Figurarsi se potrei considerare un reietto chiunque sia stato comunista. Presi la mia prima tessera della Federazione Giovanile Comunista quando ero sedicenne, durante un comizio di Togliatti. Riportava sul disegno di un’impalcatura una frase di Maiakovskij: «milioni di spalle unite che innalzano al cielo la costruzione del comunismo». In verità ero assai intimidito e la prima esperienza fu traumatica: la sezione cui appartenevo fu sciolta per trotskismo… Nella riunione di scioglimento il funzionario inviato dal Partito – un piccolo burocrate pallido in abito “Facis” – sembrava dovesse soccombere di fronte alla forza intellettuale del gruppo dirigente della sezione. Quando si levò a parlare cambiò tutto: ruggiva come un leone, la sua mediocre figura era trasfigurata dall’essere portatrice della volontà del Partito, faceva paura. Restai nel Partito molti anni ancora, ma mai mi liberai dal timore reverenziale che ispirava quella macchina da guerra. È complesso spiegare le ragioni per cui milioni di persone oneste e in buona fede ne abbiano fatto parte, ma la più ovvia è che si era convinti di lavorare per una causa giusta che mirava al bene dell’umanità. Quel che faceva considerare secondari o trascurabili la mancanza di democrazia – del Partito e del comunismo internazionale – e gli innumerevoli delitti di cui era disseminata l’opera di “costruzione verso il cielo”, era il carattere totalizzante e assoluto con cui veniva concepita la “causa”. Non si trattava di migliorare qualche aspetto della società ma nientemeno che di rifarla completamente. Il discorso è complesso e non può essere sviluppato in una rubrica, ma è innegabile che la calamita che ha attratto milioni di persone in buona fede su una via che rendeva complici di una catena infinita di orrori era il carattere “palingenetico” dell’impresa, il fascino che emana dall’intento di “rifare tutto” in modo giusto e perfetto. È un discorso che vale per ogni forma di totalitarismo: il fascino dell’idea efferata della palingenesi, particolarmente attraente per le menti totalizzanti dei più giovani.
È giusto quindi sforzarsi di comprendere. Però ormai questa storia e i suoi orrori sono noti e documentati e piuttosto lascia attoniti che qualcuno pensi di fare una mostra apologetica e persino agiografica della storia del Partito Comunista Italiano, come quella promossa a Roma. Quale persona sensata può trovare oggi tanto interessante contemplare il servizio di tazze da caffè di Palmiro Togliatti, “il Migliore”, ma anche un “orco” – come l’ha definito Giuliano Ferrara – che solleva casomai il problema di come l’intelligenza possa coniugarsi con il male? A qualcuno verrebbe in mente di esporre le tazze di Mussolini? No di certo, ma quelle di Togliatti, sì. C’è chi trova normale visitare con devozione i cimeli di una storia su cui c’è poco da esaltarsi, soprattutto se la si è vissuta in prima persona. Non colpisce non soltanto la persistente impunità concessa al comunismo, per cui appare normale a un vecchio dirigente parlare di una «storia enorme, grandiosa» ignorando come un dettaglio irrilevante i crimini del comunismo (perché nella mostra non vi sono foto dei gulag?) e le complicità del PCI in essi. Colpisce il fatto che non si è trattato soltanto una patetica riunione di reduci, del genere di quella rappresentata nel film “Il concerto”. La mostra ha visto la presenza commossa di tante personalità che sono ancora protagoniste della politica italiana di oggi e che sono state accolte al grido di «è bello rivedere assieme tanti compagni». E c’è qualche fesso che dice che non ha più senso parlare oggi del comunismo (o del postcomunismo).
(Tempi, 2 febbraio 2011)
64 commenti:
In effetti una grande parte di post-comunisti alla fine, con Berlusconi, al potere ci sono andati. Non so però se hanno cambiato la società (o se l'hanno cambiata in meglio).
Quella mostra storica del P.C.I.che lei qualifica apologetica e agiografica non sarà piuttosto semplicemente "nostalgica"?
Qualche lustro prima di lei ci stavo entrando anch'io nel campo magnetico di quella calamita ideologica. Mi salvò l'innamoramento giovanile per Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti: il primo per la fede nella democrazia che effluiva dalle pagine del Mondo, il secondo per le campagne memorabili del suo Espresso contro la corruzione edilizia romana.
Se è nostalgica è ancora peggio...
Ma...Forse è soltanto malinconica?
Eccomi qua, uno dei fessi! :)
Trovo molto giusta l'analisi della ragione per cui tante persone ben intenzionate hanno scelto di considerare secondari i disastri e gli orrori del comunismo (che erano sotto gli occhi di tutti) di fronte alla prospettiva di edificare una società più giusta, se non perfetta.
Ma bisogna anche dire che i fatti d'Ungheria prima, la primavera di Praga poi, le persecuzioni dei dissidenti, la Cambogia di Pol Pot in ultimo, avevano convinto una gran parte degli elettori del PCI a diffidare se non a ripudiare il modello di comunismo praticato in URSS e Cina, c'era la convinzione diffusa che un eventuale comunismo all'italiana sarebbe stato ben diverso. Berlinguer fece sua la definizione di "comunismo dal volto umano" coniata se non sbaglio da Dubcek.
In realtà a quel punto ormai gli elettori del PCI erano in grande maggioranza persone che amavano la democrazia e mai avrebbero voluto una dittatura del proletariato, sperando tutt'al più in riforme sociali..
E si è visto anche con la svolta della Bolognina, solo una minoranza si rifugiò nelle nostalgie di RC.
Le ragioni complesse e molteplici per cui si diventava comunisti, a parte la speranza di "rifare tutto giusto e perfetto" che col tempo si era ridimensionata, furono ben riassunte da Gaber nel suo monologo "Qualcuno era comunista" che vale come un trattato di sociologia politica: e molti che lo erano per alcune di quelle ragioni non se ne vergognano.
E a me pare effettivamente arduo parlare oggi di comunismo, è vero che nonostante il fallimento epocale vi sono ancora parecchi "irriducibili" impermeabili alle evidenze storiche, ma quanto contano? O meglio da noi una certa importanza ce l'hanno, ma solo nella misura in cui danneggiano la sinistra riformista, con i voti che sottraggono e con la propaganda che permettono alla parte avversa.
Il consumismo (non la libertà) si è dimostrato molto più potente del comunismo e indietro non si torna
Secondo me il lento sfaldamento del PCI italiano non è dovuto, se non in minima parte, alla scoperta degli scheletri nell'armadio del blocco dell'Est. Quando mai gli italiani sono stati consapevoli di qualcosa? Il vero colpo di grazia è stata l'avanzata dell'edonismo craxiano (la cui fase senile è il bunga bunga). Questa nuova Weltanschauung (night-clubs, allegria ecc.ecc.) ha avuto un effetto irresistibile sul medio dirigente PCI ben descritto dal prof. Israel nel suo articolo. E son tutti passati in massa allo PSI.
Fin dai tempi biblici edonismo
e moralismo sono rappresentazioni della politica :
"La prima di color di cui novelle/
tu vuo'saper" mi disse quelli allotta,/"fu imperatrice di molte favelle./A vizio di lussuria fu sì rotta,/che libito fé lecito in sua legge,/per torre il biasmo in che era condotta."
E che vuol dire? C'erano tempi in cui si facevano sacrifici umani. Cio' non li giustificherebbe oggi!
Lucio Demeio
Giusto. E inoltre quei versi di Dante andrebbero usati per denunciare, non per assolvere.
Ancora no,in Italia legalmente sono proibiti
Il vecchio proverbio "Le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni" mi pare calzi a pennello con la storia del comunismo. Dalla quale la maggior parte dei comunisti di oggi, e forse degli ex-comunisti, sembra non aver tratto alcun insegnamento utile.
Per me è grave aver consentito l'allestimento di quella mostra, esattamente come sarebbe stato grave allestirne una sul nazionalsocialismo.
Togliatti poi è responsabile di molti crimini, non solo indirettamente. Si veda, al proposito, il volume di S. Bertelli e F. Bigazzi, PCI. LA STORIA DIMENTICATA.
Un uomo onesto e ragionevole si chiede oggi: "Com'è possibile che io sia stato comunista? Ma è proprio successo a me?" Più o meno è la domanda che si pose François Furet, l'autore di LE PASSE' D'UNE ILLUSION, comunista dal 1949 al 1956, come lui ci fa sapere. La risposta è "cecità, ignoranza e presunzione". "A quarante ans de distance - dice Furet - je juge mom aveuglement d'alors sans indulgence mais sans acrimonie. Sans indulgence, parce que l'excuse qu'on tire souvent des intentions ne rachète pas à mes yeux l'ignorance et la présomption. Sans acrimonie, parce que cet engagement malheureux m'a instruit." Ciò che non è successo, purtroppo, ai curatori della mostra e a tanta "intellighenzia" del nostro paese dove, unico fenomeno al mondo, credo, si è tentato addirittura di "rifondare" il comunismo.
A me sembra che il comunismo non si sia più, ma i comunisti ci siano ancora eccome.
E l'essere comunisti consiste nel pensare di avere sempre ragione a priori, derivante dalla convinzione marxista di possedere le chiavi delle leggi che avrebbero dovuto condurre ineluttabilmente ("scientificamente") a una data evoluzione storica.
Oggi quella evoluzione non si è verificata, né qualcuno (o quasi) pensa più che possa verificarsi. Ma la presunzione di essere moralmente e culturalmente superiori è rimasta. Negli intellettuali più che nei politici, ma comunque un po' anche in questi.
Ne fa fede, ad esempio lo star sempre con l'indice alzato e il sopracciglio aggrottato che contraddistingue certi personaggi televisivi.
O la convinzione autoconsolatoria, ripetutamente affermata, che "la gente" vota per il centro destra perché non legge i giornali e guarda i reality.
Ne deriva anche il fatto che, a differenza di quanto avviene in tutti i Paesi democratici del mondo, la sinistra (o almeno, molti che stanno a sinistra) non ritiene di doversi conquistare i voti avanzando proposte che, ad esempio, possano richiamare i centristi o gli indecisi.
Tanto, si pensa, abbiamo ragione noi e appena rimosso il prossimo ostacolo (prima Craxi, poi Berlusconi, e avanti col prossimo) facendo ricorso a tutti i mezzi disponibili, sorgerà il sole dell'avvenire.
Di conseguenza, la democrazia italiana è azzoppata della gamba sinistra, e questa situazione non porta certo a migliorare le condizioni anche della gamba destra.
Credo che questa sia una ragione, e non l'ultima, del fatto che l'Italia sta andando in rovina.
Condivido in toto. E aggiungerei che quel che aiuta la persistenza di questa gente è l'indifferenza di tanti, di troppi, nei confronti dei crimini del comunismo. Posso dirlo come ebreo? Si parla del Lager in modo reverenziale. Ma quando si parla del Gulag sembra che sia stato un luogo di scampagnate in cui, è vero, si lavorava un po' troppo, ma insomma... La letteratura o la filmografia sugli orrori del comunismo è esile e boicottata. Io darei come libro di lettura nelle scuole "Vita e destino" di Grossman, un romanzo del livello dei grandi classici russi, che spiega in modo magistrale l'equivalenza tra i due sistemi, nazista e comunista. E trovo scandaloso che un film straordinario come "La vita degli altri" sia stato praticamente boicottato.
Una domanda: i non comunisti non pensano di aver sempre ragione? Avrei un nome in mente in particolare...
Di nomi ne trova quanti ne vuole, ma consiglierei di leggere il libro di Luca Ricolfi (persona di sinistra) sul perché la sinistra si rende "antipatica".
Caro Papik, non sono punto d'accordo! :)
I post-comunisti son talmente poco sicuri di sè e dell'appeal delle proprie idee che han dovuto rivolgersi a Prodi, Amato, Rutelli e poi Veltroni (l'unico che ha rinnegato il comunismo) per affrontare le elezioni con qualche speranza di successo.
E' vero invece che l'atteggiamento che lei indica è ancora relativamente diffuso nell'elettorato di sinistra...è un fenomeno antico, di orgoglio (acritico certo) per le proprie idee, speculare spesso alla vergogna o reticenza di chi votava DC e oggi vota Berlusconi senza confessarlo.
E' la spocchia dell'idealista (o che si suppone tale) verso chi si pensa miri solo al proprio interesse.
L'eventuale mancanza di idee secondo me non dipende da questo senso di superiorità che esenterebbe dal coltivarne...magari. Non ci sono e basta, come non ce ne sono di là a parte il "meno tasse per tutti" che non è proprio una novità epocale.
Che il cdx peschi più fra i meno acculturati mentre il csx fra chi ha titoli di studio è un dato certo, anche se secondo me non vuol dir molto: avevano avuto più buon senso le plebi meridionali subornate dal parroco dei fini intellettuali che preconizzavano la rivoluzione.
Anche per me non si può trattare il comunismo con miopia e condiscendente leggerezza.
Tanto per rincarare la dose su quanto detto dall'egregio Myosotis, dico che è per me motivo di malumore osservare la scioltezza con la quale - almeno nell'ambiente in cui vivo - il comunista (ex- post-... quel che si voglia) tende ad assolvere la sua ideologia ed a volare alto altissimo sulla sua storia in modo che ne sfuggano alla vista le fattezze. In nome di ideali che ritiene sempre freschi e luminosi? Ideali poi che si sposano alla “passione” di gioventù, passione e gioventù che ispirano soprattutto tenera (ma pure orgogliosa! “veniamo da lontano”) nostalgia per se stessi al tempo della purezza . Nel comunista , ma temo anche in chi comunista non è, mi pare così diafana la traccia del riconoscimento di un nesso essenziale e consequenziale che annoda l'ideologia e la condotta della coscienza del comunismo ai suoi esiti storici. Ragionare in questo modo per me significa esserci dentro ancora fino al collo, come ai bei tempi di Sartre.
Leggendo il citato monologo di Gaber mi è tornato il ricordo di una pubblicità televisiva - ormai storica e penso proficua al tempo - nella quale un produttore di buona pasta alimentare si promuove con un'abile videomontaggio intrufolandosi sorridente al fianco di Stalin benedicente sulla Piazza Rossa gremita. Una pubblicità che si proponeva di muovere al sorriso il telascoltatore (devo dire che ho sorriso anche io, mannaggia) e comunicargli un senso di simpatia, presumo. Poi c'è il male assoluto, certo: di sicuro questo produttore di buonissima pasta mai neanche per un istante ha pensato di proporsi con immagini fittizie al fianco di Hitler alla Porta di Brandeburgo o più modestamente di Mussolini a Piazza Venezia.
Mi duole caro Nautilus ma quel che lei dice costituisce una conferma. Non avendo voluto mai compiere una revisione radicale nel giudizio del comunismo (come si vede ancora adesso) i postcomunisti hanno pagato il prezzo del fattore K, e si sono condannati a non mettere mai avanti un loro leader, salvo che intrufolarlo senza elezioni, come D'Alema. Li ho sentiti quando dicevano, dopo la caduta del muro: «Ora dovremo entrare in clandestinità per qualche decennio». Così si sono sorbiti Prodi, che peraltro è un cattocomunista a 24 carati, Amato che è buono per tutte le stagioni, e quanto a dire che Veltroni ha rinegato davvero il comunismo, beh, mi scappa da ridere. Rutelli è stato una scelta in un momento di disperazione. Ma si rende conto che ancor oggi (ancor oggi!) tra costoro si chiamano con l'appellativo "compagno"?!...
"Vita e destino" di Vassilij Grossman circolava in Francia già negli anni '60, "I racconti della Kolyma" negli anni '80. Entrambe queste pietre miliari della cultura mondiale sono state adeguatamente tradotte e distribuite in Italia solo molti anni dopo. Avrebbero potuto cambiarmi la vita quando avevo 20 anni, lo hanno fatto quando ho superato i 50. Se siamo stati comunisti lo dobbiamo anche alla censura del potere culturale egemone a quei tempi, quello comunista. Siamo stati vittime della presunzione e della protervia così ben descritta in questo post ed in alcuni commenti. La cosa incredibile è che ancora ci sia chi parla del comunismo con affetto e nostalgia e ironizza verso chi usa questo termine in modo negativo. E' pura incoscienza e mancanza di memoria storica.
Qui scappa da ridere a me. Romano Prodi un catto-comunista??? E per giunta a 24 carati? Per favore !!
Allora anche Aldo Moro e Benigno Zaccagnini erano catto-comunisti (certamente con migliori credenziali in tal senso)??
Sempre cordialmente,
Lucio Demeio.
Caro Lucio Demeio, forse farebbe meglio a non ridere troppo presto. Forse lei ignora totalmente la storia del dossettismo bolognese, di cui Prodi è il principale erede, e che è stato sempre etichettato come "cattocomunismo": non me la sono inventata certamente io....
Anche i commentatori più "comprensivi" come Massimo Introvigne, non hanno mancato di osservare:
[Da «il Giornale», 14 Dicembre 2006]
Dopo i fischi dell’Italia reale al Motor Show, Prodi è tornato nella sua vera casa culturale celebrando il fondatore di quella «scuola di Bologna» di cui è l’ultimo erede in politica, don Giuseppe Dossetti, ricordato in un convegno a dieci anni dalla morte. Le relazioni del convegno riconoscono che il cattolicesimo debole di Dossetti è lontanissimo da quello forte di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Cercano tuttavia di rivalutarlo da tre punti di vista: ma hanno torto su tutti e tre. Anzitutto, Dossetti avrebbe previsto il declino della presenza cattolica in Italia, le «Chiese vuote» cui non pongono rimedio le «piazze piene» degli ultimi Papi. Senonché le Chiese sono vuote soprattutto dove si predica il cattolicesimo debole dossettiano. Mentre per quanto riguarda il quadro generale italiano un cattolico democratico che è insieme un eccellente sociologo come Franco Garelli, nel suo recentissimo L’Italia cattolica nell’epoca del pluralismo, ha giustamente criticato il luogo comune «piazze piene, chiese vuote» rilevando come a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II le statistiche non fasulle mostrino una sostanziale tenuta della Chiesa italiana e perfino una crescita della sua influenza.
In secondo luogo, quello di Dossetti sarebbe un messaggio profetico quando invita la Chiesa a sciogliere il suo plurisecolare matrimonio con la filosofia greca per accettare una «povertà» che la renda aperta a tutte le culture e capace di incontrare in modo pacifico le altre religioni, islam compreso.
Non solo siamo qui agli antipodi del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI, ma si tratta di una strategia mandata in frantumi dall’11 settembre. Come ha ribadito nel viaggio in Turchia Papa Ratzinger di fronte all’identità fortissima dell’islam nel XXI secolo è possibile resistere prima ed eventualmente dialogare poi solo a partire da una consapevolezza a sua volta forte dell’identità occidentale, radicata precisamente nell’eredità greca e in quel rapporto armonico fra fede e ragione che manca all’islam. Infine, il convegno di Bologna vuole strappare a Dossetti l’etichetta consueta di «cattocomunista», ricordando che nel 1948 il padre spirituale di Prodi votò per De Gasperi e non per Togliatti e che neppure negli ultimi anni accettò veramente il marxismo. È vero: la posizione di Dossetti, come quella di Prodi, è piuttosto terzaforzista. Nella Guerra fredda Dossetti capisce di non potersi schierare con l’Unione Sovietica per una serie di ragioni geopolitiche e religiose, ma nello stesso tempo non ama gli Stati Uniti e cerca di posizionarsi a metà strada. È questa l’eredità di Dossetti più cara a Prodi. Neppure Prodi, certo, è comunista. Ma in politica interna cerca affannosamente la terza via fra liberismo e socialismo, in una pasticciata combinazione fra liberalizzazioni più o meno fasulle e corsa a tasse sempre più alte. E in politica estera adatta il terzaforzismo di Dossetti, che era stato pensato per la Guerra fredda e non aveva funzionato neppure per quella, alla nuova guerra mondiale fra Occidente e ultra-fondamentalismo islamico, cercando di non stare né con Israele né con gli Hezbollah (secondo la formula dell’«equivicinanza» di D’Alema), né con Bush né con i terroristi iracheni. Oggi sappiamo che, salva l’eventuale buona fede di Dossetti, il terzaforzismo si rivelò un oggettivo aiuto all’Unione Sovietica.
Si, forse ha ragione. Ma il termine "cattocomunismo" e' entrato nel linguaggio comune solo negli anni '70, con Raniero La Valle; il dossettismo (che pero' conosco poco) ne e' al massimo un'anticipazione. Il significato di "cattocomunista" e' sempre stato per me quello di una persona che si dichiara al tempo stesso cattolico e comunista. Nella cerchia di colleghi ed amici ne ho conosciuto tanti e ne conosco ancora, ma tra i personaggi pubblici di rilievo mi vengono in mente solo Donat-Cattin e Raniero La Valle. Non ho mai pensato che un'apertura politica verso il PCI, e tantomeno verso i DS o il PD, fosse sufficiente per definirsi cattocomunista. Non ho mai sentito Prodi dichiararsi comunista. Allora Berlusconi cos'e'? Stando alla sua alleanza con la destra ex-missina ben prima del viaggio in Israele di Fini, Berlusconi e' un catto-fascista?
La saluto,
Lucio Demeio.
Cattocomunista o no, Prodi ha governato in tutto neanche tre anni, dal '94 in avanti. Il cattolicesimo italiano si sente evidentemente più a suo agio con Berlusconi e le sue girls, come è giusto che sia in democrazia.
In ogni caso, quando, nel '94, alla mia già allora veneranda età ho visto un membro della famiglia Ferrara seduto ai banchi del governo, ho capito che la rivoluzione proletaria era comnpiuta.
Come si vede che la politica infiamma gli animi! Scivolati nell'ossimoro del catto-comunismo e nel fenomeno dossettiano, mi permetto di segnalare, per chi sia interessato all'argomento, le opere di uno studioso che l'ha conosciuto dall'interno, avendo collaborato a lungo con Dossetti prima di separarsene e di criticarlo duramente: Gianni Baget Bozzo. In particolare: Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Firenze,Vallecchi,1974; L'intreccio. Cattolici e comunisti 1945-2004, Mondadori, 2004; Giuseppe Dossetti. La Costituzione come ideologia politica, Ares, 2009.
Al signor Lucio:
Il cattocomunismo non è un ossimoro come sembra. Covato in quel crogiolo che fu il ’68 (ma i semi già esistevano con varie datazioni fin dall’anno 1000) è venuto alla luce dopo il crollo del muro di Berlino. Fu allora che tanti cattolici credettero di vedere il Regno di Dio, predicato da Gesù e vissuto eroicamente da S. Francesco d’Assisi, come realizzabile con il marxismo. Scegliendo con cura certi passi del Vangelo di Gesù e dei Fioretti del Santo d’Assisi si convinsero che il “Regno di Dio” non era una metafora trascendente ma una costruzione realizzabile senza attendere il Giudizio Universale. Occorreva solo “piegare” il Capitale di Marx alla concretezza delle comunità cristiane. E fare diventare la religione cattolica l’arma dei popoli anziché il loro oppio.
Caro professore, è una conferma sì, ma di qualcosa che io non ho mai voluto negare: la mancanza di autocritica del gruppo dirigente ex-PCI traghettato al liberalismo senza una spiegazione convincente delle ragioni per farlo, oltre quella evidente del crollo nei paesi socialisti della loro ideologia.
L'unico che provò a farlo ribadisco fu Veltroni ma nel modo più furbo e peggiore: dichiarò di non esserlo mai stato, svicolando così dal problema. Come dirigente responsabile non doveva farlo.
Eppure ne capisco la ragione: moltissimi, dopo gli anni '50 la grande maggioranza non era "comunista" nel vero senso del termine, pochi volevano la "repubblica democratica italiana" tipo DDR, la grande maggioranza erano semplicemente oppositori. Oppositori della DC, delle ingiustizie sociali, del colonialismo, del capitalismo, del fascismo ecc. ecc.
Per questi il PCI era il posto giusto, il "paese pulito" di cui parlava Pasolini nel '74, contrapposto al "paese sporco", il "paese onesto" in un "paese disonesto", il "paese colto" in un "paese ignorante".
In questo credevamo, non in Breznev o Mao o nella dittatura del proletariato, tranne una minoranza fanatica.
Pasolini nello stesso articolo scriveva:"Credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti." Come noi comunisti italiani di allora. Dico "noi" pur non essendo stato mai iscritto, ma non importa.
Con la fine del PCI non è finita questa percezione di tanti, di cui parla Papik, che dall'"altra parte" ci siano la sporcizia, la disonestà e l'ignoranza e di qua sia rimasto un minimo di pulizia, decenza, legalità e qualche dato di fatto che conferma la giustezza di questa percezione esiste.
Poi esistono i "nostalgici", come no. Incapaci di vedere o che non vogliono vedere che il Comunismo è un' ideologia che semplicemente non può funzionare, non è adatta per gli esseri umani e può solo sfociare in dittature, più o meno militari.
Dubito però che i politici che ancora si appellano di "compagni" abbiano di queste illusioni: c'è una lettera aperta alla sx di Sansonetti, Velardi e altri (Bobo Craxi) fortemente critica verso il "giustizialismo" contro il PdC che comincia:"Cari compagni...", segno che è una parola identificativa anche di una parte del centrosinistra e non solo dei conservatori dell'ideologia.
Per il catto-comunismo, mi associo in toto a quanto detto da Lucio.
Senta, io sono stato iscritto al PCI dal 1962 al 1981 e non mi venga a dire che gli aderenti al PCI non erano comunisti in senso pieno. Certo, era la via italiana, ma si discuteva - e anche nel gruppo dirigente - su come fare la rivoluzione. Per via pacifica, con la teoria gramsciana delle casematte, quel che vuole, ma non raccontiamo favolette. Il PCI era - come disse uno dei suoi massimi dirigenti - il "partito che fa la rivoluzione" e che cambia i rapporti di proprietà. Partito di lotta e di governo... persino nella fase berlingueriana... E le assicuro che quel che ho riferito - «adesso ci toccherà entrare in clandestinità per qualche decennio - è frase detta testualmente anche questa da uno dei massimi dirigenti, che ancora lo è!... E quanto al cattocomunismo, vuol forse dire che è un'invenzione? Ma per favore... Guardi che esiste anche quello che io ho chiamato il "giudeo-comunismo": basta guardarsi attorno.
Non le pare che sia il caso di parlare una buona volta il linguaggio della verità e non la "langue de bois", come dicono i francesi? Non le pare che sia proprio questa reticenza la causa principale di tutti i mali che affliggono la sinistra? Ma le sembra di poter dire che esistono ancora ragioni per credere nella superiorità antropologica? Ma lei davvero crede che quel che è accaduto e accade in Campania sia un segno di superiorità antropologica? Mah....
Caro Nautilus,
ma ha mai letto, ad esempio, quello che suole scrivere un Andrea Camilleri degli elettori di Berlusconi? Lei mi obietterà che il maitre-à-penser in questione è ultraottuagenario; ma il guaio è che questo atteggiamento è condiviso da una quantità di fan anche giovani e giovanissimi.
E il guaio peggiore è che l'atteggiamento in questione, si può discutere se sia ingiusto ed errato (io, personalmente, ne sono convinto); ma quel che è certo è che è irrimediabilmente perdente.
Si può anche continuare a pensare che dall'altra parte sono tutti brutti, sporchi e cattivi evasori fiscali; ma se si continua a pensarlo, si perdono le elezioni per i secoli dei secoli.
Allora, forse converrebbe alla sinistra cercare di comprendere quali sono i motivi reali per i quali la maggioranza degli italiani vota il centro-destra, e di attrarre una parte di questa maggioranza a cambiare; ma a tal fine, continuare a ripetere che si tratta di una banda di mascalzoni e schiavi della tv-trash è alquanto controproducente. E danneggia, purtroppo, non la sola sinistra, ma tutto il Paese.
E il gran maestro di questa superiorità antropologica è Umberto Eco, che enunciò la teoria una quindicina di anni fa. Scrisse sulla Repubblica che chi non votava a sinistra era o un mascalzone o un cretino, tertium non datur. Venne la batosta elettorale, puntualmente.
Potrei aggiungere che quando si esce dalla sinistra si è messi in quarantena senza limiti di tempo (infinitena...). Ancora oggi, a distanza di 30 anni (!!) dalla mia uscita dal PCI gente con cui avevo avuto un lungo rapporto di amicizia non soltanto non mi saluta più, ma attraversa la strada quando mi vede da lontano...
Sarò cecato, ma io tutta questa sicumera, arroganza e orgoglio dei comunisti non la vedo. Mi pare anzi che facciano a gara a chi si dissocia di più. Di contro, alcuni fascistoni (oggi sugli scranni più alti) che ai bei tempi menavano in piazza San Babila e dintorni sono invece molto orgogliosi del saluto romano, e talvolta gli prudono ancora le mani.
Fermo restando che sono rimasto fuori dal comunismo per ragioni generazionali, e che sono fermamente convinto che si tratti di una delle più riuscite manifestazioni dell'Anticristo, ogni volta che scopro che un conservatore intelligente e razionale (in questo caso il Prof. Israel, che spero non si adonti di essere definito "conservatore") è stato comunista da giovane ci resto secco. Ovviamente non m'importa di sentire abiure (quelle le lasciamo ai dirigenti PCI "mai stati comunisti") né mi permetterei mai di associare un militante italiano ai delitti spaventevoli di Stalin. Ma ci resto secco lo stesso. Perché lo siete stati tutti? Noi, al massimo, siamo stati tutti fan di Mazinga...
Perchè? Perchè da giovani si è conformista. E perché il comunismo si presentava come l'unico movimento che perseguiva nobilmente la giustizia e l'uguaglianza. Il comunismo racchiudeva in sé la crema dell'intellettualità. Un giovane intellettuale di allora (ma anche adesso...) riusciva (e riesce) difficilmente a non dirsi di sinistra senza essere emarginato. Ma che cosa credete che sia l'università ancora oggi? Chi non è di sinistra è guardato come un alieno. Solo che a me da tempo non me ne importa più un fico secco. Ma lo so benissimo che cosa dicono di me e che prezzo si paga. Per esempio, essere emarginato da tutte le iniziative culturali che "contano". Ripeto, a me non me ne importa un fico secco se non mi invitano al Festival della Scienza di Genova o non posso scrivere su gran parte di certa stampa. Ma per un giovane è facile affrontare tutto questo?
Non so. La storia della spectre pluto-catto-comunista che controlla la cultura la sento da quando avevo i calzoni corti. Io credo che se l'Oscar lo danno a Benigni o Salvatores e non a Barbareschi è perché i loro film sono, semplicemente, più belli, non per oscure trame internazionali. Idem per Camilleri (che io non sopporto, ma vabbe') rispetto, che so, a un Buttafuoco. Credo sia piuttosto la spietata legge del mercato, tanto di moda di questi tempi.
Lasci stare la Spectre. Non è che ridicolizzando si annulla il problema. Perchè? Odifreddi (tanto per fare un solo nome, ma ce ne sono decine) è sulla cresta dell'onda per la qualità di quello che scrive? Ma, per favore...
Be' Saviano è autore (best-seller) di destra, che la destra sta facendo di tutto per scaricare e regalare alla sinistra. Se ti dicono che non sei abbastanza martire perché sei ancora vivo, poi certo che uno si butta a sinistra.
Saviano di destra?... Beh, allora, direi che lei ha bisogno di una buon tagliando al suo sistema di coordinate...
Ok, allora prenoto il tagliando con Facci e, udite udite, Socci
http://www.ilpost.it/filippofacci/2010/05/11/fede-saviano-e-noi/
Introvigne e Baget-Bozzo per un commento storico e politico? Come dire, leggere Kolosimo o Velikovsky per studiare relatività generale o Dan Brown per fisica delle particelle.
Pure, nella mia breve stagione di impegno politico, a cavallo della maggiore età, ero su uno schieramento decisamente anticomunista. Molti di coloro che all’epoca erano comunisti, ora mantengono la stessa impostazione, anche se al servizio dello schieramento opposto: culto di una personalità fonte di ortodossia e potere, ed una retorica aggressiva e ripetitiva asservita ad un giustificazionismo assoluto; probabilmente sono stati reclutati proprio per questo. Per quello che posso dire, dal punto di vista della gestione dell’informazione istituzionale (per fortuna non ancora nel controllo individuale, a patto di non essere tra i soggetti invisi alla personalità di cui sopra), l’attuale sistema è il più sovietico di cui conservi memoria.
Eppure eppure... sicuri che non sia proprio Berlusconi il più formidabile agente di scristianizzazione del nostro paese? Magari anche più del vecchio PCI?
Rispondo volentieri a papik e al professore sull'interessante questione della superiorità antropologica.
Manco a farlo apposta ier l'altro Filippo Facci ha scritto un articolo su "Libero" che vi si può ricondurre. Facci critica il "vecchio bigottismo comunista" che ha costretto alle dimissioni Marrazzo e Del Bono essenzialmente per scandali sessuali privati. E anche su Berlusconi quel che scandalizzerebbe la sx non sono i reati, ma il fatto che è moralmente indegno.
Par di capire che la posizione di Facci sia che su faccende private come queste persone civili e non faziose dovrebbero sorvolare.
E qui casca a puntino la questione antropologica.
Si ha un bel essere uomini di mondo e non bigotti, ma è tollerabile dai suoi elettori che un uomo politico di alte responsabilità, sposato, che si atteggia a cattolico, vada a trans a colpi di migliaia di euro per volta? E Del Bono, davvero quel che interessa gli elettori è che avesse un' amante o piuttosto che la stessa utilizzasse un bancomat che le permetteva l'accesso a soldi pubblici per le sue spese?
Queste persone sono degne di ricoprire incarichi pubblici e soprattutto di ricevere il mio voto? Se si chiede a me rispondo NO, se si chiede a Facci invece SI'. Quindi sbaglierò, ma io mi sento "antropologicamente superiore" a Facci, che pure stimo per molte cose, e a tutti quelli che la pensano come lui.
Scommetto che se in questo periodo si chiede agli americani o agli inglesi, pure loro si sentono antropologicamente superiori agli italiani. Sbagliano?
Per la questione del PCI...non ne ho mai frequentato i dirigenti ma ricordo bene che nel '73 o giù di lì Berlinguer lanciò l'idea del "Compromesso storico", che non era proprio un progetto di rivoluzione socialista.
Può benissimo darsi ci fossero dirigenti fessi e fanatici che credevano ancora nella sovietizzazione dell'Italia, ma quelli che contavano davvero mi pare avessero solo desiderio di riforme, magari condivise per non rischiare un disastro annunciato.
E anche la base...ma chi la voleva "veramente" la rivoluzione? Volevamo più diritti sul lavoro, più speranze per i figli, casa, automobile e TV, la "giustizia e l'uguaglianza" andavano benissimo e ci riscaldavano il cuore ma quasi nessuno avrebbe cambiato lo status di cittadino di un paese capitalista per il "paradiso socialista" se non forse a parole, comunisti sì ma fessi no.
Concordo con molto di quel che scrive Massimiliano.
Caro Attento,
mi sembra un po' strano che “Vita e destino” di Grossman potesse circolare in Francia già negli anni '60. Finito nel 1962, sequestrato dalla censura sovietica (dattiloscritto e macchina per scrivere), in URSS non fu mai pubblicato. La prima edizione dovrebbe essere quella di Losanna del 1980 (in russo, nel rispetto della volontà espressa dall'autore).
Prof. Israel,
è vero che “Vita e destino” è un libro che bisognerebbe far leggere a scuola, anche, dico “anche”, perché è uno dei rarissimi esempi di romanzo epico della letteratura contemporanea. Ma, di fatto, a meno che non si scelgano e si estrapolino dei brani, sarebbe troppo impegnativo da proporre nella voluminosa edizione Adelphi. Dico questo perché ho scoperto che esiste un'edizione scolastica della Loescher, a cura di Emilia Dellepiane, in una traduzione dal russo di Cristina Bongiorno, del 1985. Non sarà filologicamente esemplare (che sia una traduzione del primo microfilm pervenuto?), ma ha tutto un apparato di schede di lettura guidata, prove di comprensione della lettura e suggerimenti per la ricerca e l'approfondimento. Certo, a scuola, se l'edizione fosse ancora in circolazione, sarebbe più abbordabile.
“Per me tu sei l’umanità e il tuo terribile destino è il destino dell’umanità in questi tempi inumani”, scrive alla madre, a cui dedica “Vita e destino”, suggerendo forse il senso profondo del romanzo, in direzione della dignità della figura materna femminile, come fonte di salvezza, che ho ritrovato nelle pagine di “La Madonna a Treblinka”.
per Nautilus: e forse meriterebbe anche una menzione l'atteggiamento del PCI al tempo del terrorismo: ricordate l'asse Cossiga- Napolitano? Cossiga ha a più riprese pubblicamente dato atto del contributo del PCI alla tenuta dello Stato in quei frangenti.
Grazie, Prof., della sua risposta che mi tocca più di quanto ella possa immaginare: anch'io lavoro all'università e nel suo stesso settore (con un ruolo ben più modesto, però) e anche adesso, in tempi di berlusconismo rampante e di destre che stravincono in tutta Europa, il mondo accademico mantiene intatte le sue prevenzioni e intolleranze. Ne sono dolorosamente consapevole. Va anche detto che la destra politica non fa molto per favorire lo sviluppo di una "controcultura" conservatrice, e che non si campa solo col "Foglio" e i blog. Tuttavia, la sua (forse troppo modesta) autoaccusa di conformismo non mi sembra del tutto soddisfacente come spiegazione. A sentire certi racconti, mi sembra che questo "mitico" PCI sia stato per decenni il solo luogo d'Italia dove si esercitasse l'intelligenza, dove fosse possibile sentirsi nel giusto (anche sapendo un mucchio di cose orribili sul comunismo realizzato), dove dialettica e coraggio si incontrassero. Non posso fare a meno di pensare a una sorta di lunga ipnosi collettiva, più forte del semplice conformismo (che d'altra parte allignava anche in altri ambienti, quello cattolico per esempio). E questo, a opera di un partito che NON era al governo! Ripeto, non sto muovendo accuse: la mia generazione (i trentenni di ora) è anche più pecorona delle precedenti e non ho le carte in regola per predicare. Sto semplicemente riflettendo su un fenomeno sociale e culturale di portata sorprendente.
Assolutamente corretto e lungi da me voler essere riduttivo. Un enorme fenomeno di ipnosi collettiva, di ipocrisia, di sonno della morale. In linea generale credo che si spieghi parecchio con il fascino malefico dei miti palingenetici: ne ho parlato a lungo in due miei libri. In uno di questi l'editore mi chiese di sopprimere proprio il capitolo sul marxismo!!... E quanto al fatto che il PCI non fosse al governo... Non lo era e per certi versi questo gli permetteva di comandare ancor di più. Guardi che almeno due candidature di rettori della Sapienza (tra cui Ruberti) si decisero nella Federazione del PCI romano (ero presente) davanti all'allora segretario Petroselli, cui è intestata una importante via di Roma. E negli anni settanta persino chi dovessero essere i direttori dei dipartimenti veniva discusso nella sezione universitaria del PCI, così come le candidature alle presidenze di Facoltà, ecc. ecc. E il bello è che non si trattava di decisioni platoniche. Finiva quasi sempre come deciso...
Caro Nautilus,
se il padrone di casa mi passa l'OT, le dirò, a proposito della superiorità antropologica (termine che peraltro io non ho mai usato nei miei post): sono incline a credere che il mondo sarebbe un posto migliore se ciascuno rinunciasse a sentirsi antropologicamente superiore a chiunque altro.
Tutti noi abbiamo lati positivi e negativi, chi commette degli errori e dei reati è giusto e doveroso che li paghi, ma la superiorità o inferiorità antropologica la lascerei proprio perdere. Come diceva un grande Santo del cattolicesimo: chissà cosa sarei capace di fare io se il Padreterno mi togliesse la mano di sopra la testa.
Per quanto riguarda i meriti del PCI, in alcuni campi e in particolare nella lotta al terrorismo, questi sono indubbi e Guido Rossa è una delle mie figure eroiche.
Ma il compromesso storico era l'esatta negazione del principio democratico, basato sull'alternanza, e quanto all'idea di eurocomunismo che Berlinguer proponeva in quegli stessi anni, stenderei un velo pietoso.
La realtà è che si inventavano le formule più strane pur di non abbandonare un'idea di fondo che si era dimostrata fallimentare ovunque, perché non si poteva ammettere che fosse fallimentare; e non lo si poteva ammettere, appunto, perché non si poteva contraddire la "verità scientifica".
Un episodio: una volta, ai primi anni del liceo, il professore diede come tema da commentare la frase di Churchill secondo la quale "la democrazia è il sistema peggiore dopo tutti gli altri". Come lo svolse un mio compagno di classe che era un dirigente della FGCI a livello provinciale? affermando che sì, la frase poteva essere spiritosa se riferita al mondo occidentale, ma non trovava alcun riscontro in relazione ai Paesi dell'Est, dove c'era la democrazia nel vero senso della parola. Ed eravamo nel 1972 o '73 (cioè tre o quattro anni dopo l'invasione di Praga), non nel '48.
Caro Papik:
"La realtà è che si inventavano le formule più strane pur di non abbandonare un'idea di fondo che si era dimostrata fallimentare ovunque, perché NON SI POTEVA ammettere che fosse fallimentare;"
Concordo nel modo più assoluto!
E'proprio di questo che si tratta ed è legato a quel che dice il prof. Israel: l'ipnosi collettiva di un sogno di giustizia che "Era troppo bello per NON esser vero!"
L'ipnosi consisteva nella volontà e nella speranza (troppo troppo a lungo coltivata) di credere alla sua realizzazione al di là di ogni evidenza, si trovavano sempre scuse per rimandare la dolorosa resa dei conti.
Per dire, al sottoscritto ci son voluti anni e gradi successivi per uscire in modo totale dall'illusione.
Anche sulla questione da lei trattata in un post precedente, quella degli elettori di destra "brutti, sporchi, cattivi ed evasori" concordo abbastanza sul fatto che si tratti di una credenza consolatoria da parte della sx, almeno limitatamente al fatto che sia QUELLA la ragione per cui perde.
Sulle differenze antropologiche...diciamo la verità, chi può saperlo. Certamente in Italia c'è una maggioranza di tifosi e di faziosi e son questi, di qua e di là che perpetuano, per la gioia di capi e capetti, un clima di scontro permanente e di "Chi non è con me è contro di me."
Ottimo Junco, hai ragione, la prima edizione di "Vita e destino" fu pubblicata in Francia in lingua russa nel 1980 (seguita a ruota da quella in francese ed inglese). Non voglio simulare una erudizione che non ho, però ho seguito, su le "Ossa di Berdicev", appassionante saggio sulla vita e le opere di Grossman, la vicenda del manoscritto. Ovviamente fu rifiutato dal potere sovietico, con grande dolore dell'autore, che sopra ogni cosa avrebbe voluto farlo conoscere ai suoi compatrioti. Sarebbe giunto in europa la prima volta tramite lo storico Roy Medvediev nel 1964. Dieci anni dopo giunse anche grazie a Sacharov in versione microfilmata. Nel saggio non si approfondiscono i motivi della tardiva pubblicazione ma io temo che l'"ipnosi collettiva", di cui si parla in questo post, possa spiegarla. E' vero che è un testo complesso ma non so se si possa definire difficile. Occorre leggerlo con continuità per non perdere il filo delle diverse storie che si intrecciano e fare uno sforzo di memoria per ricordare il nome dei molteplici personaggi (ma circolano in rete degli elenci non nome, patronimico cognome e diminuitivo). Agli studenti leggerei il dialogo fra il nazista Liss e il comunista Mostovskoj (libro II cap 15) perché costringe a riflettere sulla natura del totalitarismo e il successivo cap 16 che contiene le riflessioni sul male del folle Ikonnikov. Leggerei le riflessioni sull'antisemitismo (libro II cap. 32) oppure l'episodio in cui lo scienziato Victor Strum risveglia la sua creatività quando finalmente riesce a chiamare le cose con il proprio nome. Tenendo conto che a 20 anni mi sono cimentato con il Finnegan's wake con scarso successo ho ilrimpianto di non aver potuto allora dedicare le stesse energie nel capolavoro di Grossman. Credo che avrebbe influenzato alcune mie scelte.
A Nautilus, che si sente "antropologicamente superiore", in virtù della sua indignazione per i noti fatti di cronaca, vorrei fare notare che questa affermazione è tipica delle culture totalitarie (comuniste e non solo..). Ci sono moltitudinidi persone che hanno come priorità lo svoltare la fine del mese e non ritengono prioritario ficcare il naso nel fango della politica, vogliono risultati concreti, non comportamenti ineccepibili. Altri (abbiate compassione di loro!)ritengono che la dignità umana sia stata molto più offesa da pratiche e convinzioni ormai molto diffuse come la selezione degli esseri umani tramite diagnosi preimpiano o prenatale, la pretesa dell'aborto come "diritto", la cultura della liberazione sessuale e la conseguente banalizzazione del sesso come attività "ricreativa", la negazione del valore unico e incomparabile dell'unione fra uomo e donna, lo sfruttamento delle donne "donatrici" di ovuli o "affittuarie" del proprio utero e via dicendo. Io appartengo all'ultima categoria con un certa convinzione ma non mi permetterei mai di definirmi "antropologicamente superiore" rispetto, per esempio, a chi sfilerà in corteo i prossimi giorni a Roma in difesa della "dignità della donna". Mi limito a dire che che sono esseri umani miei pari che sbagliano perché sono confusi. Sbagliano, provo un po' di imbarazzo per loro, ma li considerano miei fratelli. Credo che dipenda dal fatto che io credo che il male non sia connaturato alle persone ("antropologicamente inferiori") ma provenga dall'esterno. Mi domando se per essere tolleranti e liberali sia necessario credere nell'esistena del diavolo......
Ciao Attento, purtroppo si è persa per strada la mia risposta a Papik in cui riconoscevo le sue critiche alla difficoltà di abbandonare un' esperienza dimostratasi fallimentare con l'inventarsi formule inapplicabili, dovuta al fatto che questo sogno di giustizia sembrava "Troppo bello per NON esser vero", un desiderio che ostinatamente è stato difeso troppo troppo a lungo al di là di ogni evidenza. Difficile d'altra parte per chi ci ha creduto arrendersi alla realtà: l'umanità non può essere cambiata e il comunismo può andar bene per i santi o per le formiche.
Nello stesso post ammettevo con lui che anche la "superiorità antropologica" era in realtà improbabile e indimostrabile. Aggiungo ora che vivo in una delle città più "di sinistra" d'Italia e i miei concittadini sono insofferenti alle regole come il peggiore dei berlusconiani immaginari. :)
L'esempio che ho ripreso dall'articolo di Facci però riguarda una cosa diversa da quel che dici tu. Fermo restando che le convinzioni che tu esprimi hanno la stessa dignità di quelle opposte, io sostengo che nella scelta del personale politico l'etica pubblica dovrebbe essere dirimente, come lo è in tutti i paesi civili: un politico può legittimamente difendere qualunque posizione, deve apparire però onesto e coerente con quel che predica, altrimenti l'elettore non deve votarlo. Se invece lo sopporta mi sento autorizzato a ritenermi moralmente superiore.
Ci saranno politici passabilmente onesti e seri che difendono le tue idee no? Sennò è un guaio... :)
Si dice spesso che rievocare gli errori del passato serva ad evitare di commetterne di nuovi. Sarà, anche se ci credo poco. Ma qualcuno che ha visto il lungo servizio di RaiNews sulla mostra di Roma - tutta un'apologia del comunismo e dei suoi ideali - forse si è chiesto con preoccupazione quale influenza potrebbe avere questa falsificazione del passato sulle generazioni che non hanno conosciuto direttamente quel periodo buio della nostra storia. Io mi chiedo anche come mai si permette questo obbrobrio e insulto alla memoria delle vittime, mentre non si permetterebbe mai un panegirico del nazionalsocialismo. Che la colpa sia anche nostra?
Per Attento: sì, in effetti è la sinistra che diffonde il concetto di sesso come attività "ricreativa",. Le famose orge di Fassino e Prodi.
per Alfio: si, in effetti la liberazione sessuale ngli anni sessanta fu promossa dalla Democrazia Cristiana.
Quanto è deprimente riportare tutto in termini di schieramenti partitici! Non merita ulteriori repliche.
Confesso: un disegno di potere così perfetto, penetrante, elitario benché nominalmente popolare, quale quello che lei descrive mi riempie di ammirazione e di sgomento. Però più di ammirazione. La P2, al confronto, appare come un circolo del bridge (forse non solo al confronto). Forse, se fossi appartenuto alla sua generazione, mi sarei tesserato anch'io, solo per farne parte.
(Ora che il PCI non c'è più, mi assumereste come ricercatore alla Sapienza? Studio analisi non lineare, faccio lezioni di qualunque cosa, all'occorrenza spazzo anche per terra...)
per Attento (poi chiudo anch'io, prometto): di questi tempi accusare Bersani di promiscuità sessuale è per lo meno curioso. Accettare qualche responsabilità, ogni tanto?
Myosotis:"quel periodo buio della nostra storia..."
A cosa si riferisce con "la nostra storia"? Il PCI e i suoi aderenti han lottato contro fascismo, nazismo e brigate rosse e dal lato sociale per i diritti dei lavoratori.
Si può obiettare che han lottato pure per la dittatura del proletariato, ma, almeno in Italia, l'han fatto con metodi democratici.
Di questa storia il PCI non ha nulla da vergognarsi, anzi.
Il fatto che nel resto del mondo il comunismo sia stato un disastro non vanifica il fatto che il PCI sia stato da noi strumento di progresso per il mondo del lavoro.
Come i partiti socialdemocratici nel resto d'Europa.
Il danno VERO è stato il fattore "K", che ha reso impossibile quell'alternanza di governo indispensabile a un paese moderno, fattore che in buona parte ci portiamo ancora dietro, grazie a un'abile propaganda e alle tifoserie in cui è ancora diviso il paese.
A posteriori, sarebbe stato meglio anche per noi aver avuto un forte partito socialdemocratico anzichè il PCI, ma questo è un fatto già detto e analizzato migliaia di volte.
Il PCI ha lottato contro le Brigate Rosse? Ma se a leggere i loro comunicati sembrava di "sfogliare l'album di famiglia" del PCI (parole di una che se ne intendeva, Rossana Rossanda). Poi si vada a leggere L'Unità di quel tempo e si vedrà che l'Unione Sovietica era additata non solo come una democrazia, ma un "modello di democrazia", a cui noi avremmo dovuto conformarci. Ora, come ho già scritto recentemente, chi sosteneva un'assurdità del genere o era un idiota o era un impostore. Altro che superiorità antropologica. (Non è nel mio stile usare termini così forti e me ne scuso con chi era in buona fede e se ne sentisse offeso, ma è quello che penso).
Ma ragazzi... ma siamo pazzi? (lo dice sempre Bersani). Sono lombardo di nascita (i primi 44 anni vissuti sul lago di Como) trasferito in Emilia per matrimonio e qui lavoro. Lasciando stare l'ideologia devo dire che tra il modo emiliano di amministrare la cosa pubblica e il modo lombardo (nella fattispecie comasco) c'è un abisso. Siamo nel 2011. Se in Emilia chi amministra si chiamasse PCI io lo voterei. E se Bersani fosse candidato premier, lo voterei. I non comunisti che in Lombardia hanno eletto Nicole Minetti e Renzo Bossi li lascio tutti a qualcun altro.
Caro Myo, lungi da me leggere l'Unità, specie allora! Mica si può dar retta ai giornali di partito...
Ovvìa, a parte quello che scriveva quegli articoli, ma chi è in Italia che anelava al "modello di democrazia" sovietico?
Se qualcuno lo sosteneva era tranquillamente in mala fede o accecato dall'ideologia, non ho problemi a riconoscerlo.
Ma sulle BR ha torto, il PCI le combatteva, se non altro perchè erano all'opposto della sua politica di allora.
Non vorrei polemizzare, ma uno studioso del fenomeno comunista, Sergio Bertelli, nell'op. cit., sostiene che non c'è mai stata una diversità sostanziale tra il comunismo sovietico e quello italiano, che è sempre stato nient'altro che la sezione italiana dell'internazionale comunista. Se così non fosse, mi si spieghi come mai il PCI sostenne sempre la politica internazionale dell'URSS e ricevette sempre consistenti sovvenzioni da Mosca ("fiumi di rubli") fin negli anni '90. Che i sovietici fossero così stupidi da togliere il pane di bocca ai loro miserabili concittadini, i quali per una buona fetta sono ancora privi di corrente elettrica?
E' certo che i "compagni" non avrebbero gradito un comunismo oppressivo, terroristico e sanguinario, infatti il partito gli diceva sempre che sarebbe stato diverso, ma questo valeva anche per i Polacchi, gli Ungheresi, gli Ucraini e tutti gli altri popoli che poi sono stati oppressi, terrorizzati e in certi casi (come gli ucraini) decimati.
Per finire, ricordo che Indro Montanelli scrisse più volte di aver chiesto all'on. Giancarlo Pajetta: "Se nel 1948 aveste vinto voi, mi avreste fatto uccidere?" E Pajetta avrebbe risposto, senza batter ciglio: "Senz'altro!" Come dire: "Ma che domande fai?"
Ma perché, santo cielo, non leggersi "Togliatti e Stalin" di Aga Rossi e Zaslavsky e guardare in faccia la realtà, invece di arrampicarsi sugli specchi? Se erano tutte anime belle, perché mai difendere la repressione sovietica in Ungheria? Perché difendere l'impiccagione di Slansky? Sarebbe istruttivo andare a rivedere gli interventi di Togliatti a Tribuna politica. Capisco che guardare la realtà in faccia è duro, ma alla fin fine bisogna farlo.
Quanto a Bersani che si appende ai piedi di Saviano dicendo "vieni via con me"... Pietoso. Il modello emiliano? Comprese gli asili costruttivisti in cui si educa all'affettività e si cura la discalculia? Bah....
Non voglio polemizzare neanch'io...tant'è che non nego certo quel che lei sostiene e, per rispondere al professore, mai pensato che fossero tutte anime belle, specie Togliatti e Stalin vìa...fin dall'inizio di questa discussione non faccio che sostenere che il PCI da Berlinguer in poi, quello che in effetti ho conosciuto io, era tutto fuorchè rivoluzionario e (pur se prendeva i soldi che Mosca gli dava per evidenti motivi geopolitici) nemmeno filosovietico ma riformista nella base (come diceva Gaber: La rivoluzione oggi no, domani neppure ma doman l'altro...sicuramente" e che i dirigenti che ancora contan qualcosa non sono nostalgici di quella ideologia ma eventualmente solo dei posti che ricoprivano.
Sul fatto che nessuna autocritica sia venuta dallo stesso gruppo dirigente è sotto gli occhi di tutti e non è stato un bel vedere.
Ma ricordare il PCI come "miseria, terrore e morte" o denunciare adesso la pericolosità di qualche "nostalgico" mi pare fuori luogo: è una storia finita, fatta di sacrifici di tante persone generose e di vantaggi per tanti opportunisti, come sempre, ed è finita male.
Per la rivolta d'Ungheria mi pare semplice: a quel che ho letto fu facile denunciare gli insorti come controrivoluzionari, in fin dei conti l'Ungheria era stata fascista fino a poco prima, e poi la ragione più importante l'ha ricordata lei professore e ripetuto io: per la "nobile causa" si passava sopra a tutto.
Anche lei, se è stato comunista, lo è stato nonostante l'Ungheria, mi pare.
Personalmente non sono abituato ad arrampicarmi sugli specchi, se dico qualcosa di sbagliato non è quella la mia motivazione.
Con gli anni son passato da acceso a tiepido a dubbioso a decisamente anticomunista, almeno nel senso che non vorrei mai più ne venisse ripetuto il tragico esperimento, nè quello nè altri.
L'egregio Myosotis 2/07/2011 04:10:00 PM ricorda di Pajetta e Montanelli. In fede, posso raccontare di un mio compagno di classe al liceo - di convinzioni e tradizioni comuniste assolute - che dichiarò chiaramente ai suoi compagni di scuola che non ci avrebbe pensato un minuto a liquidarli se fosse stato richiesto (da chi? alla fantasia di ognuno fare congetture) e quindi “oggettivamente” necessario. Perché via verità e vita si incarnano nella dirigenza e nelle decisioni del partito. Parlo degli anni '65-'66. Va pure detto che una crisi di coscienza in anni successivi lo portò ad avere un ruolo (di spicco) nelle brigate rosse, ma dall'ortodossìa egli proveniva (ed a quel punto considerava di essere rimasto lui nell'ortodossìa rivoluzionaria, tradita dal partito).
Un caso estremo, marginale, poco significativo? Certo, per me un accidente vivo amaro e angosciante. Quando mi capita di rivolgergli la mente, lo faccio con un disagio nel quale affetto dolore e condanna si mescolano. Non so se avrà cambiato certi presupposti del suo pensiero, non so se marcerebbe con il popolo viola.
Asili. Ho visto tempo fa un servizio in TV sulle mamme di un paesino che non citerò, le quali esprimevano la propria gioia rabbiosa e vendicativa perché alcuni bimbi extracomunitari erano stati esclusi dalla mensa scolastica -- in sostanza stavano a guardare gli altri bambini che mangiavano. Da rabbrividire. Io credo a) che gente così può fare qualsiasi cosa, e quando dico qualsiasi intendo proprio qualsiasi, caro Prof. b) che ogni persona di buona volotà dovrebbe essere (non sentirsi) diversa da costoro.
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