Che dire di una persona che parla della necessità di una “lotta militante” di una decina d’anni per imporre ai recalcitranti un programma di riforma dell’istruzione? Che dirne sapendo che non si tratta di un intellettuale o di un politico, bensì di un funzionario, l’ispettore generale dell’amministrazione francese dell’educazione nazionale e della ricerca Roger-François Gauthier, consulente dell’Unesco? A me pare che un simile linguaggio illustri la tesi del matematico francese Laurent Lafforgue: mettere nelle mani di queste persone il sistema dell’istruzione è come affidare la democrazia alle cure dei Khmer rossi. Le tesi del signor Gauthier sono ispirate alla solita miscela ideologica: una dose di scientismo – la ricerca ossessiva di principi oggettivi su cui rifondare una scuola e ottenere risultati prevedibili e uguali per tutti –, una dose di utopia rivoluzionaria – l’insegnamento fino ad ora è stato tutto sbagliato, rifacciamolo dalle basi –, una dose di tecnocrazia – dell’istruzione non debbono più occuparsi gli insegnanti, bensì legislatori ed “esperti scolastici”. L’aspetto tragicomico di questa faccenda – che accomuna questi apprendisti stregoni ai “maghi” che hanno creduto di governare la finanza con le equazioni differenziali e agli ingegneri genetici che vogliono rifare l’umanità mal creata – è che non provano alcun senso del ridicolo vantando le miserie che hanno realizzato nel loro trentennale predominio sull’istruzione a fronte di quella che deridono come l’“età dell’oro” delle conoscenze. È comico perché il confronto è impietoso. È tragico perché questi poveracci sono riusciti, con un abile miscela di appoggi politico-sindacali e di presenze istituzionali, a insediarsi in posizioni di potere determinanti per condurre la loro “lotta militante”.
Cosa vogliono in definitiva? Fondare l’istruzione sullo “zoccolo” comune delle competenze, mandare in soffitta l’istruzione basata sulle conoscenze e sulle discipline – trincea delle “lobbies professorali” – e sostituirla con la centralità delle competenze intese come “reinvestimento dei saperi e del loro significato nel mondo”. Insomma, sono quelli che ti predicano – come raccontava di recente una maestra uscita traumatizzata da un corso di aggiornamento – che occorre chiedersi a cosa serva il teorema di Pitagora prima di insegnarlo e che, se non si scopre il suo significato per il mondo, tanto vale lasciarlo perdere, perché le conoscenze non servono nella vita, non aiutano nel lavoro, non risolvono i problemi sociali e personali.
Noi – detti dai Khmer rossi “laudatores temporis acti” e che vogliamo soltanto un’istruzione che si adegui ai tempi senza disperdere le conoscenze acquisite – sappiamo da un pezzo che conoscere una teoria senza saperla applicare è frutto di cattivo insegnamento; e, viceversa, che manipolare meccanicamente senza conoscere i fondamenti teorici della manipolazione è come il procedere di un cieco che sa muoversi soltanto nel metro quadrato che lo circonda e che, appena si sposta più in là, cade per terra. Ma questo precetto, da sempre seguito dai buoni insegnanti e trascurato da quelli cattivi, non basta ai Khmer rossi. Difatti, il loro intento non è di riformare in modo ragionevole la scuola, bensì di demolire il sistema delle conoscenze e delle discipline per sostituirlo con la metodologia: non più apprendere, bensì soltanto apprendere come si apprende. Il tutto a cura di una corporazione di tecnocrati e di “esperti” della pedagogia e della didattica.
Falliranno, come si vede dai risultati. Ma riusciranno comunque a lasciarci di fronte a una montagna di rovine.
(Tempi, 23 ottobre 2008)
40 commenti:
Professore, mi perdoni se vado a margine dell'argomento... volevo porle una domanda su un aspetto dell'istruzione che viene quasi sempre ignorato.
Lei più volte ha ricordato che il bambino che frequenta la scuola primaria deve essere introdotto al mondo della conoscenza simbolica e che gli obiettivi che noi poniamo per i bambini piccoli sono molto modesti.
Ora io mi chiedo: ma nessuno osserva mai che i bambini orientali nell'età della scuola primaria imparano una scrittura di straordinaria complessità e vastità (2000 ideogrammi per i bimbi giapponesi di undici anni)?
Si parla oltretutto di lingue più "generali" della nostre occidentali, in cui le parole scritte e lette sono due cose diverse, che creano una molteplicità di livelli che rendono ancora più esplicita la loro natura di codici simbolici.
Non è una dimostrazione sul campo che i bambini, tutti, hanno potenzialità enormemente sottosfruttate? Cosa ne pensa?
Penso che l'esempio sia ottimo. I bambini hanno potenzialità enormi di cui viene sfruttata soltanto una minima parte. Lo stesso discorso vale per i cinesi.
Egregio Professore,
visto che è stato in passaggi precedenti sempre inappuntabile nel segnalare l' "aggressitivà" di manifestanti che bruciavano il grembiule o in altre forme rendevano poco pacato il loro dissenso, potrebbe essere così gentile da commentare le seguenti dichiarazioni dell'ex presidente della repubblica Cossiga, a quanto si legge dall'intervista da lui concessa al giornalista A. Cangini?
Ecco il testo:
""Maroni [.] dovrebbe ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle
università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e
lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi,
diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. [.] Dopo di
che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze
dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri [.] nel senso
che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in
ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero
subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li
fomentano [.], soprattutto i docenti [.] non dico quelli anziani, certo, ma
le maestre ragazzine sì. [.] Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e
li portano in piazza: un atteggiamento criminale!"
Mi piacerebbe conoscere la sua opinione in merito.
Cordialmente
È una pura e semplice pazzia. Non c'è altro da aggiungere.
Ora mi attendo che si dica che chi organizza le rappresentazioni teatrali dei bambini delle elementari facendo fare loro la parte di Berlusconi col naso di Pinocchio e della Gelmini con le forbici è un criminale colpevole di abuso di minori. Se capitasse ai miei figli farei di tutto per trascinarlo in tribunale e mandarlo in galera.
Se ciò che scrive Cossiga è vero, allora converrà che è un pò peggio della pazzia, sul piano autobiografico. Mette in trasparenza una prassi assai discutibile del passato.
Se incitare al crimine è certamente criminale, direi che il teatrino antiberlusconiano è una cosa sbagliata e poco intelligente, ma mi pare eccessivo definirla criminale. Credo che lei perderebbe la causa di "abuso di minori".
Prendere un minore, di otto-dieci anni e fargli fare qualcosa senza autorizzazione dei genitori, insegnarli a ripetere degli slogan, USARE un bambino per fare propaganda, secondo lei è soltanto "poco intelligente"?...
Lei non sa dove sta di casa la legge e la morale. Non ho intenzione di proseguire questa discussione.
Scusi, non prosegua la discussione e se non vuole non pubblichi queste quattro righe. Ma perché mi offende? In fondo non mi conosce. Leggo il suo blog e cerco dal mio punto di vista di contribuire alle discussioni che lei stesso apre. Ho anche scritto che fare quel teatrino è "sbagliato", implicando certamente con quel termine una critica di tipo morale e pedagogico. Perché non ha preso in considerazione questo?
Mi spiace ma non capisco il suo atteggiamento. Taccio. Le lascio la mia mail se per caso volesse privatamente chiarirmi il suo pensiero (se pensa che ne valga la pena, ovviamente, sempre che i rapporti umani nella società telematica abbiano ancora un peso).
Poi, visto che mi costringe, mi de-registrerò dal suo blog. carloscognamiglio@gmail.com
Io non costringo a niente nessuno. Anzi, spedisca quel che vuole. Metterò in rete tutto. Però rientra nella mia libertà il non aver voglia di discutere con chi, di fronte a un caso specifico e documentato di abuso su minori su cui hanno aperto un'indagine i carabinieri non va oltre la definizione di "sbagliato e poco intelligente" - due aggettivi che evitano la condanna morale.
Mi immagino cosa farebbe lei se si vedesse tornare il suo bambino a casa recitando la parte di Veltroni che fa l'idiota e indottrinato come un agit-prop di Berlusconi... Monterebbe su tutte le furie. E giustamente.
Che ci posso fare? Non è una questione di offendere nessuno (e lasci perdere, ché lei ha usato nei miei confronti un termine davvero offensivo). Se mi si chiede di intavolare una discussione "pacata" - che so io - sul tema se la pedofilia sia o no condannabile, non ce la faccio, è al di sopra delle mie forze. Proprio perché ritengo centrali i rapporti umani. Un insegnante che usa in quel modo un bambino indifeso per i suoi scopi politico-sindacali, per me è del livello morale di un pedofilo. È una persona che commette un delitto. E un delitto non è "sbagliato" o "poco intelligente". Gli atti immorali non sono "errori".
*
oddio ma veramente equipara la pedofilia alla strumentalizzazione di un bambino in una farsesca manifestazione di piazza? Moralmente credo che chi abusa sessualmente di un bambino sia peggio di chi ne abusi psicologicamente in una manifestazione.
Il suo paragone è come mettere sullo stesso piano un omicidio colposo ad una rapina a mano armata!!
Non mi riferisco alle manifestazioni di piazza, bensì a quello che è successo in una scuola alla periferia di Roma, su cui è aperta un'indagine dei carabinieri con tanto di denuncia penale dei genitori.
Spero che il termine "Khmer rossi" si riferisse piu' all'ispettore francese in questione, e ad altri come lui, che ai pedagogisti seri che invece studiano o hanno studiato per decenni i problemi connessi con l'educazione. La sua sfiducia nei confronti del loro lavoro mi pare evidente, e l'ha espressa piu' e piu' volte. Vorrei pero' capirne il motivo: si tratta di una sfiducia e di una critica sui metodi, o ritiene che queste discipline cerchino di studiare qualcosa che non va studiato? O e' semplicemente la pretesa di scientificita' da parte di questi studiosi a darle fastidio? In quest'ultimo caso, se si lasciasse semplicemente cadere tale pretesa di scientificita', dovremmo prendere le loro conclusioni piu' seriamente o con maggior fiducia? In fondo, nella nostra vita e nel nostro lavoro, ci fidiamo spesso di persone o di studi che non sono scientifici (almeno a rigor di termini), eppure non li critichiamo. Pero' qui ci addentriamo nel terreno piu' sofisticato della demarcazione tra la scienza e le "altre cose" che scienza non sono; ognuno puo' dare la sua risposta, ma continuera' ad essere discusso nei secoli futuri. Non credo che dobbiamo aspettarne la soluzione per risolvere i problemi dell'educazione ...
Cordialmente,
Lucio Demeio
Ovviamente il termine Khmer rossi (che è di Lafforgue!) è qui riportato con riferimento all'ispettore francese e a tutti i fanatici che parlano di "lotta militante", non certo ai pedagogisti in quanto tali. Ci mancherebbe altro.
Quanto alla critica generale riguarda metodi e obbiettivi: scientismo, ideologia dell'autoapprendimento, competenze al posto delle conoscenze, docimologia peudoscientifica, ecc. Ne ho parlato in dettaglio nel mio libro e quindi è una critica dettagliata e non una semplice idiosincrasia. Non mira alla pedagogia in quanto tale - lo ripeto e lo sottolineo - ma a QUESTA pedagogia (Dewey, Morin, e i vari personaggi alla don Milani).
In scena due bambini, travestiti da Berlusconi e Gelmini. Hanno il naso da pinocchio e un paio di forbici in mano. Quello che impersona il premier dice: “Mi consenta, cara ragazza, lei è giovane, creativa, si vede che vuole rinnovare. Ma i tagli di classe che vuole il ministro dell'Economia sono altri. Anche se l'idea dei grembiuli modello classic school o yuppie per le scuole più trendy mi piace. Dunque, cara ragazza, lei deve tagliare posti di lavoro, eliminare classi, scuole”. E l'alunna Gelmini replica: «E che ci vuole? Si fa in un attimo. Bastava essere più chiari».
La recita si è conclusa con la filastrocca: “Un, due, tre, Stella. Anzi, meglio Mariastella. E se questo è un bel gioco il suo ci piace poco. Col Brunetta e il Tremonti si saranno fatti i conti. Poi d'estate in gran segreto t'han sfornato 'sto decreto. Ma a noialtri della scuola non ci piace questa sola. Giù le mani dalla scuola”.
Appunto: giù le mani dalla scuola.
Gentile professore, vorrei esprimerle la mia preoccupazione circa la prossima trasformazione delle scuole in fondazioni con erogazione di fondi alle stesse in base al merito, tenendo conto cioè dei risultati conseguiti nelle valutazioni nazionali. Mi chiedo, infatti, chi (gli insegnanti? gli alunni? gli istituti?) e soprattutto cosa si andrà a valutare? In una scuola smontata pezzo per pezzo dalla furia iconoclasta del 68, malata di buonismo e relativismo, soprattutto svuotata di contenuti e privata delle sue radici culturali, parlare di valutazione mi fa paura, perché è come iniziare dalla fine dando per scontato l’inizio, quando l’inizio è tutto da ridefinire. Secondo lei le mie paure sono fondate? Non si finirà per premiare le scuole che fanno più fumo promuovendo fantastici progetti, gli insegnanti che si dedicano al contorno e non alla sostanza, gli alunni che riescono nelle prove aleatorie circa le competenze e le abilità? Le chiedo, inoltre, se con il suo prezioso aiuto non si possa cercare un proficuo dialogo con le istituzioni teso a proporre la ridefinizione dell’intero impianto programmatico e dei principi su cui fondarlo (sottolineando l’urgente necessità di far sedere al tavolo della discussione intellettuali seri, gente di cultura, esperti delle varie discipline e non i soliti pedagogisti politicizzati).
Barbara Marcolini
Vorrei permettermi di replicare all'ultimo post di Demeio. Ovviamente la replica è da parte mia e non certo del Prof. Israel (come invece Demeio chiedeva).
La pedagogia, come campo di indagine, ha diritto di esistere e valore conoscitivo simile alle altre altre scienze sociali. Non mi interessa addentrarmi sul suo statuto epistemologico o sul suo valore conoscitivo.
Quelche mi preme dire è che la pedagogia (e dunque i pedagogisti come comunità) più di altre discipline ha da farsi perdonare nel campo dell'istruzione per i danni ha finito per arrecare.
Niente criminalizzazioni: vorrei solo constatare alcuni dati di fatto.
1. La pedagogia (la comunità dei pedagogisti) ha avallato, senza far nulla per impedirlo o scoraggiarlo, che essa venisse percepita come scienza sovraordinata a tutte le altre discipline, in ambito scolastico, e che dunque a lei dovesse spettare una sorta di (implicita) primazia.
2. I pedagogisti hanno abusato di questa condizione per promuovere programmi di azione politica mascherati attraverso teorie scientifiche o pseudoscientifiche, nonché per avvantaggiarsi personalmente e poter ricoprire ruoli di rilievo nei sistemi istituzionali legati all'istruzione pubblica, in una misura sproporzionata rispetto a qualsiasi ragionevole valore attribuibile all'importanza della disciplina.
3. Una larga parte di pedagogisti ha basato le proprie teorie, ed i corollari conseguenti, su ipotesi vaghe, non comprovate, ambigue, sull'uso di comodo del linguaggio, frequentemente frammisto a ideologismi. Fin qui nulla di male.Quel che è male, molto male, è la concomitante pretesa di ammantare, davanti all'opinione pubblica, di veste scientifica quelle che in realtà sono state per lo più istanze rispondenti a disegni di tipo politico-ideologico, senza sdegnare di piegare la descrizione del reale a chiari disegni preordinati. Una mastodontica opera di mistificazione, che non ha trovato opposizioni o degni anticorpi all'interno della comunità.
E' quanto basta per squalificare la condizione attuale di questa disciplina, per suggerire un ridimensionamento della sua egemonia sul mondo dell'istruzione. Penso ad una vera e propria cura che sia culturalmente disintossicante. Solo rimuovendo questi veleni sottili le discipline pedagogiche potranno dare un valido e costruttivo contributo ai sistemi di istruzione.
A Barbara. Sì, le sue paure sono fondate. Cosa fare. Non vedo altro che proseguire a dire e scrivere quel che si ritiene giusto. Per quanto mi riguarda lei sopravvaluta quel che potrei fare oltre a questo.
sulla questione della recita alla scuola Tittoni di Braccianoe è in corso una verifica per ravvisare eventuali illeciti penali, ipotesi possibile ma improbabile visto che il reato di plagio non è più previsto in Italia da diverso tempo. Sul contenuto del copione invece potrebbe essere ravvisabile il reato di diffamazione. In ogni caso non capisco come moralmente la diffamazione o il plagio siano assimilabili alla pedofilia.
sono due cose totalmente diverse, non solo legalmente ma anche moralmente.
Mi scusi, ma lei ragiona in modo rovesciato. Prima si chiede quali siano le figure giuridiche e poi ne deduce un giudizio morale. Se la legge o vari cavilli giuridici non consentono altro che di parlare di diffamazione o plagio non se ne deduce che quel che è accaduto debba essere considerato soltanto sotto questi profili. È la legge che deve riflettere i giudizi morali e non viceversa, e l'assetto giuridico può essere inadeguato, tanto è vero che è soggetto a continui aggiornamenti.
Se prendo una persona di pochi anni, per l'età incapace di giudicare se sia giusto fare una certa cosa oppure no (se abbia ragione la Gelmini o no) e che oltretutto (o soprattutto) deve obbedirmi, è in mio potere completo in quanto insegnante, e lo uso per i miei scopi, sto commettendo una serie di atti ignobili: abuso di minore e abuso della mia funzione di pubblico ufficiale.
Se oggi andassi a lezione e invece di parlare di matematica facessi un comizio commetterei indubbiamente un reato: abuserei del mio ruolo per fare attività propagandistica, per giunta pagato dallo stato! Ma gli studenti potrebbero benissimo alzarsi e andarsene mandandomi a quel paese. Invece qui il bambino è costretto a fare la parte che gli assegno, a mettersi un naso finto, a apprendere delle filastrocche, a diventare strumento dei miei intenti. Lo chiami come vuole, è abuso di minore. E gli abusi psicologici (per giunta questo è anche fisico!) non sono meno gravi di quelli materiali.
Se poi il codice consente scappatoie, se esiste il modo di cavarsela, se le uniche figure giuridiche sono quelle di diffamazione o plagio, è un difetto della legge. Del resto, ogni giorno succede che atti indegni restino impuniti per cavilli giuridici o insufficienze del codice. Quelle figure sono certamente diverse legalmente e moralmente dalla pedofilia, ma non hanno anche nulla a che fare con quello che è successo a Bracciano.
Infine, è del tutto evidente che "insegnanti" che abusano in tal modo della loro funzione - sono pagati per insegnare e non per fare gli agitprop, e se lo vogliono fare lo facciano fuori della scuola o scioperando - dovrebbero essere sospesi dalle loro funzioni in quanto indegni di ricoprirle.
Davvero lei affiderebbe i suoi figli a persone del genere? Io non faccio che incontrare gente che la pensa esattamente nel modo che ho esposto.
Vorrei rispondere a Francini ed in parte al Prof. Israel. Purtroppo devo farlo in breve, gli impegni lavorativi sono dietro la porta!
Se la pedagogia cui si fa riferimento e' stata soltanto un veicolo per promuovere un'ideologia (almeno cosi' interpreto il vostro pensiero), mi pare che la vostra posizione sia altrettanto ideologica. Se mettiamo da parte Dewey, don Milani e seguaci, cosa ci rimane? La scuola gentiliana! Se non e' ideologica quella ...
Sempre cordialmente,
Lucio Demeio.
A parte Socrate...
Egregio Professore, è demoralizzante (dal mondo esterno) vedere come in una discussione sulla didattica si debba dare tanto spazio e peso a fatti infami che capitano dentro e fuori la scuola, conditi poi con il cinismo indifferente e tossico (si può dire?) di vari commenti. Forse sono un'anima bella.
Non c'entra qui, ma in quanto ai consulenti (di sinistra), si sa che mantenere i posti di potere - e magari incrementarli facendo leva sui principi distributivi e "democratici" propri dell'avversario politico - sia un ottimo modo per "governare" periodi sfavorevoli e svuotare di ogni efficacia riforme (o più semplicemente cambiamenti) sgraditi.
Egregio professor Israel, qualche giorno fa ho notato che in una mia classe prima (superiore), diversi studenti non sapevano che un chilometro equivale a mille metri, un chilogrammo a mille grammi, insomma che "chilo" vuol dire "mille".
Poco tempo dopo, su un giornale locale, ho letto un articolo dove una maestra affermava:
Si è passati dalla scuola nozionistica ad una scuola che potenzia le capacità di pensare, di dedurre. Il maestro non trasmette solo conoscenze, ma crea strutture di apprendimento.
A me pare che la scuola, così com'è, consenta agli studenti di uscirne "indenni", senza né conoscenze né strutture di apprendimento. Noi tutti che non abbiamo frequentato la mirabolante scuola di oggi, pur senza che nessuno ci creasse "strutture di apprendimento", imparavamo però almeno che cosa vuol dire "chilo", insieme ad altre due o tre "cosucce".
Quiz per i lettori del blog: la maestra in questione, secondo voi, era pro o contro il decreto Gelmini?
professor Israel io non faccio alcun giudizio rovesciato. Secondo me, e lo ripeto, moralmente la pedofilia e quella che lei chiama costrizione (che poi è tutta da verificare in questo caso) non sono sullo stesso piano morale; giuridicamente idem. Riguardo l'affidare e il non affidare. Io non affiderei i miei figli a persone simili ma prima di lanciare giudizi sommari verificherei se queste persone abbiano o meno costretto i miei figli a fare qualcosa contro la loro volontà.
il fatto poi che lei incontri persone che la pensano come lei non vuol dire che il suo ragionamento sia corretto. Il suo è un ricorso ad popolum, una fallacia argomentativa piuttosto comune.
La scuola non è un luogo di democrazia. Quando mando mio figlio a scuola so benissimo che viene "costretto" a fare una serie di cose (apprendere matematica, sedere al banco, rispettare tutta una serie di regole ecc. ecc.). Non è affatto libero di scegliere quel che vuol fare secondo la sua volontà. Lo accetto perché sono d'accordo che così sia e ripongo la mia fiducia nell'insegnante e nel fatto che so qual'è la materia della "costrizione". Non è previsto che faccia altre cose: ballare tutta il giorno, bere alcoolici o spogliarsi nudo. Se l'insegnante programma un genere di attività non previsto, come i precedenti e tanti altri esempi che possono essere pensati e che non rientrano nel ragionevole contesto delle attività di apprendimento, è semplicemente un mascalzone irresponsabile. Se quel che fa fare è funzionale a una sua protesta politica (e segue questa via invece di scioperare pagando col suo stipendio) è doppiamente mascalzone e irresponsabile oltre che ladro.
Tutto ciò è talmente evidente che non meriterebbe neppure di essere detto e il fatto che praticamente chiunque incontri sia d'accordo con me mi conforta ma non è un argomento, perché il senso morale non ha bisogno di consenso.
Sostenere che sia in gioco una questione di libera volontà da verificare è un tentativo di difesa estrema che rientra nella classica categoria dei cavilli legali.
In risposta a quest'ultimo commento di Giorgio Israel.
Quello che lui descrive e' una serie di regole piuttosto che mancanza di democrazia. Le regole le abbiamo sempre attorno, bambini ed adulti, in quasi tutte le circostanze del nostro vivere sociale. Ma questo non vuol dire mancanza di democrazia. Se non sputo nel piatto del mio vicino di tavola non e' perche' lui (o la societa', o che ne so) non e' democratico, ma perche' sto seguendo una semplice regola di buona educazione, o di galateo se preferite. Affermare che la scuola non e' un'istituzione democratica semplicemente perche' si seguono delle regole (implicite od esplicite) mi pare improprio. Parlare di democrazia a proposito della scuola mi pare invece che riguardi un'altra questione: se le decisioni riguardanti la struttura di questa istituzione, ed in particolari le leggi che delineano una vera riforma, debbano essere discusse da una base sociale piu' ampia di quello che e' stato fatto in questa occasione. Ma di cio' abbiamo gia' scritto in questo blog ed espresso le nostre opinioni, che immagino non cambieranno ne' da una parte ne' dall'altra.
Ritornando invece sulla strumentalizzazione dei bambini,
vorrei far presente che il mondo e' pieno di strumentalizzazioni, che neppure ce ne accorgiamo. Un esempio che e' sotto gli occhi di tutti e' il marketing. Quando mio figlio mi accompagna al supermercato a fare spesa, se vede un bel giocattolino associato ad un certo prodotto che io non ho alcuna intenzione di acquistare, ne viene attirato ed invogliato fino a quando o il genitore cede o si trova costretto ad operare un'azione ... poco democratica. Per non parlare degli innumerevoli episodi simili a questo che vengono dalla televisione. E' o non e' strumentalizzazione questa?
E vorrei concludere formulando una domanda un po' provocatoria: anche i genitori possono in qualche modo strumentalizzare i propri figli, o no?
Cordiali saluti,
Lucio Demeio.
Mi dispiace, ma non sono d'accordo. Non è soltanto questione di regole o buona educazione. La scuola, a differenza di altri contesti, è basata su un principio di autorità, altrimenti non funziona. E difatti ora non funziona... E chi ha il potere di esercitare l'autorità ha una grande responsabilità.
Per il resto, scusatemi, ma sono una persona semplice. Non riesco a seguire questi discorsi sociologici sulla strumentalizzazione. Mi scuso. Sarà un mio limite. Per me chi strumentalizza i bambini - o meglio li usa - è un mascalzone chiunque sia. Io non userei mai mio figlio come strumento di propaganda politica. Perciò non mi sento provocato dalla domanda. Che anzi viene incontro perfettamente alla mia condanna dei genitori che hanno portato in piazza i bambini contro la Gelmini. I bambini stanno a casa a giocare, a fare i compiti o a scuola a studiare, oppure li si porta in gita o al giardino zoologico.
Con ricambiata cordialità.
Mercoledì 29, mi trovo ad eleggere i rappresentanti dei genitori in istituto professionale romano. La tensione è palpabile, dai visi dei genitori traspare l'ansia e lo smarrimento: orari provvisori, professori assenteisti, didattica scadente, bullismo, scarsa partecipazione delle famiglie, mancanza di dialogo con la direzione. Il famigerato decreto non è certo in cima ai nostri pensieri. Pensiamo alla sorte dei nostri figli, qui ed ora. Ci hanno lasciato con il cerino in mano per andare a manifestare contro il "disegno autoritario". Per sputare in faccia a poliziotti e a menar le mani con i fascisti. Grottesco.
Vorrei replicare a Demeio quando dice: "Se mettiamo da parte Dewey, don Milani e seguaci, cosa ci rimane? La scuola gentiliana! Se non e' ideologica quella".
La scuola gentiliana è una fra le molte possibili, con i suoi pro e i suoi contro, ambedue ben conosciuti (in proposito bisogna però demistificare la figura di Gentile: anche lui, pur sotto il facsismo, restò in carica meno di due anni, fu subissato di critiche e rapidamente allontanato, e quasi subito la sua riforma venne smussata). Le alternative al modello gentiliano sono innumerevoli e non si limitano certamente a Dewey e Milani.
In ogni caso, quando si fanno le riforme sarebbe saggio stare molto attenti a non gettare con l'acqua sporca anche il bambino. Perché più di una volta in Italia ci siamo dovuti accorgere di aver gettato via solo il bambino, e non l'acqua sporca.
Mah, avrete pure ragione voi, alla fine. Con tutta la buona volonta' di questo mondo, da quello che vedo, un po' per esperienza personale (circa trent'anni fa ho insegnato anch'io alle superiori per quasi tre anni - e non ditemi che le cose sono migliorate), per l'esperienza dei miei figli (elementari, medie e superiori) e per l'esperienza di tante persone che conosco e che insegnano nelle scuole dalle elementari alle superiori, non mi riesce proprio di capire com'e' che, volendo riformare qualcosa nel sistema scolastico pre-universitario, si debba partire dalle elementari. Le brutture, le "schifezze" di ogni tipo (scusate il termine un po' forte), dall'arroganza degli studenti e delle loro famiglie al rifiuto totale di imparare qualsiasi cosa, dalla impotenza (o indolenza?) delle autorita' scolastiche nei confronti degli interminabili episodi di malcomportamento degli studenti (ai limiti del criminale) alla tendenza alla promozione generale anche dei piu' asini, dalla sottomissione della scuola agli interessi di gruppi economici influenti fino alla pretesa delle famiglie benestanti e localmente influenti di avere i loro figli promossi ad ogni costo perche' gli serve il "pezzo di carta" per poterli poi assumere nell'azienda di famiglia, ... queste cose alle elementari non le ho mai viste (se non in misura marginale), ma solo alle superiori e, in misura minore, alle medie. E' inutile che stiamo a parlare di spiegare le operazioni con le frazioni tramite "ribbons" o tramite moltiplicazione inversa se prima non curiamo l'atteggiamento della societa' verso la scuola, a cominciare da dove e' piu' deleteria. Cioe' NON dalle elementari.
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Ma io non credo che alla fine diciamo cose tanto diverse. Alle elementari non possono accadere le cose gravi che accadono alle medie o alle superiori. Alla fin fine sono bambini... Ma bisogna fare le dovute proporzioni. È qui che si prepara quel che accadrà dopo. Un bambino di sette anni che dice "vaffa" alla maestra e la prende a pernacchie è uno che a quindici, anziché dire "vaffa" tira un pugno al professore e mena pure i genitori (quegli imbecilli che quando aveva sette anni hanno riso di compiacenza perché ha detto "vaffa": "è soltanto un bambino, bisogna capire..."). Io non dico che bisogna guardare solo alle elementari. Ma stiamo attenti ai segnali preparatori. Se non si raddrizza un bambino di sette anni che prende a calci la maestra dopo sarà quasi impossibile riuscirci.
Ma stiamo attenti ai segnali preparatori. Se non si raddrizza un bambino di sette anni che prende a calci la maestra dopo sarà quasi impossibile riuscirci.
Si, e' vero, forse non diciamo cose molto diverse; ma allora aggiungerei che dobbiamo prima ... raddrizzare i genitori!!
Invece avrei da dire ancora qualcosa sulle scuole superiori, in relazione a quanto ho espresso nel commento di ieri. Un problema serio e' quello della mancata correlazione tra il progresso negli studi (conoscenze o competenze che siano) ed il futuro di una persona. Nel senso che, purtroppo, il futuro lavorativo dello studente dipende piu' dagli agganci personali suoi o della sua famiglia, nonche' dallo stato sociale e dalla ricchezza della famiglia stessa, che dai suoi risultati a scuola. Se si tolgono gli studenti che rivolgono il loro interesse alle materie piu' speculative (comprendendo filosofia, matematica, e quant'altro), e che alla fine diventeranno matematici, filosofi o anche fisici di professione, per tutti gli altri non c'e' sufficiente incentivo ad impegnarsi nelle materie scolastiche, tanto poi verranno promossi lo stesso e la famiglia gli trovera' comunque una sistemazione.
Nella maggioranza dei paesi occidentali, invece, lo studente sa che il suo futuro dipende dai risultati che consegue a scuola, ed e' incentivato ad impegnarsi (questo l'ho visto direttamente in America ed Inghilterra, ad esempio). Anche questo mi sembra un punto sul quale bisogna intervenire, e che con i grembiulini c'entra ben poco.
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Con quest'ultimo commento di Demeio mi trovo decisamente concorde. Probabilmente è IL grande problema dell'istruzione italiana in questo momento: la troppo debole correlazione tra i meriti nell'istruzione e la ricompensa sociale. Questa correlazione l'anello centrale di tutti i sistemi di istruzione pubblica miranti a diffondere conoscenza e nuova costruzione di sapere, e deve essere una correlazione trasparente e chiara: l'equilibrio tra benefici personali (che devono essere trasparenti e percepibili) e beneficio sociale (che deriva dalla somma di molti contributi).
Vi sono diverse indagini, molto circostanziate, che evidenziano come in Italia il legame tra successo negli studi e benessere sociale-lavorativo sia percepito in maniera sempre più debole, in alcune aree del paese (quelle per l'appunto dove i risultati scolastici sono peggiori) quasi assente.
Si chiama "demotivazione" e si riverbera con impensata intensità fin nelle più giovani generazioni, attraverso il messaggio che giunge loro dalle famiglie e dai media. Vedono i cugini o i fratelli maggiori o parenti o amici vari o i personaggi della TV arricchirsi in varie maniere, quasi nessuna delle quali somigliante alla raccomandazione "studia di più e impegnati", e allora cominciano a sospettare che vogliano fregarli (specialmente quando vedono arrivare i professori, i quali , a furia di studiare, si presentano a scuola con la Panda scassata di 20 anni fa....).
Tra le tante letture possibili dei dati PIRLS (che dicono che tutto sommato i bambini italiani leggono bene alle scuole elementari), a contrasto coi successivi test PISA (che dicono che 5 anni dopo sono tra i peggiorio dell'OCSE anche in lettura), possiamo annoverare anche questa congettura: che tutto sommato le famiglie italiane percepiscono l'importanza del saper leggere e scrivere, e cercano di collaborare coi figli e con la scuola per riuscirvi, mentre percepiscono sempre più ciò che viene dopo come semplice acquisizione del "pezzo di carta" (e pertanto ha funzione soprattutto di intralcio, di ostacolo da superare, ma assai meno di opportunità o risorsa da cogliere). Un rituale che serve solo ad arrivare al titolo ma ha sempre meno valore di per sé.
Dalla maestra elementare i genitori vanno a chiedere preoccupati se i figli hanno imparato a leggere e scrivere, con reale preoccupazione. Nessuno va a chiedere al professore se il figlio se la cava con le disequazioni di secondo grado. Interessa solo che abbia 6. Perché? Perché c'è un atteggiamento che muta negli anni e che induce sempre più demotivazione e un'attitudine sempre più passiva negli studenti e nelle famiglie, senza partecipazione interessata reale. Gli studenti lo percepiscono.
Si fa un gran parlare di "obbligo" di istruzione, ma nei fatti l'istruzione è sempre meno "opportunità", sempre meno possibilità che di avere un ruolo atrattivo "in positivo". I canali che contano nella società sembrano essere altri (poi magari non è nemmeno del tutto vero, ma questo è quello che sembra, specialmente a un giovane). Famiglia, semplice fortuna, ralazioni amicali o politiche, immagine, furbizia spicciola e opportunismo, o perfino la vecchia e rispettabile fatica fisica (sgobbare): quasi tutto sembra contare molto di più dell'istruzione.
E' chiaro che, se non si ristabilisce un circuito virtuoso tra meriti e ricompensa (che, almeno in una certa misura, c'era e che sembra essere saltato), si va poco lontano, non si costruisce niente di solido.
D'accordo anch'io, a patto di approfondire l'analisi. Non restiamo sempre ai dati. Bisogna interpretarli. Il vero problema è: perché i dati PIRLS dicono che i bambini italiani leggono bene alle elementari e vanno invece male sui calcoli? Che stranezza, no? Al solito non si guarda ai contenuti. La lingua italiana è una delle più facili da leggere e scrivere per la corrispondenza quasi totale tra fonetica e scrittura. Avete idea di quel che succede in Francia con l'allentamento sul rigore fonetico? Che i bambini "alors" lo scrivono "alor" e "cahier", "caié". Un disastro. E quindi stanno sotto i bambini italiani. Ma non in matematica. Analogo disastro negli USA, ché la fonetica inglese è ancora più difficile ma i pedagogisti dell'autoformazione sostengono che insegnarla è "abuso di minori" (a differenza di quel che accade a Bracciano...).
Tutto va molto male alle elementari e la discrasia è soltanto dovuta alla diversa difficoltà tra scrittura e matematica. Poi, quando entrambe le materie presentano difficoltà analoghe e non basta più fare il dettato o il compitino, le magagne saltano fuori.
Non ci si illuda. Registro sempre più casi di bambini che in quinta o quarta elementare (caso verificato ieri) non conoscono ancora le tabelline e non sanno fare neppure la più semplice divisione pur scrivendo decentemente. Decentemente vuol dire senza troppi errori, entro l'ideologia di chi dice che non importa scrivere "ha" senza "h", quel che conta sono le "strutture del pensiero". Un "ha" senza "h" alle elementari non è una tragedia, non lo è neppure nei test, alle medie diventa un problema serio e i test registrano come grave quel che prima era considerato meno grave in un contesto diverso. Alle medie quali equazioni di primo grado vuoi risolvere se ancora non sai dividere 10 per 3?
Non è vero che i genitori si preoccupano tanto dei figli alle elementari, e poi no. Il guaio è che la maggioranza di loro non si preoccupa per niente. Soprattutto se bambini come quello che ho incontrato ieri prendono il massimo in matematica in quarta pur non sapendo dividere 16 per 4. Non hanno motivo per preoccuparsi. Dopo, quando si troveranno di fronte a una situazione disastrosa, penseranno che i figli sono vittime della scuola e diventeranno i loro sindacalisti.
Perciò, aprite gli occhi: la premessa del disastro sta all'inizio. Non leggete i dati senza rifletterci sopra.
Registro sempre più casi di bambini che in quinta o quarta elementare (caso verificato ieri) non conoscono ancora le tabelline e non sanno fare neppure la più semplice divisione pur scrivendo decentemente.
E a quel punto, purtroppo, la frittata è fatta, e le possibilità di recupero negli anni successivi sono davvero poche. Per quanto riguarda la mia piccola esperienza, chi arriva in prima superiore con difficoltà con le tabelline, se le mantiene fino all'esame di quinta. Quando parlo di queste cose al di fuori dell'ambiente scolastico, in genere tutti mi guardano stupiti facendo fatica a capacitarsi dell'attuale "stato dell'arte".
E' vero: la lingua italiana è foneticamente semplice e prsente una corrispondenza molto semplice tra scritto e parlato. Quindi può facilitare un apprendimento iniziale della lettura rispetto ad altre lingue. Questa è un'altra delle ipotesi che si fanno (io stesso l'ho avanzata in occasioni pubbliche) per spiegare i risultati favorevoli dei bambini italiani nel test PIRLS.
Una parziale conferma di questi dati può venire perfino dai dati PISA. Infatti, se ci limitiamo agli items di livello più elementare nel test PISA di lettura, i tassi di risposta esatta degli italiani sono in genere (quasi sempre) più elevati della media OCSE. Questo accade solo in lettura, non in matematica (dove invece i risultati sono sotto la media anche per le domande semplici). Segno che si potrebbe interpretare come appunto il fatto che, effettivamente, le abilità più elementari di lettura sono acquisite abbastanza stabilmente fin da presto e permangono in seguito. Ma non si sviluppano adeguatamente capacità più elaborate che dovrebbero via via affiancarsi alle prime.
Questo quadro è ragionevolmente coerente con i dati PIRLS favorevoli. Quanto al sostegno delle famiglie, naturalmente la mia è una congettura difficile da verificare (ma non del tutto impossibile: occorrerebbero dei sondaggi seri e piuttosto costosi; forse, qualche informazione si potrebbe ricavare perfino dalle compilazioni del questionario di accompagnamento al PISA a cura dei genitori). In ogni caso, questo sostegno maggiorato credo si limiti a quelle abilità fondamentali di immediata, evidente, percepita utilità. Quindi più per leggere e scrivere che per la matematica, verso la quale c'è in genere diffidenza e timore già alle scuole elementari da parte delle famiglie. Tra l'altro, quando si traccia un quadro virtuoso dell'elementare italiana, quasi sempre ci si riferisce alla lettura (e scrittura?), ma poco si sa di come vadano in realtà le cose per la matematica. Per quel poco che si può vedere, le cose non vanno affatto bene.
In ogni caso, tengo a precisare, non mi accodo a chi descrive un quadro "di eccellenza" della scuola elementare italiana. La verità è che si hanno pochissime informazioni. I punti di forza sono dubbi, le debolezze che appaiono sembrano essere serie, l'evoluzione dell'ultimo quindicennio non sembra essere stata nel complesso favorevole anche da un punto di vista didattico e pedagogico (fatte salve le naturali fluttuazioni).
Aggiungiamo un altro elemento di riflessione. Col passaggio al maestro plurimo i vecchi maestri "unici" sono passati quasi tutti all'italiano. È facile verificarlo. Ed erano - e sono, per quelli che restano in servizio - i più preparati. La matematica la fanno i più giovani, preparati con i nuovi curricula, e sono decisamente impreparati. Aggiungiamo questo aspetto al precedente e si comincia a vederci chiaro.
E ne vorrei aggiungere uno ulteriore. Molto ipotetico, lo so, ma mi e' piu' volte venuto alla mente e vorrei vedere cosa ne pensate. Credo che se andiamo a guardare la scuola elementare di quarant'anni fa (o anche cinquanta, per quel che mi riguarda), il numero di alunni che non sapevano le tabelline o non sapevano far le divisioni in IV o in V non fosse trascurabile. Azzardo pure l'ipotesi che fossero in numero uguale a quelli di adesso (salvo fluttuazioni). Il punto e' che questi alunni una volta si fermavano dopo la scuola dell'obbligo (e spesso nemmeno la finivano) ed andavano a lavorare, mentre ora - non dico tutti, ma una parte significativa si' - continua e ... orrore ... qualcuno si affaccia pure alle materie scientifiche dell'universita' (giuro: ho visto uno o due casi !!). Rispetto alla scuola di un tempo, e' aumentato il numero di studenti che continuano il percorso scolastico oltre gli anno d'obbligo e, anche se il livello di preparazione fosse rimasto costante (e sappiamo che non lo e'), vedremmo comunque una componente via via crescente della popolazione scolastica con preparazione scadente. Una volta, alle superiori e poi all'universita' ci andavano i piu' bravi, ora ci vanno tutti. Non dico che sia giusto o sbagliato, perche' a questo punto diventa un discorso sociologico piu' che pedagocico, ma mi sembra un elemento di analisi da non trascurare. O sbaglio?
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Concordo pienamente con questa sua osservazione, Lucio. E questo elemento di analisi che lei porta alla nostra attenzione mi pare strettamente collegato alla demotivazione di cui parla Francini.
Ciò che è accaduto negli ultimi anni nella scuola italiana è simile alla situazione di uno stato che si mettesse a stampare banconote a gogò per pagare gli stipendi, e dopo un po' ci si rende conto che i soldi valgono quanto la carta straccia. Oggi i titoli di studio valgoni in sé quanto la carta straccia, e forse tanto varrebbe abolirne il valore legale.
Questo andazzo è stato fortemente favorito dal calo demografico e dall'autonomia scolastica che ha incentivato molte scuole a svendersi per accaparrarsi gli studenti. Ma di questi effetti nefasti dell'autonomia mi sembra non se ne parli quasi per nulla.
Infatti, non credo ci siano altri paesi al mondo dove il titolo ha valore legale come qua. Pero' non sono contrario all'autonomia (anche a livello universitario) se diventa fonte di una vera competizione. Se gli studenti che escono da una determinata scuola poi trovano difficolta' negli stadi successivi del percorso scolastico o se non vengono assunti dalle industrie o altro, quella scuola perdera' credito e perdera' studenti. Ed alla fine dovra' rinnovarsi o dovra' chiudere. Per arrivare a questo, pero', bisogna convogliare i finanziamenti verso le scuole migliori e non darli "a pioggia".
Lucio Demeio.
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