giovedì 22 maggio 2014

LA SCUOLA A CINQUE ANNI, UNA BUONA IDEA

La dichiarazione del ministro Giannini relativamente alla possibilità di anticipare l’ingresso dei bambini alle scuole primarie a cinque anni, sebbene abbia il carattere di una risposta occasionale a una domanda, deve aprire una riflessione. Difatti, come lo stesso ministro ha osservato, quest’idea è connessa all’ipotesi di abbreviare la durata del liceo a quattro anni; perché – ha aggiunto – se l’obbiettivo è di far uscire i ragazzi dalla scuola a 18 anni, allora è meglio puntare su questa soluzione, piuttosto che gettarsi a capofitto sul liceo quadriennale che dovrebbe essere pensato nella cornice di una riforma complessiva dei cicli.
C’è molto buon senso in questo approccio e proviamo a dire per quali ragioni, almeno secondo il nostro punto di vista. Siamo realisti: è evidente che siamo di fronte a una pressione fortissima volta ad accorciare il percorso scolastico di un anno. Rivestire questa pressione di motivazioni didattiche, pedagogiche o culturali è una colossale ipocrisia: è chiaro che le motivazioni sono di risparmio e di tagli, ed è altrettanto chiaro che la pressione è tale che al ministro, qualsiasi cosa ne pensi, risulta difficile resistere. Noi siamo convinti che sarebbe meglio resistere alla spinta, ma ove essa divenisse incontenibile l’unico atteggiamento saggio è di evitare scelte o “soluzioni” che scassino definitivamente quel poco di buono che resta della nostra scuola.
Iniziamo con l’accantonare la tentazione perversa di mettere in campo una riforma complessiva dei cicli. Dopo anni di sperimentazioni e riforme parziali che hanno fatto della scuola un colabrodo, è bene non farsi prendere da questa tentazione: non esistono le condizioni culturali, politiche, istituzionali (anche in presenza di un ministero inguaribilmente dirigista) per costruire in tempi ragionevoli una soluzione che metta d’accordo le innumerevoli teorie pedagogico-didattiche che si affollano attorno al capezzale del malato, ciascuna con il suo arsenale di bisturi e di progetti di sutura. Ricomincerebbe la diatriba sulla saldatura tra l’ultimo anno delle primarie e il primo delle medie, o tra l’ultimo delle medie e il primo dei licei, con la necessità correlata di ripensare da cima a fondo tutte le Indicazioni nazionali. Non meno devastante – per usare un termine moderato – sarebbe l’idea del liceo quadriennale che porterebbe a distruggere i licei classici e scientifici, rendendo una burletta l’insegnamento della storia, della filosofia e della matematica, per non dire altro: la vicenda della “geostoria” indica con quale spregiudicatezza si può essere capaci di inventare materie-centauro. Allora, se proprio si deve fare qualcosa, meglio agire sul ciclo comprendente i tre anni della scuola dell’infanzia e i cinque della scuola primaria, riducendo a due i primi tre e inserendo i bambini nella scuola primaria a cinque anni. Va osservato, al riguardo, che la scuola dell’infanzia è il settore più in affanno e insufficiente a coprire la domanda, per cui la sua riduzione a due anni permetterebbe un impiego più razionale di insegnanti e di aule e quindi di presentare un’offerta di gran lunga migliore, senza tagli. Inoltre, una maggiore interconnessione tra i due percorsi scolastici va nel senso della riforma basata sul progetto formulato anni fa da una commissione ministeriale presieduta da chi scrive, che ha unificato in un’unica laurea quinquennale la formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, restituendo dignità ai primi e creando le condizioni per un’osmosi tra due percorsi che sono strettamente correlati. Possiamo ora constatare che si trattò di una scelta preveggente che, non a caso, è l’unica parte di quella riforma che ha retto e funziona, a fronte dello sfacelo cui è stato ridotto il progetto dei TFA (Tirocini Formativi Attivi). Essa può essere la base per una soluzione agevole nel senso prospettato dal ministro.
V’è però un punto importante su cui occorre essere estremamente chiari. I bambini di cinque anni sono maturi per entrare nelle scuole primarie. Parecchi anni fa, vecchie teorie pedagogiche diffusero la tesi che un bambino, prima dell’età di sette/otto anni, non è capace di ragionamenti logici e non è capace di assimilare concetti matematici. Si tratta di tesi ampiamente confutate, screditate e dannose, che hanno legittimato una didattica rinunciataria e mediocre, una “didattica della paura” che ha avuto punte estreme nella tesi secondo cui in prima elementare non si debbono insegnare i numeri oltre al 20. Malauguratamente questi tesi vengono ancora sostenute da chi fa orecchie da mercante alle confutazioni che ne sono state fatte. Purtroppo, esse hanno influenzato sia la prassi di molti maestri, sia molti aspetti delle mediocri Indicazioni nazionali per le primarie varate un paio di anni fa. Se l’anticipazione dell’ingresso dei bambini alle primarie a cinque anni dovesse costituire un pretesto per abbassare ancora il livello e per trasformare l’intero ciclo primario in un gigantesco asilo, in un percorso di giochi, per giunta afflitto dalla tendenza a trasformare ogni minima difficoltà didattica in un “disturbo di apprendimento”, allora sarebbe meglio non farne nulla. Ogni intervento sulla struttura scolastica deve mirare ad elevare la qualità degli apprendimenti, e non a degradarli ulteriormente. Questo rischio è particolarmente presente nella scuola primaria che è il segmento scolastico più colpito negativamente dalle avventate sperimentazioni di cui si diceva prima, anche se già sentiamo gli alti lai di chi nega questo stato di cose avendo collaborato a crearlo.


(Il Mattino e Il Messaggero, 22 maggio 2014)

30 commenti:

lizabennet ha detto...

Mi scusi, ma non ho ancora capito come vengono suddivisi gli anni scolastici secondo questa visione di scuola:a che età inizia la secondaria? Grazie

Didatticarte ha detto...

Sono completamente d'accordo e lo dico sia come genitore che come insegnante.

mac67 ha detto...

In astratto l'idea mi sembra condivisibile (io preferirei la vecchia idea Berlinguer, evitare le ridondanze tra primaria e secondaria riunificandole con durata 7 anni). Se poi andiamo a vedere come realizzarlo in concreto, vedo un grosso problema: si creerebbe una "onda anomala", costituita dai bambini che si sarebbero iscritti secondo la vecchia regola e i bambini che si iscrivono con la nuova. Questa onda anomala si propagherebbe per 13 anni nei vari gradi di scuola. Temo che questo sia il motivo per cui, se alla fine i ragazzi devono proprio uscire a 18 anni (ma perché, poi? per fare che?), taglieranno l'ultimo anno di scuola superiore, che è l'unica variazione che non crea l'onda anomala a scuola (anche se la crea comunque all'università).

Giorgio Israel ha detto...

@lizabennet: ingresso alle scuole dell'infanzia a 3 anni: dopo due anni, all'età di 5 ingresso alle primarie; dopo 5 anni ingresso alle medie; dopo altri 3 anni ingresso alle superiori. Tutto uguale traslato indietro di un anno con la riduzione a due anni della scuola dell'infanzia.
@mac67: i problemi che lei solleva sono molto fondati. E anch'io non capisco bene perché per forza si deve uscire a 18 anni. Ma, visto che tra industriali, governo, tecnocrati, ecc. vogliono tagliare di un anno a tutti i costi, e temo che sarà impossibile resistere, questa è la soluzione meno dannosa, rispetto al disastro del liceo di 4 anni, che darà adito a inventare la filoletteratura e altre diavolerie del genere, con tagli di cattedre e insegnanti e nuove Indicazioni nazionali da brivido.

Marisa ha detto...

Diciamo che l'obiettivo è quello di tagliare di un anno la scuola superiore per risparmiare sugli insegnanti. Anticipando di un anno l'ingresso alla scuola primaria, si presenterebbe lo stesso problema per le maestre della scuola dell'infanzia. Però è già attivo, a richiesta, l'anticipo a due anni (una specie di sezione nido) e credo che estendendo questa opzione (cosa difficile da ottenere attualmente perché i posti sono limitati) ciò farebbe un gran piacere ai genitori. Io sono comunque d'accordo con Lei, prof Israel. Come sempre, d'altronde.

Flo ha detto...

Non sono d'accordo: non solo le capacità logiche determinano la maturità di un bambino e quindi la possibilità di frequentare proficuamente la scuola. La capacità di restare a lungo seduto, l'impegno dei compiti a casa, l'attenzione e la concentrazione richiesti non sono abilità banali. Inoltre l'anticipo di un anno comporterebbe che un 25% (i nati fra ottobre e dicembre) dei bambini andrebbe a scuola a 4 anni.
Non sono neppure d'accordo con l'insana idea di ridurre la durata dei licei: è l'ultima occasione per molti di "farsi una cultura" ma forse, oltre al risparmio, questo è uno degli obiettivi del legislatore.

Raffaella ha detto...

Forse è davvero il male minore, Lei che è esperto di didattica sa senz’altro valutare meglio di noi (di me sicuramente). Io invece, che mio malgrado sono diventata esperta di “disorganizzazione scolastica”, ho timore aggravi ulteriormente la situazione della primaria. I bambini a 5 anni hanno ottime capacità di apprendimento, ma sono oggettivamente meno maturi, più inclini al gioco, alla chiacchiera, alla distrazione…. Penso si aggiungerebbero ulteriori difficoltà agli insegnanti in gamba, già costretti a destreggiarsi fra tante complicazioni, mentre si darebbe un ottimo pretesto agli altri per impegnarsi e pretendere ancora meno. Continueremo ad avere classi pollaio, ma con pulcini ancora più piccoli e indifesi, che continueranno in molti casi a essere gestiti da insegnanti precari e supplenti che cambiano in continuazione ; e chissà quante difficoltà di apprendimento dovute all’immaturità saranno scambiate per ADHD, DSA ecc..

Giorgio Israel ha detto...

Non dico che sia la soluzione ottimale, ma è meglio che tagliare di un anno i licei. Le scuole dell'infanzia sono in affanno a rispondere a una richiesta sull'arco triennale, e a fronte di un impegno biennale potrebbero rispondere meglio. Sulla questione della maturità ho già detto. Siamo stretti tra maestri tradizionali che riempiono i bambini di schede e fanno fare calcoli noiosissimi e ripetitivi e (la maggioranza, ormai) che concepiscono tutto in modo ludico e sono ossessionati dal problema dell'immaturità. Molti di voi genitori ormai credete - influenzati da un certo pedagogismo decrepito – che a cinque anni un bambino non abbia capacità logiche, non possa contare e leggere e scrivere sia uno sforzo! I vostri figli sono molto più capaci di così! E se non lo sono è per colpa di una didattica rinunciataria. Un bambino di TRE anni (persino di due e mezzo secondo le mie personali esperienze) può contare QUALSIASI numero e può già fare elementari operazioni. Beninteso questo va introdotto in modo giocoso, pratico, interattivo. Su questo non si discute: frequentate il nostro blog Pensare in Matematica. Non c'è proprio bisogno di tenere i bambini inchiodati ai vecchi banchi neri e polverosi, ma si può coinvolgerli con domande, problemi, attività; non certo accettare la logica del "fate quello che vi pare, giocate, non siete capaci di far altro". Quanto ai DSA è un flagello del tutto indipendente dall'età, che sta dilagando anche alle medie e persino alle superiori. Bisognerebbe combatterlo anziché darlo per scontato come la pioggia, per esempio prendendo l'abitudine di dire sempre "I cosiddetti DSA".

Maria Pia ha detto...

Finalmente una volta mi trovo in parziale disaccordo con il professor Israel :-)
Concordo, invece, con nonhotempo e Raffaella.
La mia esperienza personale.
Io, classe '68 (novembre) figlia e nipote di insegnanti elementari, con l'esame di "primina" da privatista ho iniziato il mio percorso scolastico in seconda a cinque anni e mezzo, senza nessuna difficoltà e ottenendo sempre risultati soddisfacenti.
Ho due figlie: la prima, nata a febbraio è stata lo scorso anno anticipataria (iscritta a tre anni alla scuola dell'infanzia ha saltato il terzo anno, quello in cui si lavora con la prescrittura) ha affrontato a cinque anni e sette mesi la prima classe incominciando dalle basi ma senza nessuna difficoltà e intoppi di sorta, naturalmente seguita a casa da me e da mio marito. Debbo dire che è stata lei stessa a convincerci di iscriverla alla primaria perché a suo dire si annoiava davmorire in classe (pur avendo, a mio avviso, quanto di meglio la scuola dell'infanzia potesse offrire come insegnanti: due maestre in gamba davvero).
La mia secondogenita, invece è nata a giugno e il prossimo settembre incomincerà la prima a sei anni compiuti dopo aver frequentato l'intero triennio della scuola dell'infanzia, anche lei con due maestre preparatissime.
Se avesse dovuto "per legge" incominciare le primarie a cinque anni compiuti da poco,, quest'anno scolastico che volge al termine, credo si sarebbe trovata malissimo. Lei (e molti bimbi della sua classe, mi diceva proprio ieri la maestra) hanno fatto il "salto di qualità" proprio negli ultimi due mesi...
Altro caso: mia nipote, anche lei nata a febbraio (quindi con possibilità di anticipare l'iscrizione). L'anno in cui avrebbe potuto iscriversi in prima è nato il fratellino e lei si è trovata in uno stato di fragilità emotiva per cui i genitori hanno ritenuto più oppotruno non iscriverla alla primaria.
Altro esempio: il figlio di una coppia di amici, nato ad aprile ha fatto dietrofront ritornando all'asilo: ha ricominciato quest'anno, a sei anni, brillantemente e senza intoppo alcuno.
E potrei continuare con altri esempi.
Tutto questo, chiedo venia, per dire che non tutti i bambini sono pronti a cinque anni.
Cinque anni che comprenderebbero bimbi nati a gennaio e bimbi nati a dicembre... E io mi sto rendendo conto, da persona non del mestiere, che qualche mese, in più o in meno, fa la differenza.
Soprattutto, ma è la mia esperienza personale, dunque non oggettiva, la scuola dell'infanzia è una esperienza davvero formativa e "bella".

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Non sono affatto d'accordo. A cinque anni il mio bambino non avrebbe retto (aveva problemi a stare fermo e soprattutto voleva giocare). Bisogna contrastare in ogni modo le idee dei tagli. Un ministero che non sa gestire la scuola normale (dalla carta igienica al balletto dei supplenti) non sa gestire alcuna riforma e forse proprio per questo ne propone di strampalate.

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

P.S. Come è possibili che tali riforme siano fatte senza consultare i cittadini? Nessuna protesta? Governano al di fuori di qualsiasi democrazia rappresentativa.

Flo ha detto...

Sono mamma di due bambini che a 4 anni scrivevano e a 5 leggevano. Hanno imparato da soli e sono assolutamente convinta che non siano straordinari ma semplicemente curiosi. Ma non erano pronti a sostenere i ritmi della scuola, almeno non il mio primo. Mandarlo a scuola sarebbe stata una inutile forzatura, temo controproducente.

Giorgio Israel ha detto...

Bene, io ho molte esperienze contrarie. E non so sappiate voi della primaria. Ma credete che vi si facciano ancora compiti? Tornte sulla Terra. Mio figlio non ne ha fatto uno in 5 anni e abbiamo dovuto lottare come pazzi per creargli un minimo di capacità di concentrazione che riacquistava nel fine settimana e perdeva durante la settimana di pura perdita di tempo. Provate a riflettere se non hanno ridotto i vostri figli così ( fin dalle materne) e magari sarebbero stati diversi...

Giorgio Israel ha detto...

Per non parlare di campi scuola devastanti (con discoteche oltre mezzanotte a bambini di 9 anni), attività varie demenziali, corsi di musica del piffero (tenuti da ignoranti e a pagamento), pessime lezioni di lingue, ceramiche, lezioni di comportamento antincendio e via dicendo le più impensabili corbellerie. Tutto tranne che un po' di seria matematica o la lettura di una bella poesia. E Berlinguer ci viene a dire che bisogna farli giocare di più' e invoca pure Papa Francesco... E' un circo Barnum.

Grazia Dei ha detto...

Certo, prof. Israel, le scuole in cui sono incappati i suoi figli sembrano disastrose (però le prove di evacuazione sono obbligatorie ovunque). Ma nella sicuramente non migliore scuola primaria che hanno frequentato i miei figli, compiti se ne davano, eccome! Talvolta demenziali, come colorare tutti i disegnini grigiastri e microscopici sulle schede di Italiano «per sviluppare la motricità fine» (ma allora perché non farli scrivere un po' di più? o magari farli disegnare?). Oppure in Matematica riempire interminabili pagine di quaderno di "quattordici", "sedici", "diciannove", ecc., in lettere. Scrivere in tre diversi tipi di carattere fin dall'inizio della prima (scusate ma stampatello non viene da "stampa"? Allora perché usarlo per scrivere a mano?).
Comunque i compiti c'erano sempre e sommati a cinque ore trascorse in classe per il mio pigrissimo primogenito erano molto faticosi (e aveva sei anni e mezzo, perché di febbraio).
Nella primaria della mia scuola, che è un istituto comprensivo ho udito spesso lamentele per il numero eccessivo di bambini anticipatari, specialmente nel tempo pieno. In effetti non si possono più avere compresenze, per cui, se non c'è un insegnante di sostegno, lavorare con una classe numerosa può essere veramente molto complicato.
Si obietterà che nelle Filippine o in Cina le classi sono molto più numerose eppure i ragazzi sono ben preparati. Sì, ma lì sono è in vigore un disciplina molto rigida con punizioni per noi inaccettabili e rapporti fra le famiglie e le istituzioni scolastiche che non vorremmo mai tollerare!

santino ha detto...

Professore, a mio parere è errato dare il consenso a queste operazione.
Non entro nel merito del fatto che sia giusto, sbagliato o anche solo possibile anticipare l'ingresso a scuola, quello che mi preoccupa è che dietro queste scelte del MIUR non ci sia alcuna riflessione didattico-culturale ma solo l'ottusa volontà di FARE CASSA.
E allora, se mi permette, è pericoloso fornire qualsiasi legittimazione a questo modo di procedere.

Raffaella ha detto...

Gentile Professore, prima che mia figlia iniziasse scuola, pensavo molto ingenuamente che le “elementari” funzionassero ancora più o meno come quando le frequentavo io a fine anni ’70: una o al massimo due maestre meravigliose per l’intero ciclo e decine di quaderni fitti fitti di dettati, poesie, prose, riassunti, temi, racconti, cronache, disegni, copie del vero. Certo, qualche “variante” era messa in conto, ma un tal disastro non me lo aspettavo proprio. Ad ogni nuova fotocopia pensavo che, appunto, “i bambini sono molto più capaci di così”. Questa premessa per dire che non sono influenzata da alcun tipo di pedagogismo, men che meno da quelle teorie decrepite a cui Lei fa riferimento. Mi baso esclusivamente sull’esperienza; nostra figlia, “dicembrina” ha iniziato scuola a 5 anni e 9 mesi. Benchè il suo rendimento sia sempre stato molto buono, il comportamento, soprattutto in prima e seconda, non era sempre adeguato: ogni occasione era buona per giocare e distrarsi. Lei dice bene, non c'è bisogno di tenere i bambini inchiodati ai vecchi banchi neri e polverosi, ma si può coinvolgerli con domande, problemi, attività; “Pensare in matematica” è meraviglioso, ma non so di quante Ana Millan possa disporre il Ministero dell’Istruzione, per organizzare un minimo di adattamento della didattica. Mia figlia in prima ha cambiato tre insegnanti di italiano; solo l’ultima poteva essere una “Ana Millan”, ma il primo quadrimestre era in aspettativa (non so se chiama così) per completare un dottorato e quando è arrivata, a metà anno scolastico, è rimasta solo per il tempo strettamente necessario per maturare i requisiti per la pensione. Inoltre non andava d’accordo i colleghi, perciò ognuno andava per conto proprio, con uno scollegamento totale fra le varie discipline. In tante scuole questa è la realtà, oltre alle fotocopie, ai corsi di ceramica, al problema delle compresenze che dice Grazia Dei, alle aule affollate, alla solita carta igienica e a tutto il resto. Noi mamme, magari non tutte, siamo molto più sulla Terra di quanto non si creda e per questo abbiamo ragione di temere che possa accadere proprio quello che teme anche Lei: che si trasformi l’intero ciclo primario in un gigantesco asilo, che potrebbe essere anche peggio che tagliare di un anno i licei.

Giorgio Israel ha detto...

Dico soltanto alcune cose. L'esperienza del mio secondo figlio non è stata la peggiore possibile: ne conosco tante altre, in quella scuole ed altre, di tanti amici, ben peggiori (invece il mio primo figlio ha avuto una buona esperienza). Sono d'accordo che la scuola primaria è stritolata tra insegnanti di vecchio stile che fanno studiare la matematica a tabelle, regolette e procedure ossessive e quelle che fanno solo giocare (e molte se non va, se la cavano con il Dsa). Ma bisogna rispondere in due modi: a) preparando tanti giovani maestre e maestre a lavorare in un modo diverso; non è vero che esistono solo poche persone, noi ne stiamo trovando tante, e molti giovani si stanno preparando in modo egregio nelle scienze della formazione; saranno pochi rispetto alla massa, ma sono convinto che una persona di valore ha un effetto trainante che vale quello di cento; b) bisogna continuare a battersi sulla tematica generale. In tal senso, il mio articolo non è una resa, perché i paletti posti a una riforma possibile del primo ciclo sono tali e tanti che, in queste condizioni, nessuno li accetterà mai. Poi se la vorranno fare lo stesso in termini di puro risparmio, non sarò certo io (nel mio modesto piccolo) a legittimarla. Ma di certo, nei cicli successivi si può recuperare, magari a fatica, ma si può recuperare. Invece, se fanno il liceo di 4 anni è davvero finita, e se non ve ne rendete conto vi prego di aprire gli occhi: chi ha visto scorrere un numero grandissimo di generazioni (per 40 anni) all'università sa che tra un laureato del 1985 e uno di oggi corre un abisso che chi non è stato sul campo forse non può immaginare, perché supera ogni immaginazione: se vogliamo approfondirlo ulteriormente vuol dire che siamo tutti impazziti. E si badi questo è accaduto in primo luogo per il degrado complessivo della scuola, che ha costretto l'università a dedicare almeno un anno o due al recupero, il che poi gli è stato impedito da una sciagurata riforma berlingueriana del 3+2, che ha ridotto l'università a un superliceo. La prima versione della riforma Gelmini non era tanto male, ma poi con 50 decreti attuativa è diventata un mostro allucinante.

Angela ha detto...

Caro professore, sono un'insegnante della scuola dell'infanzia, di una scuola dell'infanzia (tanto denigrata e massacrata) paritaria. Lavoro con i bambini perchè penso sia un lavoro meraviglio e speciale, mi ritengo fortunata, ma data la mia esperienza i bambini di cinque anni non sono pronti alle molteplici richieste che dovranno sostenere alla scuola primaria. Negli incontri che abbiamo con il corpo docenti delle primarie ci chiedono bambini autonomi, nel gestire il corpo e i materiali, e capaci di risolvere situazioni di conflitto fra coetanei. I bambini di oggi sono più veloci con le tecnologie ma risolvere problemi, allacciarsi le scarpe o pulirsi da soli in bagno ... bè mi lasci fare un sospiro molto lungo, posso affermare che la fatica che faccio tutti i giorni ad insegnargli queste piccole cose non è poca! Con genitori sempre più accondiscendenti e meno presenti il lavoro che compiamo in questi TRE anni di scuola non è da sottovalutare o tagliare. Noi cerchiamo di valorizzare le capacità di ogni bambino aspettando i suoi tempi e accogliendo anche chi non è così veloce come vuole la nostra società. Forse qualche bambino è pronto per andare a scuola a cinque anni ma non tutti in gruppo, NO non tutti anzi la maggior parte ha bisogno del tempo per giocare e sfogare la propria energia, se poi non si ha la fortuna di incontrare insegnanti che capiscono le esigenze dei bambini ma corrono per stare dietro al programma ministeriale aiuto si salvi chi può. Devo proprio dire che l'ultimo anno noi cerchiamo di aumentare le capacità di concentrazione, le capacità di motricità fine, la cura del proprio materiale e tutti quei prerequisiti che servono a scuola per non ritrovarsi persi in una pagina di quaderno! Forse vedrà i risultati all'università...

Giorgio Israel ha detto...

I "programmi" ministeriali sono tutti sbagliati e hanno creato una scuola dell'infanzia e una scuola primaria completamente fasulle, incapaci di sviluppare le potenzialità del bambino e capaci soltanto di farlo restare ritardato e ancorato alla sua "natura selvaggia". Oppure di scaricarli sul registro Dsa e Adhd.
Quando poi ci si mettono le famiglie - e qui non posso che darle ragione – stiamo freschi... Dovremmo tutti batterci per cambiare le cose e creare una società di persone responsabili, mature e capaci anche di faticare e lavorare. Tanto poi dovranno lavorare e affronteranno situazioni durissime. E già lo vediamo, sono fragili, impreparati, non hanno nessun tessuto connettivo per resistere. Per me non c'è nulla di più scioccante che vedere un bambino che non riesce a star seduto attorno a una cosa da fare per più di 10 minuti. Quando in fabbrica, in azienda o dove che sia, lo costringeranno a stare su un lavoro fisso 8 al giorno, soffrirà come una bestia o finirà col drogarsi. Nessuno vuole seviziare i bambini, ma prepararli a essere uomini e non bestiole, PERCHE' NON SOFFRANO IN FUTURO questo sì. E se non sono riuscito a farmi capire, mi ritiro dalla discussione.

Angela ha detto...

Tutti i giorni lavoro perchè riescano a concentrarsi: dieci minuti bastano a cinque anni nella scuola dell'infanzia, ma non bastano nella scuola primaria! E' una capacità che va stimolata con letture e attività divertenti, le posso garantire che siamo in tante ad agire così. Dovete dare fiducia a questa scuola dell'infanzia che in Italia è bistrattata ma all'estero è presa ad esempio.
I bambini sono diventati più fragili con il tempo, non hanno più la possibilità di rimanere da soli ad annoiarsi e iniziare a pensare: devono correre da un corso all'altro per far vedere che sono bravi e quando arrivano a casa vengono piazzati davanti al televisore a tutte le ore tanto ormai ci sono canali dedicati a loro 24 ore su 24! E' molto più comodo piazzarli di qua e di là piuttosto che impegnarsi a dire dei NO o ad ascoltarli, è faticoso crescere degli esseri pensanti! Io faccio quello che posso nel mio piccolo, come credo tante insegnanti come me, e lo faccio perchè credo nel mio lavoro e ho fiducia nei bambini.

paolo casuscelli ha detto...

Tutto, nella scuola, cospira a sottrarre tempo, in una frenesia futurista di velocità, brevità, semplificazione. La riforma Gelmini ha già fatto danni che gravano quotidianamente con la prima sottrazione di ore all'insegnamento, nella scuola secondaria di I grado: un'ora settimanale in meno a italiano, una a storia, una alla seconda lingua, una alla materia di tecnologia (se così si chiama). I danni sono palpabili, diretti e trasversali. Potrei raccontarli tutti, ad averne occasione. Dico solo che, ad esempio, con un'ora in meno di tedesco, cioè, con due ore, la mia brava collega non presenta più, da anni, nessun alunno per la certificazione europea. Adesso, chi vuole il cosiddetto patentino, per il tedesco, deve andare a lezione privata e pagare. Non aggiungo niente sulle materie di italiano e, soprattutto, di storia (due ore).
Credo che quello della sottrazione di tempo sia l'unico danno veramente irreparabile. A tutto il resto c'è la soluzione delle “persone”.
Il liceo in quattro anni...Non ho parole. Ma poi, questa fretta, per fare che? Per immetterli presto nel mondo del lavoro? Ci sono troppe offerte sul mercato? Nell'abbreviare un percorso formativo, non vedo che motivazioni possano esserci, in ordine alla formazione culturale.
Poi, per quanto riguarda la mia esperienza, se gli alunni arrivassero alle scuole medie un anno dopo, con un annetto in più, fisiologicamente parlando, credo sarebbe un po' meglio (soprattutto coloro che hanno fatto la cosiddetta primina). A volte sono ancora troppo bambini per un impegno di studio che, in effetti, è diverso da quello del ciclo precedente.

Papik.f ha detto...

Anche gli insegnamenti grafici nelle superiori sono stati gravemente danneggiati dalla riduzione da quattro a tre ore, poiché con tre ore di fila gli alunni, in particolare dei primi anni, non ce la fanno, è oltre il loro limite di sopportazione, mentre con due ore + una, quest'ultima trascorre quasi tutta tra prendere e rimettere a posto il materiale. C'è da dire, però, che fino a qualche anno fa per "ora" s'intendeva un modulo mediamente di 50 minuti. Oggi che ciò non è più consentito, più di sette ore frontali di 60' sarebbero certamente eccessive. Con la questione della settimana corta, poi, le cose peggiorano ancora e già con i quadri orario attuali uno studente liceale non può più fare attività sportiva, o comunque diventa per lui assai difficile (si esce intorno alle 15.00). Se non c'è la settimana corta, invece, al Sabato si hanno classi dimezzate e anche ridotte a un terzo nelle ultime ore, per le numerose uscite anticipate, come è capitato a me oggi stesso. Avere una classe al Sabato significa spesso dover ridurre il programma di almeno un terzo. Di fatto l'"utenza" si sta accorciando la settimana da sola; per questo motivo - e per le ragioni di risparmio sul riscaldamento - credo che presto o tardi la riduzione a cinque giorni finirà per essere generalizzata.
Una soluzione per ricondurre il quadro disciplinare a dimensioni più ragionevoli potrebbe forse essere quella di adottare moduli di 45' o 50' per gli alunni e fare in modo che gli insegnanti debbano comunque svolgere complessivamente 18 ore di 60' (1080' settimanali) o ritornare al numero di ore di servizio su base mensile, ma questo comporterebbe una modifica del contratto e una rivoluzione del modus vivendi tranquillamente adagiato sull'orario settimanale che non cambia mai.

Raffaella ha detto...

Professore, lei si è fatto capire benissimo ed io condivido tutto quello che ha scritto nel Suo ultimo intervento. E’ proprio per questo che ce ne siamo andati dalla scuola pubblica, perché quasi a nessuno interessava quello che dice lei. Le credo quando dice che state trovando tante persone di valore e che molti giovani si stanno preparando in modo egregio; è sull’effetto trainante che nutro fortissimi dubbi, ma prendo atto che il mio pensiero è fortemente influenzato dal quell’insopportabile clima di sfiducia, demotivazione e rassegnazione respirato nei precedenti 3 anni di primaria. Se provo ad immaginare a come avrebbero preso in carico in quella scuola bambini di un anno più giovani, rabbrividisco. Se non fosse per questo, condividerei anch’io che, tutto sommato, è preferibile spostare indietro di un anno un percorso di studi che ne duri comunque 13, piuttosto che accorciarlo a 12.

pupipupi ha detto...

Il livello degli studenti in uscita è già molto basso e l'università non è in grado di colmare le lacune. Tra cinquenni allo sbaraglio e diciassettenni sprovveduti meglio ... nessuno dei due.
Bisogna imparare a NON fare le riforme. Le riforme non servono o servono a peggiorare.

Raffaella ha detto...

Certo Pupipupi, sarebbe meglio nessuna riforma, ma se per esigenze di cassa taglio dev'esserci, allora stiamo pur certi che taglio ci sarà, checchè ne pensino insegnanti e famiglie (come dice Renzi, "se ne farà una ragione"); come qualcuno ha detto commentando in altro post, l’età dell’abbondanza è finita (almeno per chi non fa parte dei cosiddetti privilegiati o non è assoggettato al feudatario di turno).
Se c'è però anche la minima possibilità che almeno l'opinione del prof. Israel sull'una o sull'altra soluzione sia tenuta in considerazione, allora penso sia utile che anche i suoi lettori, soprattutto gli insegnanti, si esprimano e argomentino.

pupipupi ha detto...

Le riforme sono specchietti per le allodole che servono a mascherare tagli. Io chiederei a Renzi un vero atto di coraggio, controcorrente: classi con venti alunni al massimo e immissione in ruolo di nuovi e giovani insegnanti. Lo stato deve investire nella scuola. Se devono tagliare, che inizino dall'Alitalia; se devono accorpare, che accorpino due canali della RAI. Se devono essere austeri, meno soldi al CONI (spendiamo milioni di euro per mandare pochi atleti alle Olimpiadi e non pensiamo a centinaia di migliaia di bambini?).

Anonimo ha detto...

E' la prima volta che mi capita di non essere d'accordo con una sua proposta. Insegno nella scuola primaria da molti anni e da quando si è consentito l'iscrizione alla classe prima di bambini di 5 anni ho sempre incontrato alunni completamente immaturi per affrontare il lavoro proposto in una prima classe di scuola primaria. Grandi difficoltà psicomotorie e di attenzione, molta fatica a trascorrere la giornata seduti con la naturale e comprensibile esigenza a rotolarsi per terra tra i banchi, di gestione del materiale scolastico, di autonomia nel vestirsi, nel mangiare una semplice merenda e spesso anche di usare il bagno. Ci saranno sicuramente bambini pronti per affrontare il lavoro richiesto in una prima, ma io nella mia regione, il Friuli Venezia Giulia, dove la scuola pubblica ad ogni livello funziona ancora molto, molto bene in tanti anni di lavoro ne avrò incontrati forse una decina. Ritengo che se si andrà nella direzione prevista la prima classe della scuola primaria diventerà in parte quello che ora è l'ultimo anno di scuola dell'Infanzia. In molti tra i paesi europei più evoluti la scuola inizia a 7 anni e non è un caso...

Pat Z ha detto...

Vorrei contribuire al dibattito riportando in traduzione un famoso passo di Quintiliano, che discute lo stesso problema nel I libro dell'"Institutio oratoria":
"Secondo alcuni non si devono istruire i bambini sotto i sette anni, poiché solo a quell'età si potrebbe cominciare ad aver cognizione delle varie materie e a reggerne la fatica. Che di questo avviso fosse Esiodo viene tramandato da moltissimi autori precedenti al grammatico Aristofane (il quale negò per primo la paternità esiodea delle "Hypothekai", opera in cui si legge quell'opinione); ma anche altri, fra cui Eratostene, diedero lo stesso suggeriento. Preferisco tuttavia chi vuole che nessuna fase dell'esistenza sia lasciata priva d'interessi, come Crisippo. Egli, infatti, pur affidando un triennio alla cura delle nutrici, ritiene che anch'esse già debbano formare la mente dei bambini attraverso i migliori princìpi. E perché mai non sarebbe adatta all'istruzione un'età che lo è già all'insegnamento morale? Certo, lo so, in tutto il periodo di cui sto parlando, a fatica s'ottiene quanto poi può dare un anno solo; tuttavia chi l'ha pensata così mi sembra che sulla questione abbia avuto riguardo non tanto verso i discepoli, quanto verso i maestri. Del resto, i bambini che cosa faranno di meglio (qualcosa è inevitabile che facciano!) dopo aver cominciato a parlare? Oppure, perché disdegnare i risultati raggiungibili fino ai sette anni, per modesti che siano? Anche se il contributo della prima infanzia sarà ridotto, almeno poi il bambino, proprio nell'anno in cui altrimenti avrebbe appreso nozioni più semplici, imparerà qualcosa di più avanzato. Questo vantaggio, passando da un anno all'altro, incide positivamente sull'esito generale, e il tempo investito in anticipo durante l'infanzia è un guadagno per l'adolescenza. La stessa indicazione valga anche per gli anni successivi: quel che ciascuno deve apprendere, non inizi ad apprenderlo in ritardo. Non sprechiamo quindi subito i primi anni, tanto più perché l'istruzione inizialmente si basa sulla sola memoria, e nei bambini la memoria non solo c'è già, ma è anche più che mai capace di trattenere (in latino "tenacissima").
Non ho comunque così poca esperienza delle varie età da pensare che si debba continuamente e prematuramente stare addosso ai bambini chiedendo loro un'attività completa. Infatti il primo risvolto da evitare sarà questo: che chi non può ancora amare gli studi prenda a odiarli, e pure dopo la prima età abbia a temere l'impressione negativa ricevuta da piccolo. Lo studio dev'essere come un gioco: il bambino riceva domande ed elogi, e sia sempre contento d'essersi impegnato. Se qualche volta appare svogliato, è bene passare ad insegnare a un altro, in modo che provi gelosia; talora entri in competizione, e il più delle volte creda di essere lui il più bravo; lo si attiri anche con i premi che si accettano a quell'età".
E via discorrendo, direi che questi sensatissimi consigli di un antichissimo autore (che fece l'insegnante per davvero) dovrebbero essere presi in considerazione dai nostri modernissimi pedagogisti, molti dei quali non si sono mai seduti dietro una cattedra.

Giorgio Israel ha detto...

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