Mi è stato segnalato un commento audiovisivo di un collega pedagogista, il professor Fabio Bocci (Università di Roma Tre) a un mio articolo comparso circa un mese e mezzo fa sul Messaggero: http://vodpod.com/watch/1124443-il-prof-bocci-risponde-a-giorgio-israel-riguardo-la-riforma-gelmini.
Ringrazio il collega per questa polemica aperta e leale. In linea generale, ho avuto confronti privati con pedagogisti (anche molto autorevoli) per lo più molto pacati e comprensivi ma nessuna risposta pubblica, mentre mi sono state segnalate diverse scariche di insulti volgari profferiti in taluni locali universitari. Tanto più trovo apprezzabile che questo collega abbia manifestato il suo dissenso in modo tanto aperto quanto civile.
L'ascolto delle sue parole mi ha colpito. Difatti, il collega Bocci si è sostanzialmente limitato a leggere il mio articolo senza sviluppare contestazioni di merito - argomenti contro argomenti - bensì sottolineando con addolorato stupore le mie tesi come se dovesse essere assolutamente evidente di per se, senza alcun bisogno di dimostrazione, la loro assurdità. Insomma, pare che leggere il mio articolo e sottolineare certi passaggi sia di per se sufficiente a suscitare il rigetto dell'ascoltatore.
Nella sostanza, quel che Bocci mi rimprovera è di "denigrare" la scuola e la pedagogia, asserendo che la prima va male (mentre a lui pare che sia sufficiente asserire che è "falso" che vada male) e che la seconda è responsabile di questo sfascio (che non ci sarebbe), da cui l'assurdità del mio sillogismo.
Il guaio è che il suo è un sillogismo basato su certezze date per evidenti e che non abbisognano di essere dimostrate. E quindi, se tali postulati sono falsi, crolla all'istante. Il problema è dato proprio da quelli che Bocci tratta come postulati e verità evidenti.
1) Lo stato della scuola. La discussione verte ovviamente su quella primaria, dato che nessuno osa mettere in discussione che quella secondaria vada male (se non altro per i famosi test Ocse-Pisa). Ma anche qui, dare per ovvio che la primaria italiana vada bene non è molto ragionevole e qui (come è stato abbondantemente spiegato non esistono test di analogo significato). Esistono invece innumerevoli analisi che vanno nella direzione opposta. Il collega Bocci mi farà la cortesia di non dover ripetere quel che ho scritto in un numero ormai sterminato di articoli, e soprattutto nel mio libro "Chi sono i nemici della scienza?" e di non dover ripetere tutte le referenze ai tanti scritti che avanzano tesi analoghe, ovvero volte a mostrare che il disastro inizia proprio nella scuola elementare. Esiste ormai un'ampia letteratura al riguardo, incluso un gran numero di libri scritti da maestri e professori. Esiste poi un gran numero di testimonianze dirette di genitori e maestri, alcune delle quali contenute sul mio blog e su tanti blog di insegnanti, e che sono ormai tante da poterle raccogliere in un libro. Non credo che sia una buona idea chiudersi nell'autoreferenzialità e nelle proprie sicurezze teoriche invece di guardare con occhi aperti, spirito critico e libertà di pensiero ai fatti.
Mi limito agli ultimissimi episodi raccolti. C'è l'insegnante che, dopo aver scritto sul mio blog che i suoi alunni (delle secondarie) non sanno che un chilometro vale mille metri, perché non sanno che "chilo" è "mille" si chiede se ciò non sia colpa di elementari in cui circolano maestri che emettono simili sentenze: "Si è passati dalla scuola nozionistica ad una scuola che potenzia le capacità di pensare, di dedurre. Il maestro non trasmette solo conoscenze, ma crea strutture di apprendimento". È la vulgata corrente, è la parola d'ordine della scuola degli ignoranti e del paese dei balocchi.
Un'ora fa ho raccolto questa testimonianza da amici che hanno partecipato ieri a una riunione di classe. La maestra di italiano ha proclamato: "Non ha alcuna importanza se un bambino scrive "è" senza accento e "ha" senza "h", quel che importa è come pensa, le sue strutture mentali"... E la maestra di matematica di rincalzo: "Non ha nessuna importanza saper fare un'addizione o una moltiplicazione, quel che conta è cosa il bambino pensa dell'addizione e della moltiplicazione"... Mentre vengono profferite simile indegne e devastanti ridicolaggini, tutti noi genitori constatiamo che i nostri figli in terza o quarta elementare non sanno risolvere banali problemini. Per esempio, stamattina portandolo a scuola, ho tentato vanamente di far risolvere a mio figlio, che aveva parlato di "cento mesi", il problema di quanti anni valessero questi cento mesi. Non riusciva a formalizzare la questione, ovvero che doveva dividere 100 per 12 e quando, con la mia guida vi è pervenuto, ha sbagliato il resto della divisione. In linguaggio pedagogista potremmo dire che è una catastrofe in termini di "competenze". È una catastrofe che deriva dall'ideologia sopradescritta, perché per la maestra mio figlio pensa benissimo, anzi è il migliore della classe.
In conclusione, invece di liquidare il problema come "falsità" e "denigrazione", Bocci farebbe bene a aprire un riflessione critica sullo stato reale della scuola primaria e ascoltare le tantissime voci che parlano di una realtà diversa da quella che lui si figura. Comunque, tolga di mezzo il ricatto: dire che la scuola primaria non va è una "tesi" non è una "denigrazione", tantomeno un "attacco" alla scuola.
2) Arriviamo così al discorso sulla pedagogia. La mia tesi è che il disastro attuale della scuola italiana (di tutta la scuola italiana) è responsabilità di chi ne ha gestito le riforme e individuo tale responsabilità (come fanno moltissimi, e non soltanto in Italia!) nelle correnti della pedagogia dell'autoformazione (o autoapprendimento), del "meglio una testa ben fatta che una testa piena", che hanno preso le mosse dall'opera di Dewey e hanno avuto un referente fondamentale in quella di Edgar Morin. Ora qui Bocci mi vorrà consentire che criticare "questa" pedagogia non significa "attaccare" e "denigrare" la pedagogia in quanto tale. Ritengo che chi condanni la pedagogia in quanto tale sia semplicemente un cretino. Probabilmente io sono un cretino, ma certamente non per questo motivo. Spero però che Bocci non commetta il peccato di superbia di identificare queste correnti pedagogiche con la pedagogia in quanto tale per poi mettere alla gogna chiunque le critichi come "nemico" e "denigratore" della pedagogia... Sarebbe come se io fossi criticato per fare cattive lezioni di matematica o di storia della scienza e di formare dei pessimi allievi e mi difendessi dicendo che si sta portando un attacco denigratorio alla matematica o alla scienza. Sarei a questo punto giustamente imputabile di delirio di potenza. Ma io non credo che Bocci sia affetto da un delirio di potenza e tantomeno che il suo sia un peccato di superbia. Mi permetterei invece, da storico della scienza, di ricordargli la lezione di Thomas Kuhn circa quel che accade quando un paradigma scientifico tende a cristallizzarsi in "scienza normale" e si identifica con l'unico modo possibile di fare scienza. È la fase del dogmatismo, del manifestarsi di una sterilità del paradigma, di una sua incapacità di rinnovarsi e vivificarsi nel confronto con la critica, e questo chiudersi in se è il preoccupante segnale di un declino inarrestabile. Perciò, al posto di Bocci, mi preoccuperei, e parecchio. La sua identificazione del paradigma pedagogico a lui caro, e che senza ombra di dubbio ha influenzato le riforme scolastiche da almeno trent'anni, con la pedagogia tout court non è una manifestazione di superbia (da escludersi in una persona come Bocci) quanto il segnale di una paralisi della capacità critica divenuta persino inconsapevole. E quando si spegne la capacità di mettersi in discussione è il segnale di una crisi difficilmente reversibile. Provi quindi Bocci a non dare per scontato che le teorie pedagogiche cui egli si rifa sono il Vangelo e a confrontarsi con chi le critica - magari anche duramente: la critica dura e vivace è il sale della discussione e del progresso scientifico! - a confrontarsi con gli argomenti altrui, a provare a confutarli nel merito, invece di additarli in quanto "attacco" e "denigrazione" a un'indignazione pubblica che non è ovvia (e purtroppo per lui non lo è). Naturalmente non entro nel merito perché ritengo di averlo fatto abbondantemente: mi attenderei piuttosto di essere letto e contraddetto nel merito della pienezza dei miei argomenti, e non leggendo una frase di un articolo.
Un ultimo punto. Bocci mi accusa per aver parlato di un "complesso sindacale-psico-pedagogico-docimologico che domina la scuola da trent’anni e che è responsabile del suo stato attuale" e quindi di aver additato i pedagogisti come una sorta di "massoneria". Lasci perdere questo termine: non l'ho usato e basta. Guardi invece alla realtà. È da quarant'anni che i sindacati confederali (e in particolare la Cgil) hanno esteso in modo incontrastato il loro potere sul sistema dell'istruzione. Non ho nulla contro i sindacati, ma credo che dovrebbero stare al loro posto, ovvero occuparsi di questioni stipendiali e normative e non impicciarsi di organizzazione scolastica. Invece, assistiamo da tempo - e basta leggere le recenti proposte della "Federazione dei Lavoratori della Conoscenza" per averne la conferma - a un'intrusione persino nella determinazione dei programmi scolastici. Arriviamo al punto che, mentre persone come il sottoscritto e docenti del livello di un Giovanni Sartori o di un Aldo Schiavone vengono rudemente invitati a presentare le loro credenziali accademiche da ignoranti semianalfabeti soltanto per aver parlato di necessario rigore nella scuola, un ragioniere esperto soltanto di sindacati edili e tessili si mette a discettare di pedagogia e viene preso anche sul serio. Bocci sa benissimo che la pedagogia che piace a questi signori e che hanno difeso a spada tratta anche in questi giorni di scioperi e manifestazioni, è quella che domina da trent'anni e più nei corridoi ministeriali, indipendentemente dai ministri e dal loro colore politico. Non c'è bisogno che faccia nomi e cognomi perché Bocci li conosce a memoria: i "pedagogisti di stato" che hanno determinato il corso della scuola italiana quantomeno nelle ultime tre legislature sono gli stessi.
È a loro che vanno imputati i risultati attuali. Vanno imputati ai teorici dell'autoapprendimento, a coloro che hanno scritto indegni programmi e indicazioni nazionali - sulla cui indecenza disciplinare sono pronto a qualsiasi confronto, mentre constato sempre una precipitosa fuga. Vanno imputati a coloro che hanno trasformato lo strutturalismo in uno strumento ideologico, facendo credere che l'insegnamento non sia un processo in cui le nozioni vengono apprese attraverso un metodo, bensì una serie di strutture autoreferenziali da riempire a piacere. Va imputato a quella consorteria di docimologi che applicano tecniche di valutazione impresentabili, per esempio basate su un uso risibile della distribuzione gaussiana. Tutte queste persone sono legate da un'ideologia comune, e spesso da un'appartenenza politico-sindacale e comunque da comuni intenti dichiarati senza infingimenti.
Quando si hanno grandi responsabilità di gestione e di potere non ci si può sottrarre alla responsabilità nei risultati.
Questo è il punto. Lasciamo perdere la massoneria.
Perciò, caro Bocci, invece di scandalizzarsi e di tentare di suscitare lo scandalo altrui, come se fosse una reazione dovuta e inevitabile, discutiamo criticamente e in modo aperto. Mettetevi in discussione. Potrà soltanto farvi bene.
Molti cordiali saluti,
Giorgio Israel
15 commenti:
Concordo pienamente su quanto rilevato a proposito delle indicazioni nazionali e su certe metodiche di valutazione(non ultima quella adottate per OCSE-PISA) spesso presentate come infallibili e in realtà abbastanza discutibili.
Gentile Rosamaria, la mia esperienza "sul campo" è pienamente in sintonia con i risultati OCSE-PISA. Potrei anche essere io particolarmente sfortunato, ma allora si vada a leggere l'articolo sul concorso alla Magistratura dove il 90% (tutti laureati) è stato bocciato per gravissimi carenze grammaticali.
Una scuola degna di questo nome non dovrebbe permettere scandali come questi.
Vede, dottore, non ho alcun dubbio sul fatto che la scuola superiore vada riformata in maniera radicale e che il liguaggio dei nostri giovani, oltre a basarsi su un vocabolario molto povero, sia ricco di strafalcioni; tuttavia, avendo letto le indicazioni nazionali cui si riferiva il proessor Israel, mi auguro che la riforma da me auspicata non sia impostata alla stessa maniera.
Per quanto riguarda l'indagine PISA, ne contensto il metodo, la formulazione delle domande, i punteggi attribuiti alle risposte, le stesse modalità di somministrazione da parte di noi docenti (è capitato anche a me di doverlo fare). A voler chiarire ogni punto il discorso si farebbe lungo (in effetti mi ero già ripromessa di farlo in maniera più organica e circostanziata in un futuro più o meno prossimo).
Probabilmente con test pù adatti, formulati e somministrati secondo le modalità alle quali i nostri quindicenni sono abituati il risultato sarebbe stato ugualmente disastroso, ma per ora non abbiamo alcuna possibilità di provarlo.
Ai miei tempi si imparava a leggere, scrivere e far di conto alle scuole elementari.
Sicuramente anche l'istruzione secondaria ha le sue gravi responsabilità, che però non annullano quelle dell'istruzione primaria.
Mi pare di capire che a partecipare a questa discussione siamo quasi tutti docenti - di materie scientifiche - in scuole che in genere vengono considerate di serie B. Forse la logica che è alla base delle nostre discipline ci ha portati a non accettare la dura realtà, a ragionare su un probabile cambiamento, a cercare soluzioni diverse.
Certo, può dar fastidio trovarsi davanti degli alunni che non presentino i prerequisiti nenessari per un regolare svolgimento del programma, ma alla fine ci si rimbocca le maniche e si cerca di salvare il salvabile. Non è denigrando che risolviamo i problemi, ma proponendo e/o sperimentando soluzioni alternative.
Puntando il dito o piangendoci addosso che cosa potremmo risolvere?
Personalmente non ho una cattiva esperienza della attuale scuola elementare; mio nipote ha studiato cose che alla sua età non ci sognavamo nemmeno che esistessero ed oggi è un bambino preparato, capace di ragionare, di fare tante cose, di trovare soluzioni e di proporle perfino a noi; ma mi rendo conto che non tutti i maestri ragionano alla stessa maniera, non in tutte le scuole pubbliche la situazione è idilliaca.
Ciononostante non critico nè rinnego neppure le mie elementari; ricordo ancora con affetto i miei maestri, che ci educavano in maniera un po' spartana ("No, non potete uscire: i soldati in trincea non vanno in bagno!"). Ma noi eravamo diversi, non avevamo gli ausili e le distrazioni di adesso e, sopratutto, i nostri genitori erano diversi.
Non possiamo negare che il materiale umano (professor Israel non mi richiami per questa espressione!) e tutto l'ambiente attorno sia nettamente diverso da quello di una volta.
Qui non si tratta di denigrare, ma di prendere atto di un sistema che attualmente, in media, funziona male.
L'ambiente intorno è cambiato, certo, ma se si promuovono semianalfabeti (cosa che capita alle primarie ed alle secondarie) non si può darne la colpa all'ambiente o alla società: troppo comodo.
Su questo sono d'accordo con lei; le promozioni nominali non solo danneggiano chi non ha le competenze per passare alla classe successiva, ma anche, e sopratutto, gli altri allievi, che vengono demotivati da valutazioni ingiuste.
P.S. In merito all'articolo da lei consigliatomi sul concorso in magistratura, leggo: “la maggior parte dei candidati non era costituita da semplici neo-laureati, ma da avvocati, giudici onorari, funzionari della pubblica amministrazione, titolari di dottorati di ricerca e di specializzazioni giuridiche”. A questo punto mi sorge il dubbio che si tratti di soggetti un po’ avanti con gli anni, i quali, per motivi anagrafici, non possono costituire un campione rappresentativo della qualità del tanto discusso “modulo” (riforma delle elementari, legge n.148 del 1990). A conti fatti, ho l’impressione che anche i partecipanti neolaureati siano stati seguiti alle elementari dal “maestro unico”, che oggi si intende ripristinare.
Ma quello che mi preoccupa ancora di più è un altro concorso di qualche anno fa, sempre destinato a laureati in legge; in quella occasione si scoprì che ogni candidato aveva ricevuto una fotocopia col tema (sempre lo stesso) già svolto. Credo che l’episodio non abbia bisogno di alcun commento se non la considerazione che l’italiano è importantissimo, è vero, ma l’etica, l’onestà, il rigore morale dove li mettiamo?
Tutto sommato penso di concordare con l'ultimo commento di Rosamaria, o parte di esso. Ci troviamo di fronte a due visioni diverse della scuola, una piu' tradizionale, votata a dispensare il sapere delle singole discipline, l'altra piu' attenta all'aspetto sociale o, forse, "socializzante" del processo educativo. Nessuna delle due e' da ritenersi "sbagliata" tout-court, e soprattutto nessuna delle due e' scevra di ideologismi. Entrambe hanno alla base una forte componente ideologica, a mio avviso ineliminabile. L'approccio socializzante e' stato piu' volte additato come il frutto di un'ideologia sbagliata, e le sue massime ed i suoi principi sarebbero intrise di ideologismi. Ma cosi' e' anche per la scuola tradizionale; direi che e' impossibile costruire un sistema educativo senza un'ideologia d fondo che lo sorregga.
Vorrei segnalare un sito,
http://www.math.rochester.edu/people/faculty/rarm/
dove si puo' trovare parecchio materiale sulle esperienze didattiche negli USA ed in Francia, e pure traduzioni inglesi di un paio di testi di Laurent Lafforgue.
Cordialmente,
Lucio Demeio
Non sono affatto d'accordo. Esiste una differenza profonda tra una visione, una concezione, una teoria e un'IDEOLOGIA. Quando si parla di "lotta militante" si è in presenza di un'ideologia, e di che ideologia. Roba da talebani. Persone che hanno con il sistema disciplinare dell'educazione lo stesso atteggiamento dei talebani verso le statue di Budda.
Concordo con lei, Rosamaria, sull'importanza fondamentale del rigore morale, prima di ogni altra cosa. E per questo mi chiedo: dove si trova tale rigore negli insegnanti che non danno mai valutazioni insufficienti a fine anno?
Riguardo al maestro unico, per me non è un totem e non credo certo che basti ripristinarlo per risolvere tutti i problemi.
Non v’è dubbio che la parola ideologia abbia una accezione negativa (non a caso io ho parlato di filosofia, che è tutt’altra cosa), soprattutto in un campo come l’insegnamento che, l’ho già detto su questo blog, muta di giorno in giorno, non dà niente per scontato, non può applicare alcun paradigma perché portato avanti da persone e applicato a persone terribilmente mutevoli come, per esempio, gli adolescenti. Sebbene nelle analisi “scritte” io dia delle indicazioni che possono sembrare teoriche, in realtà è la pratica di ogni giorno che si porta avanti, quella descritta a meraviglia dal Prof. Argentieri nell’altra discussione e che deve necessariamente far pendere l’ago della bilancia ora dall’una, ora dall’altra parte. Dicevo che il tutor non deve dare al ragazzo l’impressione di aiutare, il che significa che, a conti fatti, deve pretendere e il ragazzo “deve” aver chiara la sensazione di aver raggiunto un traguardo. Ecco, professore, l’ideologia cui lei fa riferimento è quella dei docenti che si fanno chiamare per nome dagli studenti e che non procurano meno danni dei sostenitori dell’amicizia tra genitori e figli. Non è il mio caso e, fortunatamente, non si tratta di fenomeni tanto diffusi come lei vorrebbe far credere. Nessuno dei miei studenti, né dei miei colleghi sarebbe capace di avallare la sua accusa sul mio metodo, anzi, io passo per un’insegnante severa, rigorosa, che pretende tanto dal lato della disciplina che dei contenuti e che non la smette di correggere neppure sulla lingua italiana o sulla terminologia straniera che è importante conoscere in certi indirizzi professionali. Qualcuno forse dirà che rischio di invadere il campo altrui, ma è il martellamento continuo, la correzione degli errori, la pretesa della perfezione (ammesso che esista), che spinge ad ottenere i risultati migliori. Con queste premesse, non credo che si possa affatto parlare di ideologia, né tanto meno di fanatismo talebano.
Mi pare che il termine "ideologia" possa essere usato in una tale varieta' di contesti e con una tale varieta' di significati da generare facilmente fraintendimenti. Sul piano filosofico, non ha necessariamente una connotazione negativa; se uno guarda alle definizioni, sta semplicemente ad indicare un sistema di idee, che puo' essere politico ma anche, ad esempio, religioso. Il piu' delle volte, questo sistema di idee e' accompagnato da un programma pratico per la loro implementazione, programma che puo' comprendere la "lotta militante" (nel sensio di lotta violenta) o meno. Io l'avevo usato in senso generale, come visione o come teoria. Ma mi pare che Rosamaria stia spiegando molto bene i meriti del suo lavoro e del suo approccio al problema educativo.
Cordialmente,
Lucio Demeio.
concordo al cento per cento con rosamaria. Per quel che vedo dei miei colleghi nelle medie superiori gli insegnanti più preparati e più impegnati sono quelli che hanno comunque un dialogo coi discenti, mantenendo sempre distinti i ruoli. Non vedo proprio nessuno che si faccia chiamare per nome o si faccia dare del tu. Mi chiedo quindi da dove nasca questa leggenda metropolitana e chi è che ha convenienza a diffonderla.
Feynman, sarei contento tu avessi ragione. Ti assicuro, non è così. Ho ampia esperienza di colleghi che si fanno chiamare per nome, si scambiano sms con i propri studenti, e così via. Talvolta sono colleghi di modesta caratura, di quelli che forse sarebbe meglio non dover annoverare tra i colleghi. Ma non sempre: talvolta si tratta invece anche di bravi insegnanti, magari seri, volenterosi e preparati, che a tal punto hanno finito per travisare il loro ruolo da porre la propria relazione coi discenti su un piano impropriamente amicale "paritario". Credendo con questa condotta di aiutare i propri studenti, idea quantomai fuorviante. Sono i guasti di culture pedagogiche e di mentalità che hanno generato molti malintesi e molti abbagli.
La relazione educativa è del tutto asimmetrica, non la si rende né più chiara né più efficace giocando ad appianare tale asimmetria. Al contrario, si finisce per privarla di significato.
E' arrivato il tempo di riportare la nostra scuola a fare il suo mestiere,e cioè insegnare. La scuola media superiore, quella in cui lavoro e che quindi conosco meglio,è contaminata da una miriade di proposte pseudoculturali che hanno l'avvallo delle istituzioni locali (vedi Provincia o Regione)e si presentano nella famigerata veste dei "progetti" ai quali gli insegnanti sono ormai quasi obbligati a sottostare. Vi faccio un paio di esempi freschi freschi: mi viene proposto da un gruppo teatrale "ecologista"regolarmente autorizzato di organizzare un laboratorio per gli studenti con rappresentazione finale in una discarica...ma siamo pazzi? E stamani, appena entro a scuola, una collega alle ore 8 mi propone di partecipare a un corso, sicuramente finanziato da qualche amministrazione comunale o provinciale, sulle mutilazioni ai genitali femminili. Ora, con tutto il rispetto per questo gravissimo problema, io i che insegno lingua e letteratura italiana...cosa c'entro con tutto questo? Concludo: ci vuole rigore e serietà per fare della scuola un luogo di educazione, e gli insegnanti devono tornare a fare il loro lavoro.
Roberto Riviello
Posta un commento