che è tutta colpa delle medie inferiori...
41 commenti:
Bisogna dire che la laurea da qualche parte l'insegnante la deve avere presa ... credo
Infatti. L'avrà presa in una di quelle Facoltà di Scienze della Formazione in cui Matematica era opzionale con Neuropsichiatria infantile; cosa che non è più possibile ora con il nuovo Regolamento per la Formazione degli Insegnanti, il che non a caso sta suscitando le ire di certi didatti e pedagogisti.
Ma da quando serve una laurea per conoscere i multipli di sette? Una volta bastava la licenza elementare!
Lucio Demeio.
Devo dire che ho visto di peggio agli esami di SFP: in uno scritto di fisica su 33 studenti 13 non sono riusciti ad eseguire correttamente una equivalenza da decametri a metri; e uno di questi ha chiamato l'operazione "equazione". Sono poi uscito dai ranghi dell'università ma non ho dubbi che a forza di dare l'esame, i 13 studenti l'abbiano passato "per consunzione" della docente e siano ora pronti per "salire in cattedra". Ma va così anche per altre discipline insegnate a SFP: una attuale collega, abilitata dall'unico esame di inglese ad insegnarlo, ha scritto di suo pugno sul quaderno di una mia alunna le parole livin room e badroom; purtroppo la madre della bimba insegna al classico e ha rilevato gli errori. Farei tuttavia notare che SFP è solo il punto di arrivo di una lunga catena di carenze professionali che inizia con la scuola dell'infanzia. Speriamo che il nuovo regolamento possa condurci al cambiamento, ma non sono ottimista (e non dipende dal regolamento...).
Cordialità, Vincenzo Manganaro
Ben detto Lucio Demeio! Ma se accade che nelle scuole si "insegnino" queste cose - e vi assicuro che è così, anche se ovviamente soltanto in certi casi, ma non tanto rari purtroppo - cosa volete che accada?
E condivido il pessimismo di Vincenzo Manganaro. I didatti di ogni specie si stanno mobilitando per preparare dei syllabus di contenuti da insegnare nella nuova laurea SFP che "garantiscano" che ovunque l'insegnamento disciplinare sia subordinato a quello didattico-pedagogico-metodologico. Ho letto uno di questi documenti, dove si parla addirittura di "commissioni" che debbono "vigilare" sul fatto che i docenti ottemperino. In barba alla libertà di insegnamento, roba da paese totalitario. Come "padre" di questo regolamento sto tentando di intervenire ma la corporazione dei didatti-pedagogisti è potente e inguaribilmente prepotente.
Inutile dire che quell'insegnante non conosce l' insidia di un procedimento equivalente, cioè basato sulla validità del primo passo. Bene hanno fatto gli alunni a partire da un multiplo "evidente"- 11x7=77 - prima di applicare l'operazione "somma 7" per trovare la serie dei multipli successivi.
Ci vorrebbe una fonte, però. O dobbiamo prenderla come una storia esemplare?
Io la fonte ce l'ho, con tanto di fotocopia del quaderno. Ma non ritengo affatto opportuno riportare dei nomi e cognomi. Esemplare? Diciamo che si aggiunge alla sterminata collezione di cose che semplicemente non dovrebbero succedere, perché un conto è mettere in giro cose sbagliate ma molto molto sottili come dire che è dimostrabile l'esistenza di una corrispondenza biunivoca tra numeri reali e la retta, altro conto è sparare delle castronerie megagalattiche. È il fatto che nella scuola possano succedere cose simili che è emblematico più che esemplare.
Un commento un po' drastico: non c'e' rimedio, i bambini di questa classe sono ormai persi alla causa della matematica.
Lo dico per esperienza: terza elementare, classe serale di scienze, la batteria da 4.5V e' scarica e non si possono fare gli esperimenti. Chiedo all'insegnante: "Ma non possiamo utilizzare un convertitore AC-DC al posto della battteria?" Per tutta risposta l'insegnante mi ridicolizza ridendo di fronte a tutti: "Ma che cosa ne vuoi sapere tu?"
Da quel momento ho avuto in odio l'elettronica per tutta la mia carriera di studente (davvero non ho ancora capito come ho fatto a passare l'esame di Elettrotecnica!)
Credo siano quest i momenti focali, in questi anni cosi' formativi, che identificano le nostre inclinazioni di tipo speculativo. Poveri bambini ...
Beh professore,
Ora che ci ha messo la pulce nell'orecchio dovra' essere cosi' gentile da elaborare la frase sull'inconsistenza della relazione biunivoca tra numeri reali e retta.
Queste cose sono, almeno per me, delle vere chicche che mi intrigano moltissimo.
Mille grazie per qualsiasi informazione aggiuntiva.
Mi rendo conto di essermi comportato male... Questi non sono argomenti da discutere in un blog. MI limito a dire questo, ma non è proprio il caso di aprire un dibattito. Da un lato ci sono i numeri reali definiti in modo rigoroso alla maniera di Cantor o Dedekind (gli oggetti di questo insieme sono ben definiti). Dall'altro la retta, i cui oggetti sono "punti". Ma si può definire una retta come unione dei suoi punti?... (No. Paradossi di Zenone, v, anche il mio "Lo strano concetto di punto materiale sulla homepage). La retta geometrica è un oggetto intuitivo che non è suscettibile di una definizione rigorosa, se non in termini algebrici. Ma allora non è più un oggetto geometrico distinto, è già definita come l'insieme dei numeri reali... «E' opportuno vedere nella 'sezione' di Dedekind non tanto un 'taglio' che indichi una effettiva locazione del numero, quanto piuttosto una approssimazione successiva a due limiti tra loro adiacenti della classe inferiore A1 e della classe superiore A2 ed è perlomeno discutibile, in linea di principio, configurarsi il limite di tale processo come un'entità realmente osservabile, quale potrebbe apparire un punto geometrico» (Zellini). Difatti, per quanto si guardi in giro non esistono dimostrazioni della detta "corrispondenza biunivoca", se non identificazioni intuitive gabellate come dimostrazioni. Vi sono docenti universitari che, in ossequio, al rigore, non disegnano mai la retta reale... È un'esagerazione, ma è chiaro che disegnandola si fa una concessione all'intuizione, non c'è niente di logicamente dimostrabile.
Grazie, pur non entrando nel rigore di una discussione non sostenibile in un blog, e' piu' o meno quanto anche io mi sono chiesto fin dai tempi di Analisi I dove ho cominciato ad apprezzare veramente la logica e lo spirito delle dimostrazioni. Non e' comunque mai stata mia intenzione sollevare polemiche ma la ringrazio molto per la risposta.
Sempre con stima,
Marco
Ma io no ho mai pensato che lei fosse polemico
Egregio prof. Israel,
La conosco di fama da anni e ho apprezzato e condiviso moltissime Sue opinioni a riguardo della contemporanea didattica matematica scolastica.
Stasera, capitato per caso sul Suo blog, ho letto il Suo intervento di sopra e sono rimasto esterrefatto.
Non avevo idea di simili posizioni logiche ( " Vi sono docenti universitari che, in ossequio al rigore, non disegnano mai la retta reale... È un'esagerazione, ma è chiaro che disegnandola si fa una concessione all'intuizione, non c'è niente di logicamente dimostrabile. " )...
Le mie conoscenze di logica non sono al livello di uno studioso di Russell e Whitehead, ma a livello di un lettore di Percy Bridgman, sì.
Ho ripreso in mano il mio libro di geometria delle superiori, quello scritto da Enriques e Amaldi, sul quale ho ritrovato un teorema che dimostra la corrispondenza biunivoca fra i numeri reali e " grandezze di qualsiasi specie ".
D'altra parte tale teoria risale al quinto libro degli Elementi di Euclide.
Non riesco a vedere come si possa accettare una tale posizione estrema.
O rifiutiamo le operazioni di confronto di segmenti e la possibilità di misurare segmenti oppure siamo necessariamente condotti a metterne il secondo estremo in corrispondenza biunivoca con i numeri reali...
Le chiedo che senso abbia una logica così severa ed estrema da non permetterlo.
Allora non hanno senso nemmeno il piano di Argand - Gauss per la rappresentazione dei numeri complessi ( suggerirei lo studio del bel libro " Visual Complex Analysis " di Tristam Needham ) e tutti i calcoli che fanno gli ingegneri.
Ricordo che prima dei calcolatori elettronici DIGITALI, che ci hanno permesso di operare direttamente sui numeri, gli ingegneri usavano il regolo calcolatore, che opera geometricamente, e i calcoli grafici.
Eppure hanno tirato su opere come la Tour Eiffel e il Golden Gate Bridge con questa corrispondenza biunivoca fra numeri reali e punti di una retta...
Ancora, mi sembra che sostenere che : " La retta geometrica è un oggetto intuitivo che non è suscettibile di una definizione rigorosa, se non in termini algebrici. Ma allora non è più un oggetto geometrico distinto, è già definita come l'insieme dei numeri reali... " corrisponda a rifiutare la geometria metrica in toto ( o a ridurla ad una branca dell'algebra ).
Allora che cos'è la vera geometria per Lei ? Solo quella proiettiva ?
O ha un senso la geometria metrica ?
Infine vorrei ricordare che la forza della matematica sta proprio nell'analogia e nello stabilire collegamenti fra campi apparentemente lontani. E i maggiori contributi sono venuti proprio dalle persone ( penso a Grothendieck ) che più sono state ardite in questi voli.
Allora lanciamo un bel ponte fra i punti di una retta e i numeri reali, in ossequio allo stimolo dell'immaginazione dei nostri giovani e alla faccia dei logici calcificati che distinguono una " a " da una " a ".
Tommaso Erica.
Gentile Thomas,
quando ho scritto che mi pentivo di aver fatto quell'accenno mi rendevo conto di aver sbagliato perché rischiavo, su un tema di estrema complessità, di dar la stura a sparate - non se la prenda - superficiali, avventate e scalmanate come la sua. Questi sono temi su cui fare scandalo è fuori luogo.
Personalmente sono assolutamente a favore di qualsiasi rappresentazione geometrica e detesto una visione logicista della matematica. Ma che il problema dell'infinito, la nozione di punto, la continuità siano sfide per la matematica che, come scriveva Boltzmann, la tengono col fiato grosso da duemila anni, è indubbio.
Lasci perdere Euclide dove non c'è alcuna dimostrazione di biunivocità perché non c'è neppure un concetto di numero, lasci perdere Enriques che è un mio idolo ma che si teneva alla larga dal rigore (come me, del resto). Lasci perdere la geometria proiettiva che non c'entra un fico secco.
Si possono dare centomila giustificazioni intuitive della rappresentabilità dei numeri reali con la retta, ma non si tratta di "dimostrazioni" di una corrispondenza biunivoca. Per il semplice motivo che la definizione dell'oggetto costitutivo della retta è impossibile (la retta non è unione di punti, suoi "elementi"). I grandi matematici si tengono alla larga da una simile idea: per Euclide gli unici punti di una retta sono i suoi estremi (le rette sono finite) e Leibniz spiega chiaramente perché il continuo non può essere pensato come unione di punti. Ecc. ecc. Al punto che un fisico matematico italiano, Maggi (per niente logicista) riscrisse i fondamenti della meccanica evitando il concetto di punto materiale: e proprio Enriques lo cita in questo senso!... Peraltro si legga l'articolo "Punto" di Enriques dove illustra bene il senso dei paradossi di Zenone. La "corrispondenza" tra retta e reali è una sacrosanta "rappresentazione" da cui nessuna persona sensata (salvo dei logicisti maniacali) si terrebbe alla larga. Ma si rischia di dar ragione ai logicisti se si sostiene che questa rappresentazione è una corrispondenza biunivoca dimostrabile come tale.
Potrei dare una bibliografia sterminata sull'argomento, ma considero chiusa la questione. Mi dispiace di aver suscitato questo vespaio. È colpa mia. Purtroppo chi fa dello studio il suo mestiere dovrebbe avere la modestia di studiare e riflettere prima di buttarsi a lanciare anatemi ed è proprio quello che temevo venisse fuori.
La retta, come ente geometrico, e' un concetto primitivo. Se si assume che la funzione "distanza" da R^2 in R e' suriettiva il gioco dovrebbe essere fatto. Ma non so se questo e' dimostrato o se e' un postulato.
In quanto alla rappresentazione intuitiva, io non ne saprei fare a meno.
Cordialmente, Lucio Demeio.
Io non sono un matematico, ma ad occhio e croce l'errore nel ragionamento di Lucio è che postula a priori che ad ogni punto della retta possa esser assegnato un valore numerico in R (p.e. per ogni punto la distanza da un certo punto O), che è proprio quello che si vorrebbe "dimostrare".
Spero di non aver detto una capperata.
No. Ha centrato il punto. In genere, in tutte le dimostrazioni si da già per acquisito che R sia la retta reale. Non vedo che male ci sia a accettare l'idea che ogni numero reale possa essere rappresentato su questo ente intuitivo che è la retta e quindi usare questa rappresentazione geometrica, senza pretendere che esista una corrispondenza biunivoca nel senso stretto del termine tra enti di natura tanto diversa. Occorre rileggere Poincarè sulla natura diversa dei concetti aritmetici e geometrici.
E' probabile che la capperata l'abbia detta io. Nel frattempo pero' ho fato qualche chiaccherata con qualche collega piu' matematico di me (alla fin fine, rimango un fisico per educazione e imprinting) e la conclusione non e' affatto banale. La corrispondenza biunivoca e' addirittura dimostrata in un testo classico di analisi come il Cecconi-Stampacchia, tramite l'introduzione della funzione ascissa ed ho trovato un collega analista (molto bravo) che e' d'accordo. Un altro, invece, pure bravo, era sulle posizioni del prof. Israel. Continuero' l'indagine.
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Un analista (tra i migliori italiani) si rifiuta addirittura di disegnare la retta alla lavagna... il che mi sembra francamente un po' troppo fondamentalista. Ma temo che l'indagine non porterà ad altro che a un sondaggio di opinione. Il che per una scienza come la matematica è imbarazzante... Sarebbe meglio accettare il fatto che la retta non è un oggetto di facile "definizione". Se la retta è unione di punti (rappresentazione atomistica, unico modo per parlare di corrispondenza biunivoca) cado sotto il paradosso di Zenone della freccia. Se è infinitamente divisibile non ha elementi, è un continuo perfetto e quindi è impossibile definire una corrispondenza. A meno di non pensare surretiziamente la retta come "retta reale", ma allora si è già dato ciò che si voleva dimostrare. Anche Courant parla di biunivocità, ma poi la dimostrazione non c'è. Osservo anche che la "dimostrazione" di Enriques-Amaldi è stata soppressa dall'ultima edizione (vivente Enriques) del libro. Non è certamente un caso...
Al solito, parlo più per sensazione che per conoscenza, ma la mia sensazione è che il problema stia nella confusione fra la "retta dei numeri reali" (e i suoi corrispettivi parametrizzati come equazioni nei piani/spazi/iperspazi cartesiani) e la retta "indicata" negli enunciati di Euclide da cui p.e. si può far discendere, a forza di dimostrazioni, la geometria che si studia in 1°/2° liceo. Mi pare di capire che se noi passiamo da un concetto all'altro senza problemi, in realtà a stretto giro (se vogliamo usare una logica più che rigorosa) i due sistemi "non si parlino", fanno parte di due linguaggi diversi che partono da assiomi distinti e non si riesce a creare un ponte logico-formale per collegarli (perciò per esempio conclusioni che abbiamo dalla geometria euclidea in teoria nel piano cartesiano andrebbero ridimostrate col linguaggio della geometria analitica?). Che poi a livello pratico sia del tutto intuitivo creare questo ponte sarebbe un altro discorso.
Curioso, comunque, se quanto ho scritto è vagamente giusto devo ammettere che non ci avevo mai pensato...
Aggiunta.
Tutte le "dimostrazioni" che ho visto ricorrono a un concetto di retta assiomaticamente definito mediante un postulato di continuità (assioma di Archimede, postulato di Dedekind). È quasi superfluo dire che, in tal modo, non si dimostra niente, ma si da soltanto un modello dei reali che ha caratteristiche intuitive. Chiariscono molto bene la situazione Picone e Fichera:
«Su un piano rigorosamente logico la cosiddetta rappresentazione geometrica dei numeri di R mediante i punti di una retta è del tutto inessenziale dal punto di vista dell'Analisi Matematica, dato che consiste unicamente nel sostituire il corpo R con un altro modello ad esso isomorfo (aritmeticamente ed ordinatamente). Tuttavia tale rappresentazione, facendo ricorso alla nostra intuizione geometrica, ha tale forza di suggestione, che riesce di estrema utilità sotto un aspetto puramente pratico ed è soltanto con tale intendimento che noi ci varremo di essa».
Quanto scrive B'Rat è, a mio avviso, del tutto corretto. La geometria di Euclide è la geometria propriamente detta. Quella della retta reale è una geometria assiomatico-formale. I due sistemi non si parlano perché il secondo, come dicono bene Picone e Fichera, non ha bisogno della geometria. La "retta reale" è soltanto un modello di R che, in virtù degli assiomi che lo definiscono, è suscettibile di un'intuizione di tipo geometrico che richiama la retta propriamente geometrica e quindi ha forza di suggestione.
Mi permetto di dire che pensare di risolvere il dilemma della continuità è un'illusione bimillenaria.
Ripropongo: « è perlomeno discutibile, in linea di principio, configurarsi il limite di tale processo come un'entità realmente osservabile, quale potrebbe apparire un punto geometrico» (Zellini). "potrebbe...": il punto geometrico è una realtà osservabile? Mi permetto anche di riproporre il mio articolo "Lo strano concetto di punto materiale" (ultima versione, scaricabile sulla homepage).
Si, ho ritrovato il passo sul Picone-Fichera, il mio testo di Analisi all'università (da studente). Ed è anche vero che il Cecconi-Stampacchia basa la sua dimostrazione (costruttiva) sulla nozione di retta come insieme di punti con la proprietà dell'ordinamento. Forse ha ragione: non e' argomento da blog!!
Cordialmente, Lucio Demeio.
"lasci perdere Enriques che è un mio idolo ma che si teneva alla larga dal rigore (come me, del resto)."
Già. Nonostante anche l' uomo della strada sarebbe d' accordo nel riconoscere la matematica come la disciplina rigorosa per eccellenza (anzi, la disciplina che si compenetra con il rigore stesso), ce ne son stati di matematici non particolarmente ansiosi di tributare al rigore quel che del rigore era! Non fu Jacobi a dire "non ho tempo per il rigore!"? Comunque non sapevo che esistessero "docenti universitari che, in ossequio, al rigore, non disegnano mai la retta reale". Pur non avendo, RIGORosamente, molta voce in capitolo (visto che sono ancora uno studente della laurea magistrale), dirò che mi sembra una grossa sciocchezza. Di fronte a palesi ed evidenti svantaggi didattici, quali sarebbero i vantaggi? Persino quando si iniziano a studiare argomenti non elementari come le Distribuzioni e l' Analisi Armonica in Rn o sui Gruppi di Lie è utilissima la visione del grafico della tipica funzione a decrescenza rapida.
Caro Marinelli, il bourbakismo non è passato invano... Lei ha mai visto un disegno negli Elementi di Geometria Algebrica di Grothendieck?...
Egr. prof. Israel,
veramente non ho mai seguito un corso di geo. alg. e finora non mi è mai capitato di sfogliare un libro di geo. alg. Naturalmente ho incontrato il nome di Grothendieck su diversi libri divulgativi, di storia della matematica, biografie di matematici ecc., ma ho solo una vaga idea di cosa si occupi la geo.alg. e non so assolutamente nulla delle ricerche di Grothendieck. Vede, dopo il burrascoso (a dir poco...) iter della laurea triennale, mi sono preoccupato anzitutto di provare a colmare le molte lacune che avevo (e in parte ho ancora); dopodiché, tolti i due esami obbligatori di fisica matematica e geometria differenziale, ho inserito nel piano di studi per la magistrale solo esami di analisi (sostanzialmente analisi armonica, calcolo delle variazioni e EDP). Mi rendo conto che così facendo mi perdo molto, ma con i tempi risicati che ho a disposizione e il numero di esami da fare, mi sono preoccupato soprattutto di studiare ciò che mi piace di più secondo il motto di Gauss "pauca sed matura". Comunque sia, cosa hanno di particolare i disegni negli Elementi di Geometria Algebrica di Grothendieck?
Hanno di particolare che non ce n'è neanche uno...
Egr. prof. Israel,
sì, in effetti solo dopo aver mandato l' ultimo post mi sono accorto che il senso della domanda era quello. Ora, riflettendo su tutto quello che ho letto un pò qua e un pò là su Bourbaki, devo dire che, in fondo, non mi sorprende molto l' assenza di figure sul libro di Grothendieck. Però, con riferimento a quanto dicevo prima, se non vado errato i bourbakisti hanno parecchio esagerato sul fronte dell' astrattezza, diciamo così, con il rifiuto di ogni approccio intuitivo e di ogni riferimento empirico nello studio della matematica. Non fu lo stesso Arnold, riferendosi alla scuola francese, a criticare certi eccessi e i guai che ne derivano?
Grazie per questa discussione! è veramente interessantissima, e lo è ancor più l'articolo nella Sua homepage.
Da semplice profano (insegnante di geometria descrittiva, ma assai poco matematico), però, mi chiedo: coloro che non disegnano la retta, come possono evitare che i loro allievi la immaginino mentalmente, facendo un ricorso all'intuizione forse ancora più forte che a vederla disegnata?
Mi sembra di capire che questi matematici vorrebbero invece che la retta in questione fosse pensata come puro concetto logico e formale.
Esattamente. Come dicevo, tutti i libri "bourbakisti" sono rigorosamente privi di figure, come anche il libro "scolastico" :) di Dieudonné sulla geometria elementare.
Mi sono laureato sul concetto di molteplicità d'intersezione: un argomento difficilissimo trattato in modo algebrico altamente formale. Alla fine non ero in grado neanche di calcolare la molteplicità d'intersezione in un punto tra due semplici curve... E neppure il mio relatore sapeva come applicare le definizioni astratte ai casi concreti. Alla larga...
In coincidenza con la fine del sondaggio sui test, c'è sul CorriereTV un'intervista ad Abravanel sullo stesso tema.
http://video.corriere.it/meritocrazia-scuole-metodo-abravanel/d605d494-3de1-11e0-8c41-24e78bec137b
Contenuti ragionevoli: c'è grande difformità di insegnamento e giudizi fra le scuole, occorrerebbe una valutazione obiettiva. Come dir di no? Ma, in cauda venenum, è arrivato infine un esempio pratico, che la dice davvero lunga.
Calabria e Puglia risultavano nei test ugualmente scarse, ma a un anno di distanza tutto è cambiato: la Puglia è nettamente migliorata mentre la Calabria è peggiorata. Perchè? Perchè in Puglia è arrivata una bravissima dirigente che ha provveduto "a sensibilizzare a formare ai test" il corpo insegnante. Ecco come si fanno i miracoli. Già, perchè migliorare in modo significativo i risultati scolastici e culturali di un intera regione in UN SOLO anno, è un miracolo.
Se le parole hanno un senso è andata così: in Puglia i docenti, opportunamente sensibilizzati, si son messi a formare le scolaresche sui test...in Calabria no.
Non è che in Puglia abbiano insegnato meglio e con più profitto le proprie materie, hanno insegnato i test.
Io son fra gli scettici, ma una possibilità la concederei: e se davvero addestrando ai test (ben fatti secondo me quelli di matematica per le medie) si migliorasse l'apprendimento?
In fisica effettivamente sono molto utili, ma solo come complemento, non come fine.
No guardi, questa non la condivido proprio. Conosco l'intervista dell''ingegner Abravanel e le sue strampalate teorie sulle "competenze della vita", e mi permetto di dire che è una cosa poco seria. In primo luogo, vuol far credere che con qualche mese della sua medicina, la scuola italiana, laddove la ha usata sta guarendo!... Basta così poco per sanare mali endemici? Ma lo vada a raccontare alla nonna, se ci crede. Questi sono comportamenti da piazzista, non da persona seria.
Certo, se uno introduce il teaching to the test, è chiaro che tutto va meglio. È un procedimento autoreferenziale. Si studiano i test da superare e poi, ovviamente, si superano... Il piccolo problema è che il teaching to the test è una buffonata pericolosa, che distrugge la cultura e crea polli di batteria, e se ne stanno accorgendo anche negli USA, ma l'ing. Abravanel ha trovato il paese di cuccagna dove vendere merce avariata. Il prossimo articolo lo riserverò alla scuola finlandese, prima nei test, dove però non sanno più cosa sia una frazione e dove hanno abolito il segno =; ovvero, come ha scritto un matematico finlandese, studiano uno strano oggetto didattico che con la matematica propriamente detta non ha niente a che fare. Ma che per superare i test Ocse-Pisa funziona, eccome.
Sono curioso di leggere l'articolo sull'insegnamento della matematica in Finlandia. Giuro che non ho cercato notizie sull'internet sulla morte del segno =, per provare onestamente a indovinare con cosa sarebbe stato sostituito. Il mio miglior (peggior?) "candidato" è un segno di freccia orientata verso destra; in modo da ottenere contemporaneamente le due perversioni seguenti, intimamente connesse:
1. esaltare l'aspetto "uguale significa: dagli argomenti tiro fuori il risultato", perversione dalla quale è già difficile far uscire diversi studenti, pur usando ancora "=";
2. snaturare "=" dalla sua natura più propria (espressione enfatica voluta): simboleggiare la relazione di equivalenza più equivalenziale che ci sia.
Prof. Israel, ci ho azzeccato?
Il senso è proprio quello anche se il simbolo è più brutale della freccia. Al posto di "=", "V" che sta per Vastaus, in finlandese "Risultato"...
Vede professore, lei tocca un punto che mi sta a cuore da quando insegno: certi esperimenti didattici...ma non è già CHIARO fin dall'inizio (a chi sa cos'è l'apprendimento) che saranno fallimentari?
"Se ne stanno accorgendo negli USA..."
Ma non avrebbero dovuto neanche prenderli in considerazione!
O fare qualche sperimentazione limitata (non si sa mai, proviamo anche questa, che era il senso della mia domanda), mai basarvi una rivoluzione didattica.
Mi sembrano tentativi generati dalla ricerca di qualche scorciatoia, qualche pietra filosofale che inverta i passi da gambero che sta facendo la scuola occidentale nella formazione dei ragazzi.
Ricordo quando Prodi, in un discorso elettorale nel '96 auspicava che ogni alunno avesse il suo PC sul banco...
Anche lì, chiaro come il sole che sarebbero stati più dannosi che utili! Meno male era appunto solo propaganda, ma quanti docenti si son cullati in queste illusioni..
Son già curioso di leggere il suo articolo sulla scuola finlandese.
Ma allora perché lei subito ha dato credito ad Abravanel? Come faremo a non prendere in considerazione certi propositi se, anche dopo che sono stati messi in atto diamo loro credito?
Guardi ch la faccenda dei computer non è rimasta allo stadio di propaganda. Oggi il ministero è dominato dall'ideologia informatica e l'unica cosa che ostacola i loro propositi è la mancanza di quattrini. Intanto hanno invaso le scuole di lavagne interattive. Di recente hanno fatto un convegno sull'insegnamento della matematica mediante computer. Ho provato ad obbiettare e mi sono sentito rispondere che queste sono le nuove frontiere della matematica. Questo è il mondo in cui viviamo: dopo aver lavorato 40 anni in questo settore vieni messo a tacere da un burocrate che si è messo in testa che bisogna riempire tutto di computer e marchingegni informatici. Si informi, e non lasci che la valanga passi sulla sua testa senza accorgersene.
E intanto consiglio la lettura di Paola Mastrocola, "Togliamo il disturbo".
Non c' è dubbio che la mancanza di quattrini in questo caso sia quasi una benedizione... Comunque penso che l' "ideologia informatica" stia man mano diffondendosi anche nell' università. Nei piani di studi triennali, oltre all' immancabile esame di informatica, sono di solito previsti altri esami tutti più o meno varianti di "attività di laboratorio", "attività professionalizzanti" e via così, spesso privi di qualunque legame con la disciplina che si studia. Il tutto, poi, spacciato come didattica d' avanguardia, attività ben più utili nel mondo del lavoro rispetto alle "cose giurassiche" fatte a lezione. Mi ricordo che in triennale dovetti dare un paio di questi esami perché tra le attività formative c' era anche "acquisire ulteriori abilità linguistiche e relazionali" (manco dovessi andare a fare l' impiegato a uno sportello...). E mi ricordo anche che, essendo Informatica l' ultimo esame che diedi e ritrovandomi a lezione insieme alle matricole, alla fine dell' ora tutti gli studenti andavano dritti dritti ad occupare i posti nel laboratorio informatico, ove avrebbero passato il pomeriggio di fronte al pc, invece di dedicare tutto quel tempo ad Analisi I o all' algebra lineare. Riguardo al fatto che un burocrate snobbi un' esperienza quarantennale sul campo, forse sbaglierò ma mi sembra che sia un pò quello che avviene sempre più spesso oggi in società, uno dei prezzi da pagare per internet. Tutti si sentono esperti in tutto, parlano con disinvoltura (e in perfetta inconsapevolezza) di tutto, non sono più importanti l' esperienza e la conoscenza acquisite nel tempo (e fesso chi lo pensa!) perché basta spulciare qualche sito e leggere frettolosamente Wikipedia.
"Ma allora perché lei subito ha dato credito ad Abravanel?"
Mah, mi pareva d'esser stato chiarissimo e d'aver scritto proprio il contrario, come anche sui PC e marchingegni vari, ma un fraintendimento è sempre possibile.
Non credo nei test, e l'esempio portato da Abravanel (di cui fino a questo video sapevo solo quel che ne ha scritto lei ) su Puglia e Calabria è stato per me una conferma illuminante: i discorsi teorici possono anche funzionare ma quando si pretende d'aver migliorato in un anno in modo misurabile le prestazioni di un sistema scolastico (con qualunque metodo) ci si illude e basta. O si vuol illudere. E lui spiega anche come, probabilmente in modo inconsapevole o fidando nell'ingenuità degli ascoltatori.
Detto questo, siccome sono abituato a sottoporre a vaglio critico le mie idee e poichè ci son colleghi favorevoli, sono andato a vedermi questi famosi test per le medie e ho trovato che erano ben fatti.
Un ragazzo che sapesse svolgerli dimostrerebbe, non queste assurde competenze di cui parla A., ma di essere in grado di fare un ragionamento essenziale e di aver ben compreso alcune fondamentali nozioni matematiche.
Quindi come controllo di cosa è in grado di fare uno che esce dalle medie potrebbero anche andar bene (fermo restando che il programma è un altra cosa), mi sono perciò chiesto se addestrare a questi test può aiutare a migliorare le cose: è vero che spesso le conoscenze matematiche vengono insegnate fini a se stesse, mentre quando se ne fa vedere il possibile collegamento a problemi reali l'interesse dei ragazzi si risveglia.
Per questo domandavo a lei e ai partecipanti (molti insegnanti mi pare) se un addestramento a questi test poteva essere comunque utile, pur pensando di no.
Da qui a dar credito a chiunque ce ne corre.
Mi pareva di aver capito così perché lei parlava di contenuti ragionevoli dell'intervista e ne riprendeva tutto il ragionamento sulla Puglia, ecc. Comunque se ho capito male, faccio ammenda. Se i test servono "anche" a controllare cosa si è acquisito, può anche andare. ANCHE. Ma se l'idea diventa: addestriamo a superarli. Allora si va verso il teaching to the test, e altro che programma, è un imbroglio, è sostituire la cultura con un trucchetto. Quanto ai test ben fatti, alcuni lo sono, altri - a mio parere - no. E comunque sono difformi per livello e difficoltà.
Chiarito l'equivoco ma le spiego: volevo proprio rimarcare la differenza fra i primi 3/4 d'intervista, ragionevole perchè parlava di cose genericamente condivisibili ed ero ben predisposto...finchè poi tira fuori quell'assurdo e ingannevole esempio delle due regioni, allora lì ho capito che qualcosa (parecchio) non quadrava.
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