Ormai molti ammettono che la drammatica crisi finanziaria in corso ha origine nell’uso di modelli matematici che da più di un trentennio hanno consolidato la convinzione che i mercati finanziari siano perfettamente controllabili. La radice ideologica di questa convinzione sta nella teoria delle cosiddette “aspettative razionali”. Le “aspettative” sono le attese dei soggetti economici di fronte a eventi che possono influire sulle loro decisioni e sono dette “razionali” quando i soggetti conoscono perfettamente il funzionamento del sistema economico e sanno utilizzare al meglio queste informazioni. Secondo gli esponenti di questa teoria il comportamento “razionale” dei soggetti indirizza l’economia proprio verso quegli eventi che essi “razionalmente” si aspettano. In definitiva, da un’ipotesi quanto mai discutibile – che i soggetti economici si comportino in modo del tutto consapevole ed efficiente – si ricava la conclusione che l’economia si evolve in modo determinato e prevedibile. Quel che ha reso credibile tale visione è il suo carattere normativo: comportatevi razionalmente e la realtà sarà razionale. Se gli operatori economici agiscono come robot, secondo regole che riflettono le prescrizioni della teoria, l’economia diventerà un sistema robotico perfettamente prevedibile.
A partire dagli anni settanta questa visione si è incarnata in un modello matematico, detto di Black-Scholes-Merton (introdotto dagli economisti matematici Fisher Black e Myron Scholes e poi rielaborato dall’ingegnere elettronico Robert Merton). L’equazione centrale del modello è ispirata da concetti di meccanica statistica e di probabilità e segue la solita idea riduzionista di plasmare i concetti dell’economia su quelli della fisica. Essa mira a descrivere l’andamento nel tempo di prodotti finanziari (come un portafoglio di azioni, obbligazioni e valute) e di opzioni definite su di essi. Le ipotesi del modello sono semplici: il rendimento del portafoglio è pari a un tasso d’interesse costante privo di rischio, i prezzi seguono un andamento del tipo “moto browniano”, le attività finanziarie sono tutte perfettamente divisibili e anche il tempo è continuo, il che è quanto dire che le attività si spalmano nel tempo per frazioni arbitrariamente piccole di prodotti finanziari. Queste ipotesi irrealistiche sono state accettate in quanto prescrizioni atte a realizzare un mercato finanziario prevedibile. In un’orgia di ottimismo scientista si è creduto che bastasse sbattere il modello di Black-Scholes-Merton nei computer e seguirne le prescrizioni per realizzare il sogno di un’economia “razionale”. Mezzo mondo finanziario si è messo a operare in questo modo. Come effetto collaterale centinaia di matematici si sono accodati a lavorare sull’equazione producendo montagne di lavori buoni soltanto per andare in cattedra.
Già nel 1998, il drammatico crack della finanziaria Long Term Capital Management (3,5 miliardi di dollari di buco) avrebbe dovuto mettere sull’avviso che il mondo è fatto da uomini che non hanno conoscenze perfette e non si comportano come robot e indurre ad accantonare il modello di Black-Scholes-Merton. Si è continuato testardamente, fino a che i comportamenti “emotivi” e “irrazionali” (in realtà ragionevoli) hanno fatto saltare il sistema.
Insomma, sta crollando un paradigma scientista: l’idea delirante di organizzare la società umana come il mondo fisico, anche se neppure questo è perfettamente prevedibile. Ma è vano illudersi. I suoi fanatici fautori non demorderanno, a costo di affogarci in un mare di rovine. Lo stanno facendo anche col sistema dell’istruzione: ne parleremo un’altra volta.
(Tempi, 16 ottobre 2008)
10 commenti:
Ottimo spunto. Anche la scuola austriaca di economia ha considerazioni simili sulla matematizzazione dell'economia, sebbene sia in parte disposta ad ammettere l'utilizzo di modelli matematici a fini pratici-finanziari. In effetti la loro critica maggiore su questa crisi non si è rivolta tanto ai modelli matematici utilizzati quanto alle politiche delle banche centrali di nascondere il rischio delle agenzie immobiliari.
Gli analisti dei sistemi industriali sanno bene che i loro modelli di controllo processo non possono avere l' affidabilità del !00%. E parlo di processi dove vengono considerate soltanto qualche decina di variabili!
Immagino la complessità di un modello macroeconomico con centinaia di variabili. In Russia, ai tempi della fede assoluta nel socialismo pianificato, il Piano Triennale (costruito a Mosca dall' apposito Ministero) forniva a tutte le industrie dell' URSS i loro programmi di produzione. Risultato; improvvisi "shortage" di prodotti come pneumatici o legname da costruzione o zucchero o...vodka.
E' triste dover constatare che, in fondo, anche gli americani siano caduti a causa dell' idolatria più antica. La Programmazione Lineare (o Dinamica) ha preso il posto della Torre di Babele.
Gianfranco Massi
Condivido, come sempre, al 100%.
E' inevitabilmente il risultato di una filosofia riduzionista che imperversa in molti campi accelerata dalla potenza sempre maggiore delle nuove generazioni di computer. Chiunque, una volta esposto ad una teoria, e' portato a razionalizzarla credendo che la conoscenza di poche leggi fondamentali sia sufficiente, "tanto il computer poi fa il lavoro duro per noi".
In realta' credo che a partire dalla fisica -dove inizialmente si pretendeva di "risolvere" un sistema di particelle in moto scrivendo e risolvendo le equazioni del moto per ogni singolo componente- ogni disciplina scientifica piu' o meno dura stia tentando lo stesso approccio. I biologi pretendono di descrivere il comportamento di una cellula; gli economisti quello di sistemi tipo regione, stato, continente; gli esperti di finanza quello dei mercati; i climatologi -improvvisati- quello del clima; e cosi via.
Il vero problema non e' tanto quello di proporre approcci differenti -se esistono- ma di riuscire a scalfire l'auto indulgenza di questi sedicenti esperti originata dal loro autoproclamarsi tali. E siccome tutti fanno cosi sara' pure giusto...?
Gli influssi di quel famosissimo analista finanziario vissuto a cavallo fra il sette- e l'ottocento ("Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale") dunque si fanno ancora sentire?
Vorrei aggiungere un ulteriore seppur piccolo contributo, nato da una discussione con un mio collega il quale afferma che il problema e' ancor piu' semplice ed elementare di quanto affermi il prof. Israel: gli economisti semplicemente non capiscono la matematica al di la' delle quattro operazioni, quindi la presunta "scientificita'" dei loro modelli e' tutto un "bluff".
Cordialmente,
Lucio Demeio.
Il suo collega ha completamente torto. Esiste una categoria abbastanza vasta di economisti, gli economisti matematici, che hanno competenze elevatissime di matematica. Del resto tutti i premi Nobel per l'economia da trent'anni a questa parte sono dati a matematici (gli ultimi a Nash, a Aumann). Del resto il modello di Black-Merton-Scholes è alquanto sofisticato e molti matematici ci lavorano sopra. Quindi non è questo il punto, non è una questione di saper far uso della matematica. È che la matematica non funziona bene in economia come in fisica...
Un altro piccolo contributo per spiegare l'eccessiva fiducia nelle metodologie di simulazione matematica: il marketing delle società di informatica che è riuscito a rifilare alle banche di tutto il mondo software dai costi astronomici facendole crederle di averle dotate di strumenti efficaci per la valutazione del rischio finanziario.
Per sapere se Black e Sholes siano "riduzionisti" in senso filosofico bisognerebbe chiedere loro cosa pensano del Libero Mercato. Si capirebbe anche cosa pensano del loro modello: è una ricostruzione razionale del mondo (finanziario) o una congettura ingegnosa (strumento imprenditoriale) che merita solo di entrare in concorrenza con altri? In questo senso è proprio l' idea del libero mercato a fungere da baluardo al riduzionismo. In fondo l' ipotesi accademica più accreditata presso gli economisti "riduzionisti" resta pur sempre la Random_walk_hypothesis, quindi... Non per niente esiste una serie di speculatori (short sellers) che scommettono sistematicamente contro questi modelli, ci vuole una tempra d' acciaio: anni di perdite continue con fortune improvvise. Il loro ruolo spesso è riequilibrante, la Cina li chiama per sgonfiare le sue "bolle". Da notare che le previsioni dell' LTCM si avverarono tutte puntualmente: ma in tempi più lunghi! Maledetto il giorno in cui l' economista (per ricevere la nomina) ha cominciato ad occupersi del breve periodo (le elezioni sono sempre nel breve periodo) dicendo che sul "lungo" eravamo tutti morti. Tra le cause della crisi ci metterei anche l' azzardo morale che nasce vivendo in un mondo dal credito facile, la scarsa trasparenza (valutazioni di bilancio), e i molti errori da bias cognitivo che con i "modelli dei nobel" c' entrano molto meno.
La critica all'eccesso di matematizzazione del reale - se così si può dire - è giusta. Non vorrei però che si dimenticassero le cause materiali della crisi finanziaria, assolvendo così i veri responsabili: la Fed che, riducendo gli interessi reali sotto zero, ha favorito l'indebitamento facile per promuovere l'accesso alla proprietà immobiliare; le altre agenzie governative che, pur conoscendo le caratteristiche predatorie di buona parte delle operazioni di credito, non sono intervenute per renderne consapevoli gli aspiranti all'acquisto della casa; la SEC che non si è preoccupata più che tanto della diffusione sul mercato dei titoli assed backed né della loro eccessiva valutazione da parte delle agenzie di rating; il mercato - cioè gli intermediari e gli investitori professionali - che hanno creduto alle loro valutazioni senza verificarne l'attendibilità.
Adesso si invocano nuove regole, più severe: ma a cosa servono se le autorità di regolazione si astengono dall'enforcement?
Io credo che una spiegazione molto esaustiva della crisi attuale sia facilmente deducibile leggendo "Il Secolo Breve" di Eric J. Hobsbawm. In particolare il capitolo XIV che si intitola appunto "Decenni di Crisi".
Hobsbawm pone l'accento sul fatto che, a partire dagli anni '70, il progresso tecnologico cominciò a cancellare più posti di lavoro di quanti ne creava. La conseguenza è stata un aumento della disoccupazione e conseguente discesa dei salari.
Come poi la finanza abbia interpretato questo aumento di povertà e lo abbia usato per incentivare la politica dei prestiti, questo io credo lo sappiano oramai tutti.
Anzi dirò di più. Chiunque avesse letto questo libro aveva elementi sufficienti per prevedere che una crisi economica di vasta portata si sarebbe presto verificata.
In particolare il capitolo 3 ("Nell'abisso economico"), dove si parla del crollo del 1929, produce un'analisi di quella crisi i cui elementi sono chiaramente riscontrabili anche in quanto è accaduto in questi ultimi 20 anni.
A pag. 108/109 del libro, Hobsbawm cita la teoria delle onde lunghe di Kondrat'ev. Ecco cosa riporta Hobsbawm:
"All'inizio degli anni '20 un economista russo, N.D. Kondrat'ev, poi vittima del terrore staliniano, individuò un modello di sviluppo economico valido a partire dalla fine del Settecento e contraddistinto da una serie di 'onde lunghe' della durata di circa 50/60 anni, sebbene né lui é altri dopo di lui potessero dare una spiegazione soddisfacente di questi movimenti e anzi, gli esperti di statistica, con il consueto scetticismo, ne abbiano persino negato l'esistenza. Queste fluttuazioni sono conosciute nella letteratura specialistica come ' onde di Kondrat'ev '. Egli tra l'altro, concluse che l'onda lunga dell'economia mondiale era prossima al punto di discesa. Aveva ragione".
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