In
queste ore 320.000 candidati affrontano le prove preselettive per il
mega-concorso da 11.500 cattedre per la scuola. Solo un candidato su 28 otterrà
l’agognata cattedra dopo aver superato tre prove: un test di 50 domande atte ad
accertare le capacità logiche, di comprensione del testo, le competenze
digitali e linguistiche; un esame scritto; un esame orale. Cosa pensare di
questo concorso, il primo dopo tredici anni? Da un lato, come negare
l’opportunità di premiare il merito, di legare l’immissione in ruolo a un
accertamento serio delle capacità di chi occuperà quei posti? D’altra parte,
deve trattarsi di un accertamento “serio”. Qui nascono perplessità per il
carattere di questa prova che assomiglia a un esame di guida automobilistica
dove il comportamento del conducente deve essere standard, a differenza di
quello di un buon insegnante. Di fronte a un numero imponente di candidati e
inevitabile una selezione di base, ma è poco credibile che si possano accertare
con dei quiz le capacità logiche e di comprensione dei testi dei candidati, e
stupiscono certe domande in tema di competenze linguistiche e digitali che
rischiano di premiare personaggi adatti a trionfare nei “quiz-show” televisivi.
Perché mai un requisito per essere un buon insegnante dovrebbe essere sapere a
quale linguaggio appartiene il termine “godet” (un taglio di gonna a forma di
campana), sapere che il “nome logico LPT1” indica la porta parallela di un
computer o conoscere la definizione di “home banking”? Mentre si parla tanto di
combattere il nozionismo il ministero dell’istruzione ne propone la peggiore
versione, secondo una visione dei test praticata da tempo con esiti pessimi.
Un
altro genere di perplessità riguarda le politiche di reclutamento del
ministero, visto che questo concorso viene dopo varie immissioni in ruolo ope legis. Assisteremo al miracolo che
tra due anni, e ogni due anni, venga bandito un concorso? Il mondo
dell’istruzione è abituato a sentirsi fare promesse del genere, poi
sistematicamente disattese. In ambito universitario fu decretata addirittura
trent’anni fa la cadenza biennale dei concorsi. Non se ne fece nulla e in
cambio si ebbe una sequenza di provvedimenti disorganici che culminano oggi in
una prova di abilitazione nazionale dagli aspetti sconcertanti. Non è strano
che un concorso per la scuola dopo 13 anni veda un numero enorme di candidati.
Sarebbe un miracolo che il suo espletamento avvenga con un’efficienza tale da
rendere possibile il bando di un altro concorso tra due anni. Ma se il miracolo
non avverrà, allora questo concorsone verrà ricordato come l’ennesima scelta
sbagliata.
D’altra
parte, anche la questione dei “diritti acquisiti” e del precariato va
affrontata con ragionevolezza e buon senso. Nel vuoto di concorsi e immissioni
in ruolo ordinate e fondate su verifiche di merito, si è creato un groviglio di
situazioni ambigue in cui si intrecciano aspettative legittime e pretese
corporative. C’è chi giustamente, dopo aver insegnato validamente per anni, non
accetta di essere messo alla porta, e chi pretende l’assunzione in ruolo su
basi inconsistenti e rifiutando ogni verifica di merito. In questo groviglio,
il buon senso dice che, da un lato, le immissioni ope legis debbono diventare un ricordo del passato ma, dall’altro,
che il meccanismo dei mega-concorsi non è forse il più adatto a venirne fuori.
Quando
si prospettò la necessità di delineare un nuovo percorso di formazione degli
insegnanti, la scelta della commissione da me coordinata fu di distinguere nettamente
tra il problema della formazione – proiettato nel futuro – e quello del
reclutamento, intriso di un passato che, per i troppi errori commessi, richiede
inevitabili compromessi. A un simile approccio di buon senso doveva
accompagnarsi la soluzione di assegnare i posti a cattedra disponibili per metà
ai giovani che uscivano dal nuovo percorso del TFA (Tirocinio Formativo Attivo)
e delle Lauree magistrali per l’insegnamento, e per l’altra metà a sanare il
precariato con verifiche di merito. Era una linea di compromesso che
contemperava due esigenze: il riconoscimento di diritti pregressi, purché
fossero basati su meriti effettivi; e l’apertura di uno spazio ai giovani
insegnanti, fra cui gli abilitati nella formazione primaria. Non è giusto
mortificare chi ha lavorato seriamente e ha tenuto in piedi la baracca della
scuola malgrado gli errori di politici e sindacati; ma una scuola che non
immetta forze nuove è destinata a morire. Occorreva ragionevolezza, chiamare
tutti a qualche sacrificio, senza che i sacrifici fossero da una parte sola.
Invece, le Lauree magistrali sono state affossate e il progetto del TFA è stato
snaturato e mortificato. È apparso evidente lo scarsissimo interesse per
l’immissione di giovani leve e la volontà di introdurre varianti e deroghe che,
rispondendo a problematiche di reclutamento pregresse, hanno creato disparità
tra gruppi di candidati. Inoltre – e questo è l’aspetto più grave – lo spirito
“leggero” e decentrato del progetto è stato eliminato rimettendo al centro il
solito dirigismo accentratore del ministero. È una propensione assai poco
liberale che si è vista ripetutamente all’opera in più occasioni e che
costituisce il vero problema del sistema
italiano dell’istruzione.
Il
problema della formazione e del reclutamento degli insegnanti nella scuola
italiana è talmente complicato da richiedere una poderosa miscela di competenze
e di buon senso. Pertanto, non può essere sciolto né con colpi di testa né
affidandosi a una burocrazia che crede che gli insegnanti vadano scelti tra chi
sa che cos’è un “carter” o un “top level domain”, che coltiva una visione
dirigista e “amministrativa” poco interessata agli insegnanti e alla loro
formazione e che pensa di poter risolvere tutto dall’alto con la tecnologia, a
suon di lavagne interattive multimediali, di tablet e di editoria digitale.
Tuttavia, secondo il Ministro (intervistato dal Messaggero) «con i test misuriamo la capacità di pensare»... No comment...
6 commenti:
Ho fatto molti di questi test per aiutare qualche collega di discipline letterario-filosofiche. Se entro nel merito delle domande, il mio giudizio non può che essere negativo: una larga parte, forse la maggioranza, le ho trovate fuori luogo. Non per un concorso per docenti: per un concorso pubblico qualsiasi.
Se però guardo un po' oltre, devo anche dire che in diversi concorsi pubblici questi tipi di test sono già utilizzati e appare poco congruo lasciarne fuori i docenti. Aggiungo anche che, a mio avviso, la modalità di preselezione non mi trova contrario, anzi, la estenderei a tutti i concorsi per dipendenti pubblici. Testando sia la capacità di comprensione di un testo scritto, sia le competenze matematiche e logiche di base. Perché un qualunque dipendente pubblico deve essere in grado di fare due conti "della serva" e comprendere un testo. Queste preselezioni filtrano (anche) quelle persone che a volte le commissioni impietosite promuovono con il minimo.
Il fatto che qualcosa si faccia in diversi concorsi pubblici non significa che si debba per forza fare altrove. Il contenuto dei test è dirimente: se sono idioti, il discorso è chiuso. Che si debbano fare test preselettivi non è cosa che metto in discussione, ma che si possano fare test per verificare la comprensione di un testo scritto (come se fosse necessariamente univoca) e le capacità logiche di base con quiz da televisione è un'ignominia. Quanto alle competenze matematiche lasciamo perdere: non offendiamo la matematica. Mi scusi tanto, ma prima dire che nel merito il giudizio è negativo ma "guardando un po' oltre" (oltre il merito?...) il giudizio cambia, che logica è? A proposito di logica...
Vedo che non mi sono spiegato.
Il mio giudizio su "questo" test è negativo, perché molte, troppe domande sono, a mio avviso, non appropriate. Questo per il merito.
Per andare oltre, intendo: proporre un test preselettivo, lo stesso per tutti i concorsi pubblici, basato su competenze di base, ha un senso? Secondo me sì.
Gentile Professor Israel,
se non disturbo intervenendo ancora una volta, io mi permetto di ricordare che, in teoria, le persone che oggi si sono sottoposte al test preselettivo sono docenti che hanno seguito un percorso di abilitazione (e spesso non solo!), e che insegnano nella scuola da molti anni. Possibile che l'unico sistema per dare loro stabilità sia di dire "pazienza, ricominciate da capo come dei pivellini, e vediamo se sapete ragionare"?
Lo trovo assurdo, e oltremodo offensivo.
Quando ho iniziato la mia carriera di docente, dieci e più anni fa, mi è stato detto "basta concorsi, bisogna abilitarsi con la SISS, percorso serio, esami, abilitazione, etc". All'epoca mi stavo già preparando per il concorso che in teoria avrebbe dovuto essere indetto nel 2003. Poi mi sono abilitata, sono entrata in una graduatoria dalla quale molti sono passati direttamente in ruolo, e ho atteso, avendo sempre la fortuna di lavorare. Ora toccherebbe a me, e mi si viene candidamente a dire "guarda, ci siamo sbagliati. Il percorso abilitante non è buono. Torniamo al concorso; un quiz, un esame, e ti diamo abilitazione e ruolo, come ai vecchi tempi. Questo è il futuro".
E tutto questo per ben 2 posti nella mia classe di concorso, nella mia regione.
Non trovate perlomeno .."illogico" tutto questo?
Forse perché lo sto vivendo sulla mia pelle, io sì.
Pare poi che il 30% degli iscritti non abbia mai messo piede in una scuola come docente.
Devo quindi concludere che il Ministero e tutti coloro che vi lavorano non sono stati capaci, in questi anni, di valutare le capacità e la professionalità di chi ha lavorato per loro come precario, e preferiscono prendere persone della stessa età anagrafica e senza esperienza?
Perché questo concorso, se non sbaglio, aveva come clausola di iscrizione l'essersi laureati prima del 2002/3.
Per non parlare poi di coloro che nei mesi scorsi si sono sottoposti alla selezione per il TFA. Che senso ha far partire un nuovo percorso di abilitazione e contemporaneamente fare un concorso?
Io ravviso in tutto ciò solamente un'enorme confusione, che si risolverà probabilmente in una marea di ricorsi al TAR.
Ed è un peccato, perché di un sistema efficace di reclutamento ci sarebbe davvero bisogno.
Io lo vorrei, con tutto il cuore, se non altro per non vedere altre persone, magari miei ex studenti, passare attraverso tutto quello che i precari della mia generazione stanno subendo.
Concludo sottolineando che questo è solo il mio pensiero, e che in esso non vi è alcuna volontà di polemica sulle categorie che ho citato. La situazione del nostro paese è a dir poco drammatica, e comprendo benissimo chi, magari avendo perduto il proprio lavoro, sta tentando di trovarne uno con questo concorso.
Come comprendo chi, essendo precario ma in posto n-esimo in graduatoria, sta tentando di conquistare una cattedra che con il ritmo attuale di scorrimento delle graduatorie non raggiungerebbe prima del 2100.
Alla fine siamo purtroppo tutti sulla stessa barca; una nave senza nocchiero, in gran tempesta, e anche senza timone.
Cordialità
Dina Moro
Mi chiedo come un aspirante docente possa aver conseguito una laurea senza essere in grado di comprendere un testo. Che senso può avere verificare con dei test un requisito del genere? Diverso sarebbe se il test in qualche modo verificasse alcune conoscenze disciplinari di base.
E poi, qualcuno può ritenere così grave che un bravissimo docente di letteratura italiana, ad esempio, non sappia cos'è il BIOS o abbia dei dubbi su quando sostituire testine o cartucce di una stampante a getto d'inchiostro? Forse ci si è dimenticati che si devono selezionare dei docenti. A questo punto meglio una lotteria che test come questi.
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